Il
futuro globalizzato, ma per chi?
di
Lorenzo Russo
Oh
mia patria, sì bella e perduta! Così riecheggia l'inno
di una nazione che sta scomparendo.
Di
fatto le nazioni, oggi, stanno perdendo quei valori che finora le
hanno formate e contraddistinte.
Uno
dei pochi simboli che regge ancora è l'idioma parlato, ma
anch'esso subisce continuamente imbruttimenti mescolandosi con altri
idiomi, così che fra qualche decennio verrà parlato
unicamente dai pochi nostalgici rimasti ancora in vita.
È
un epoca che sta scomparendo per lasciare il posto a un futuro del
tutto incerto e senza quelle bellezze culturali e artistiche che
l'hanno arricchita e tuttora attirano i turisti.
Ogni
epoca ha senza dubbio le sue calamità e disgrazie alla pari
delle sue bellezze, ma mi chiedo, ora, quali saranno quelle del
futuro?
La
globalizzazione dei mercati non farà altro che imbruttire le
mansioni lavorative, riducendole a un metodico e apatico stile di
lavoro da sbrigare in breve tempo e pagato malamente.
Disoccupazione
e povertà aumenteranno di pari passo della ricchezza in mano a
una limitata cerchia di individui al comando assoluto del mondo.
L'automazione
dei processi lavorativi avrà il sopravvento sull'odierno
ancora praticato stile di lavoro individuale e creativo.
Una
società amorfa e come sottostante a una droga, causa una
leggera e duratura letargia, è il fine dei nuovi padroni e
governanti di questo mondo.
Addio
al glorioso romanticismo, che tanto colmò la vita dei suoi
discepoli, come se fossero stati spinti da una forza nuova e
rigeneratrice e capace di compiere imprese rischiose ma ripaganti
l'animo, assetato di libertà contro i regimi assoluti e
intransigenti di allora.
La
morte fu assunta come sorella della vita e quindi preferita alla
ripugnante sottomissione alla volontà altrui.
In
quell'epoca fu come se lo spirito si sentisse finalmente liberato del
compito impostogli dal destino di assumere forme corporee deboli e
timorose.
Con
tutto ciò non voglio affermare che il passato sia stato
migliore del presente, o di ciò che sarà il futuro, ma
di certo non sono mancate quelle note personali che ancor oggi sono
ammirate e celebrate.
Nel
passato furono create opere inestimabili in ogni campo della scienza
e cultura, proprio perchè lo spirito non si soggiogò
alla allora esistente autorità dispotica che costringeva i
suoi sudditi all'osservanza di regole rigide e uniformi.
Noto,
quindi, che ad ogni situazione ne sorge un'altra contraria per
mantenere in vita un ritmo fondante sul dover rimediare, purtroppo
senza riuscirci come mi sembra di constatare.
È
come se un uccello, nato per volare, fosse stato rinchiuso in una
gabbia e, seguendo il suo istinto, si immaginasse di volare, quel
tanto per sostenere la sua situazione, apparentemente o debitamente
senza colpa.
Il
segreto della colpa verrà svelato solo alla fine della colpa
stessa, o della prova di sostenimento quale dimostrazione delle sue
capacità di progredire o no.
Lo
spirito umano è tipicamente quello di un navigatore.
Le
diversità e contrarietà che incontra determinano il suo
comportamento e definiscono la sorte del singolo e membri del suo
gruppo.
Chi
teme la morte non ha capito la sua sorte ed è quello che mi
sembra dominare la vita moderna.
Fino
al raggiungimento della formazione di un idioma mondiale, che spero
sia del tutto nuovo di modo da impegnare tutti ad apprenderlo,
passerà molto tempo e dimostrerà che l'uomo ha capito
il senso dell'unione, nel mantenimento e rispetto delle diversità
quali motrici di vita continua.
Dare
a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di
Cesare.
Così
va intesa la vita e la sorte dell'uomo in terra.
Le
epoche si susseguono, alla pari delle generazioni, e solo dopo lassi
di tempo estesi si riesce a scoprire un barlume di miglioramento che
dà al loro susseguirsi l'esistenza di una logica fondamentale
e preordinata, una logica che ci sollecita ad accettare tutto ciò
che la vita ci porta, perché nulla accade senza senso e
necessità.
Sta
ora ai popoli affrontare il profondo mutamento in atto con coraggio e
massima allerta, affinché gli svantaggi siano minimizzati e
compensati con i vantaggi, quelli dichiarati e promessi dalla
“Elite”, che si è messa al comando senza essere
stata eletta.
Ci
sarà ancora chi piangerà la perdita dei suoi valori
identificatori, conquistati con tenacia e coraggio contro tutti gli
ostacoli incontrati; se ne faccia una ragione e rifletta sul fatto
che l'unificazione dei popoli comporta la da sempre agognata
abolizione dell'esistenza di un nemico tra gli uomini.
Vale
la pena farsene una ragione di vita, così come fecero i nostri
antenati nel voler costruire la patria-nazione di oggi.
Ma
il processo unificatore necessita di un’economia del tutta
diversa dell'attuale per essere realizzabile, una economia non più
basata sul profitto individuale, bensì globale e da spartire
tra tutti gli abitanti del pianeta secondo le proprie attitudini e
volontà di metterle in pratica.
Io
proporrei un rapporto di spartizione tra uno e dieci, e non di più,
perché dimostrerebbe arroganza e avidità.
Ma
come creare un uomo nuovo per questa vita nuova?
Sarà
sufficiente una nuova filosofia di pensiero per modificare la
composizione fisio-morfologica dell'homo sapiens?
Una
filosofia capace di fondere insieme la ragione e l'anima, finora
antipodi di ogni progresso duraturo?
Il
tutto ha il sapore di un nuovo romanticismo, di uno evolutivo, come
reazione alle già troppe esistenti difficoltà di
convivenza.
Quanto
tempo trascorrerà fino alla sua realizzazione non è al
momento stimabile, ma il processo va preso seriamente in
considerazione.
Io,
personalmente, non credo che sia realizzabile in questo secolo, e
dubito ancora che sia proprio realizzabile, perché troppi sono
gli ostacoli da superare, essendo questo mondo dominato dalla
limitatezza dei suoi elementi fondamentali, così che ogni
sforzo a superarli è destinato a fallire.
Ma
sperare è giusto e incominciare a piccoli passi una ragione in
più.
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