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Editoriali
» Il kalashnikov, di Ferdinando Camon |
19/10/2017 |
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Il
kalashnikov
di
Ferdinando Camon
Quotidiani
veneti del Gruppo Espresso-Repubblica 22 settembre 2017
Se
ci sono tanti terroristi, tante rapine, tanti kamikaze dell’Isis,
è perché c’è il kalashnikov.
Tre giorni fa a Mosca hanno eretto una statua alta 7 metri e mezzo in
onore di Mikhail Kalashnikov,
inventore del fucile che porta il suo nome, che è l’arma
più diffusa nel mondo, venduta ormai in circa 100 milioni di
esemplari. È l’arma di tutte le rivoluzioni, tutte le
insurrezioni, tutte le guerriglie della Terra. Perché è
l’arma più maneggevole e più sicura che esista.
Cosa vuol dire “sicura”? Che non s’inceppa. Se sei
a tu per tu col nemico, nella condizione per cui uno può
sparare all’altro, e la tua arma s’inceppa, allora sei
morto. Guardate i miliziani dell’Isis a Raqqa, quando riusciamo
a filmarli: hanno tutti il kalashnikov.
Lo comprano banditi, ladri, rapinatori, kamikaze e terroristi di
tutti i tipi. Per ragioni ideologiche, e cioè per facilitare
le aggressioni all’Occidente, la Russia ha passato i dati per
la costruzione di questo micidiale strumento tecnologico a tutti i
paesi in lotta con l’Occidente, in Asia, Africa, Sudamerica. È
il simbolo raffigurato sulla bandiera del Mozambico e di Hezbollah, e
sugli stemmi dello Zimbabwe e di Timor Est. È un’arma
semplice da produrre, la producono anche paesi poveri, dallo sviluppo
tecnologico primordiale. La sua resistenza agli urti, agli incidenti,
e cioè la sua affidabilità, è leggendaria. Non
dite: “Parla uno scrittore, che di armi non capisce niente, e
un kalashnikov
non l’ha mai preso in mano”, perché io son figlio
di contadini, ho fatto il servizio militare (nessuno dei miei amici
alto-borghesi l’ha fatto), ho fatto il tenente degli alpini e
nel comando di compagnia c’era una raccolta di armi straniere,
cioè non-Nato, tra cui un kalashnikov.
L’ho provato. Meraviglioso. Noi della Nato usavamo il Garand,
da cui il kalashnikov
ha preso il meccanismo della ricarica automatica del colpo. In
internet corrono elogi di militari occidentali, che definiscono il
kalashnikov
“l’arma più popolare del mondo, amata da tutti i
combattenti: non si rompe, non s’inceppa, non surriscalda, e
spara anche se coperto di fango o pieno di sabbia, e possono usarla
anche i bambini”. Nel corso di quest’anno, la fabbrica di
Mosca aveva annunciato la produzione di un modello più piccolo
e più leggero, per i ragazzi e le donne. Certamente la
produzione sarà stata avviata. Dunque, c’è
richiesta di far combattere anche le donne e i ragazzi. Noi
predichiamo e scriviamo tanto per la pace, ma quel che otteniamo è
vicino allo zero. Le fabbriche del kalashnikov
(non la fabbrica, ma le fabbriche: sono tante nel mondo) variano il
loro prodotto, costruendo modelli per adulti e per ragazzi, per
uomini e per donne, e quel che ottengono è incalcolabile, un
incalcolabile disastro per l’umanità. In Occidente è
l’arma dell’anti-Stato, anti-Società, anti-Legge.
I rapinatori hanno sempre quest’arma, perché è
facile da trovare sul mercato clandestino, è facile trovare i
suoi caricatori, sia di metallo che di plastica. Èd è
perfetta per assalti e rapine. Non è precisissima, ma è
potente. Una volta, fino a 15 anni fa, la polizia della mia regione
aveva l’abitudine, che io apprezzavo molto, di mandare di notte
ad alcuni giornalisti e opinionisti lunghi fax, in cui esponeva quel
che di eclatante per l’ordine pubblico stava accadendo: venivo
così a sapere che c’erano stati degli scontri a fuoco
con bande di rapinatori armati di kalashnikov,
e che la polizia era preoccupata perché i banditi usavano
cartucce corazzate, che foravano i giubbetti antiproiettile. “A
noi ci basta ferirli per poi arrestarli – diceva la polizia -,
ma loro vogliono proprio ammazzarci”. Mosca innalza un
monumento all’inventore di quest’arma. È come se
dicesse a ciascuno di noi: “Mors tua, vita mea”.
www.ferdinandocamon.it
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