Liliana
Segre: alcune riflessioni
di
Piera Maria Chessa
Sono
giorni indimenticabili questi che stiamo vivendo, giorni che non
avremmo voluto vivere, almeno una parte di noi, perché
lasciano addosso un’amarezza che avvolge come se fosse una
colla resistente, e della quale è difficile liberarsi.
Non
è una novità per nessuno quella che è stata la
vita di Liliana Segre, un’esistenza durissima fin da quando era
bambina, sopravvissuta poi all’inferno di Auschwitz. Non voglio
certamente tracciare una sua biografia, solo soffermarmi su alcuni
particolari della sua vita.
Per
esempio, si parla sì, ma poi non così tanto, di quel
ricordo indistruttibile, non solo a livello mentale ma anche fisico,
che è un numero, costituito da più cifre, che Liliana
Segre porta con sè, su un braccio, da quando non aveva ancora
quattordici anni, questo numero è 75190.
Se
solo provassimo a immaginare di vivere noi stessi quella sua
esperienza, rinchiusa a tredici anni, un anno e mezzo di campo di
concentramento, l’aver visto il padre morire dopo pochi mesi…
Una ragazzina di quattordici anni e mezzo che ritrova la sua libertà,
che prova a condurre una vita “normale”, cresce, forma
una famiglia, tutto ciò che di solito fa parte della vita di
ognuno di noi.
I
ricordi però non si possono cancellare, e neppure gli incubi,
e quel numero portato fino ad oggi per decine di anni penso che abbia
impedito a Liliana Segre di sentirsi, come tutti noi, una persona
“normale”, perché la sua vita non può che
essere considerata straordinaria, non normale.
Per
anni lei non ha parlato della sua esperienza, neppure i suoi per
diverso tempo ne sono venuti a conoscenza nella sua interezza, poi ha
deciso che era giusto parlarne, raccontare la sofferenza patita nel
campo, la crudeltà di cui i suoi occhi sono stati testimoni;
erano, non dimentichiamolo, occhi da bambina, eppure è
riuscita ad andare oltre.
E
noi, una parte di noi, che facciamo? Da dove nasce oggi quest’odio
verso una donna avanti negli anni, pacata nei comportamenti e nel
linguaggio, che cosa può disturbare in lei? Lei che non
conosce l’odio, eppure ne avrebbe motivo, che si meraviglia nel
vedere che non tutti, al momento del voto, abbiano votato concordi
contro ogni forma di razzismo e discriminazione, che non si spiega il
perché dei tanti insulti che quotidianamente le arrivano.
Ora
avrà una scorta, perdendo un pezzo considerevole della sua
libertà. Perché sì, si sentirà più
sicura, ma la libertà, la vera libertà, non ha
prezzo.
Io
trovo che sia profondamente ingiusto ciò che sta succedendo in
questi giorni, ingiusto e vergognoso. Diverse persone vorrebbero
chiedere scusa a quest’anziana signora che ha veramente dato
tanto, andando nelle scuole, incontrandosi con i giovani,
costringendo se stessa a ricordare ogni volta quello che ognuno di
noi vorrebbe solo dimenticare. Lei lo fa perché sente che è
giusto farlo, la morale, quella autentica che dovrebbe guidarci nella
nostra vita tutti i giorni, quella legge morale lei l’ascolta.
Eppure in molti non le riconoscono neppure questo, ritenendo che ci
sia ben altro dietro le sue scelte.
Oggi,
in questo nostro Paese allo sbando, sembra veramente difficile capire
che certe strade si possa decidere di percorrerle senza nessun
secondo fine.
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