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  Editoriali  »  Salvare il manoscritto dell'”Infinito”, di Leopardi, di Ferdinando Camon 10/11/2016
 

Salvare il manoscritto dell'"Infinito" di Leopardi

di Ferdinando Camon

 


Post su Facebook 30 ottobre 2016 
 

Mettono in salvo il manoscritto dell’”Infinito “ di Leopardi, portandolo via dalle zone del terremoto. È un documento importantissimo. Non per l’Italia, ma per l’umanità. Scrittori di tutto il mondo son venuti per vederlo, farsene una fotocopia, portarselo a casa, metterlo sul tavolo e guardarselo per il resto della vita. Pablo Neruda è venuto dalle rive del Pacifico. Sono stato nella casa del Leopardi e nella casa di Neruda. In ambedue ho visto il manoscritto dell’Infinito incorniciato, chiarissimo e, per noi che lo sappiamo a memoria, stupefacente. Di fronte alla casa del Leopardi, a Recanati, si alza un colle, cinto da una siepe. Giacomo va lì, si siede, ammira e ascolta. Non vede tutto, perché la siepe glielo nasconde. Ma vede tutto nel pensiero, interminati spazi e profondissima quiete, e si sgomenta. Su di lui stormiscono le fronde, e lui paragona quel profondissimo silenzio a questo fruscio, ed è come se confrontasse il silenzio dell’eterno, del passato, delle epoche morte, al rumore e al frastuono del presente. Questa sensazione è un tuffo nell’immensità, e il suo pensiero vi s’annega, con un senso di dolcezza.
La parola-chiave, drammatica, è “immensità”: “tra questa / immensità s’annega il pensier mio”. Gli studenti la leggono e la imparano a memoria così. Ma nel manoscrittio che adesso vien salvato, e che sta in fotocopia nella casa di Neruda, la parola “immensità” è tagliata da uno striscio orizzontale, e sopra è corretta, sempre di pugno del Leopardi, con “infinità”. Quindi Leopardi aveva scritto prima “immensità”, poi s’è pentito e ha messo “infinità”, poi s’è ri-pentito e ha rimesso “immensità”, che è la stesura che noi leggiamo oggi. Leopardi ha urtato per anni contro un limite dell’intuizione umana, e un limite della capacità umana di pensare ed esprimere il non-misurabile, il senza-confini, l’immenso. “Immenso” vuol dire che non si può misurare. È il termine che nelle religioni indica Dio, e nella Fisica moderna indica lo spazio incalcolabile perché in continua espansione. Se voi aveste potuto chiedere a un bambino, cinquant’anni fa, qual è il rumore di un corpo che entra a grande velocità nello spazio, il bambino avrebbe risposto “pum”, perché conosceva il fucile e il cannone. Oggi risponde con un sibilo, "ssssss", perché conosce il missile e l’astronave. “Immensità” (a differenza di “infinità”) ha quella “s”, che la fonologia chiama “consonante sibilante”. È lei che allarga lo spazio in tutte le direzioni, e lo rende im-misurabile. Non sto dicendo che Leopardi l’avesse compreso. Sto dicendo che per anni oscillava da un termine all’altro, come una bussola impazzita oscilla fra attrazioni diverse. Ma alla fine s’è fermato nella direzione giusta. Quella parola scritta a mano e poi cancellata e sovrascritta, indica la difficoltà del passaggio tra due idee di Fisica e di Metafisica, due idee del Tutto. Il manoscritto non indica il punto d’arrivo, indica anzi un ritorno all’indietro. Ad ogni nuova verità si arriva così, andando avanti-indietro, fra contraddizioni. Galileo affermò che la Terra si muove. Portato in processo, ritrattò. Uscendo dall’aula, battè il calcagno per terra e ripeté: “Eppur si muove”. Qui siamo alla ritrattazione di Leopardi, un attimo prima che batta il calcagno per terra. Non è un documento che conta per la lingua di Leopardi, ma per la lingua dell’umanità. Nelle ”Operette Morali” Leopardi immagina la fine del Tutto così: “Questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi”. Non ”si perderà”, che col suo accento tronco indica uno sbattimento e uno sfracello, ma “perderassi”, che con la doppia esse indica un sibilo infinito e un fruscio nel Nulla. Ora lo sappiamo: tutte le nostre navicelle spaziali che mancano il bersaglio finiscono così, frusciando nell’immensità verso il Nulla, e lasciandosi dietro una scia, che quell’”assi” richiama fonicamente.


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