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  Editoriali  »  L'IO, un essere di fronte alle tortuositą della sua redenzione, di Lorenzo Russo 22/08/2020
 
L'IO, un essere di fronte alle tortuosità della sua redenzione

di Lorenzo Russo



Due lettere, che comprendono una personalità con tanti pregi e difetti.

Gli uni e gli altri si confrontano, giorno per giorno, per dar luogo a ciò che viene generalmente definito sostanza di ogni esistenza personale.

Dato che esistono miliardi di questi „IO“ nel mondo, mi chiedo, come sia possibile creare armonia e sostegno duraturo tra di loro.

Ed è da qui che sorge il timore di essere sopraffatto, già addirittura sconfitto, umiliato, perseguitato, torturato, da poter affermare, che a volte una morte precoce e svelta sarebbe la soluzione migliore.

Ecco, via da questo inferno, prima che la sfortuna mi prenda.

Eppure, così non è. Ogni singolo ha il suo destino, che io definisco un derivato di incapacità soggettiva in un ambiente limitato, contro il quale ogni „IO“ diventa vittima o eroe secondo il suo ancora indecifrabile corso e composizione.

Da qui mi sembra, allora, che sia la forza della sopravvivenza che genera in ogni „IO“ lo stimolo di cercare sostegno nei suoi simili, per sentirsi più forte e protetto, e da qui provare gioia e conforto.

Ma proprio così non è, in quanto esiste anche un altro stimolo, quello generante diffidenza, insicurezza che, insieme al primo, danno luogo al flusso alternante di pace e discordia, serenità e odio, generosità e avarizia e così via, che rendono l'uomo un vagabondo, alla ricerca della luce (sapienza) della quale vede solo un bagliore, ma non sa quale percorso scegliere per raggiungerla..

Le annunciazioni cristiane indicano all'uomo come comportarsi per raggiungere il paradiso, ma, alludendo solo a quello celeste, diventano incomprensibili, non vivibili qui in terra, se non con la disposizione alla rinuncia di molti vantaggi e piaceri terreni, fino ad essere pronto al sacrificio ultimo.

Il conflitto tra terra e cielo è così programmato, e in esso l'uomo diventa un condannato per volontà superiore, uguale ad arretratezza costituzionale.

Da qui mi è chiaro, quanto sia lungo e tortuoso il processo evolutivo umano, sempre che esso esista veramente.

Con la ragione non è comprensibile e raggiungibile, in quanto esso si oppone alle costrizioni dimensionali, per cui non è realizzabile qui in terra.

Cosa dona, allora, il cristianesimo, ad eccezione di una forza immaginaria, illusoria ma consolante, capace di rendere questa vita vivibile, perchè è in grado di mettere scacco matto le restrizioni terrene?

L'IO cristiano, quello vero, considera questa vita la prova di banco per raggiungere una dimensione superiore nel dopo.

Ed io mi ci trovo in questa considerazione, in quanto, prima istintivamente, ma adesso anche perchè confermata dalle continue scoperte scientifiche, considero l'Universo una entità complessa in continue mutazioni per raggiungere un fine evolutivo.

Solo così riesco a spiegarmi il senso dell'esistenza dei contrasti, in ogni loro forma e sostanza, in quanto generano continuamente nuove energie in una dimensione di per sè limitata e quindi destinata a scomparire.

Ma quanto ottimismo è presente in questa considerazione!

Eppure, senza di esso, la vita mi apparirebbe solo crudele, distruttiva, priva della speranza di un buon fine, da pensare che sia proprio questo ottimismo una creazione della forza della sopravvivenza, uguale a sopravvivere oltre i limiti dimensionali, così che ogni atto cruento e crudele compiuto dall'uomo riceverebbe una propria giustificazione, quella di essere inevitabile al conseguimento del processo evolutivo.

Sarebbe come un poter raggiungere il paradiso soltanto attraverso l'inferno dimensionale, che assume così il ruolo di necessità energetica in un processo universale selezionativo e assunto dall'uomo con immagini riflettenti il suo stato interpretativo.

La vita terrena diventa, allora, per l'uomo banco di prova per meritarsi un dopo migliore.

In contrapposizione ad esso sta il fatalismo, che consiste nel considerare tutto ciò che esiste come dovuto, escludendo la capacità dell'uomo di poter migliorare qualcosa.

Entrambe le posizioni sono da considerare di carattere religioso, perchè nascono dal rapporto tra la realtà bruta della vita e la possibile ed auspicabile esistenza di un domani migliore.

Le vittime di questo processo sono il prezzo del suo conseguimento, per cui ritengo possibile che alla fine i premiati diventino esseri di un'altra specie, superiore e migliore.

Nel frattempo mi chiedo, come sia possibile creare equilibrio e quindi serenità e comprensione tra i tanti „IO“ esistenti, se non nell'accettazione reciproca delle differenze personali, quali motore del processo di miglioramento della vita stessa, di modo che dall'IO sorga il NOI.




 
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