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Editoriali
» No allo ius soli, di Ferdinando Camon |
23/06/2017 |
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No
allo ius soli
di
Ferdinando Camon
Quotidiani
locali del Gruppo "Espresso-Repubblica" 19
giugno 2017
C’è
battaglia sulla cittadinanza agli stranieri. Zaia dice che la
cittadinanza va meritata, la Cei risponde che è un diritto
fondamentale. Grillo dice che lo ius soli è un pastrocchio
invotabile, Gentiloni ribatte che è un atto di civiltà.
Non è possibile che le distanze siano così grandi.
Probabilmente non s’intendono. Per “cittadinanza”
gli uni intendono una cosa, gli altri un’altra. Vediamo se si
può chiarire.
Che dare la cittadinanza sia un atto di
civiltà è un’espressione sbagliata. Se uno è
cittadino italiano come me, io lo sento come mio fratello. Magari non
è stato costruito dalla stessa storia che ha costruito me,
però accetta i risultati della mia storia, il mio diritto
penale, il mio diritto civile, la mia costituzione. Quando, alla
sera, ascolta il tg, di fronte ai successi e alle disgrazie
dell’umanità, prova le mie stesse reazioni. Questi son
giorni in cui non si capisce se hanno o non hanno ucciso il Califfo.
Se risulterà che l’hanno ucciso, a me, a noi dispiacerà,
perché vorremmo che lo prendessero e lo processassero,
tuttavia “la fine del califfo” è scritta nella
Storia, che il califfo sparisca è un bene per l’umanità.
Se c’è una fetta di umanità che per la fine del
califfo entra in lutto, questa non può essere mia sorella, non
può avere la cittadinanza italiana. Non ci può essere
un cittadino italiano che piange per la fine del Califfo e gode
quando il califfo brucia vivi i prigionieri. Dare la cittadinanza a
immigrati con questa cultura, non è un atto di civiltà,
ma un tradimento della storia occidentale. Nessun dubio che non si
può dare o negare la cittadinanza a seconda della religione di
chi la chiede. La nostra costituzione vieta le distinzioni per
religione. Ma il problema è che l’Islam le impone: per
l’Islam il fedele vale più dell’infedele. È
una posizione teocratica, per cui tutto il potere è di Allah,
di chi serve Allah, di chi crede in Allah. È una dittatura di
Allah. In nome della Costituzione, non possiamo aprire le porte a
questa dittatura. Non sarebbe un atto di civiltà, sarebbe un
tradimento della Costituzione. Non lo possono commettere né la
Cei né Gentiloni. Loro vogliono che gli immigrati non soffrano
discriminazioni e svantaggi, e questo va bene, ma la cittadinanza è
un’altra cosa. Per essere o diventare cittadino italiano non
basta nascere in Italia, e nemmeno fare le scuole elementari in
Italia. Se un bambino frequenta le nostre scuole elementari ma vive
in una famiglia islamica, resterà islamico, di un islamismo
inasprito dalla separatezza e a volte dall’ostilità che
respira in famiglia.
In famiglia respira l’altro
principio islamico, dell’islam ortodosso (non sto parlando di
quello fanatico o terrorista): la superiorità del padre sulla
madre, del marito sulla moglie, dell’uomo sulla donna. Nei
paesi islamici le donne non hanno potere, nei paesi occidentali ce
l’hanno, (sempre poco, dicono le femministe; anche troppo,
dicono i maschilisti): una famiglia islamica, con lo strapotere del
maschio e la sottomissione della donna, è inconcepibile in
Occidente. Una famiglia del genere, con padre e madre e tre-quattro
figli, tutti cittadini italiani, è un’assurdità,
nelle nostre città. E per questo che accanto allo ius
soli (il
diritto del luogo in cui si nasce) e allo
ius sanguinis (il
diritto dei genitori che t’han messo al mondo), qualcuno
comincia a parlare di ius
culturae (il
diritto che apprendi a scuola), ma si potrebbe uniformarli tutti
dentro lo ius
civilitatis,
il diritto della civiltà, che il paese in cui vivi s’è
costruito con la sua storia. La nostra civiltà è
multisistemica, ospita religioni, lingue, credenze, culture, insomma
sistemi, diversi. E questo è bello. Ma l’Islam ortodosso
non è un altro sistema, da porre accanto ai nostri. È
un anti-sistema. Inconciliabile con i nostri. Dargli la cittadinanza,
alla cieca, è un gesto incauto.
www.ferdinandocamon.it
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