Le aporie della
comunicazione
di Carlo Bordoni
Jurgen Habermas (Teorie
dell'agire comunicativo, 1986) sostiene che nelle società occidentali
operano una sfera dell'agire strumentale
(dove agiscono i soggetti economici e il sistema mediatico) e una sfera dell'agire comunicativo (dove operano gli
individui e il sistema di rappresentanza democratica. La sovrapposizione delle
due sfere crea scompensi, confonde i linguaggi e destabilizza gli individui. Un
fenomeno che caratterizza la realtà contemporanea, dove non è più possibile ormai tenere separate le due sfere, che tendono
sempre più a confondersi e a interagire. L'agire comunicativo si è talmente
intriso dell'agire strumentale da non essere più distinguibile da questo, da
lasciarsene condizionare in maniera assoluta. Si può anzi dire che l'agire
comunicativo ne sia condizionato e indirizzato al punto da sviluppare una
restrizione della libertà individuale.
I due
livelli di comunicazione. La svolta epocale dell'età contemporanea, la spinta
inarrestabile che la porta fuori dalla società di massa, è con tutta evidenza,
la comunicazione. Comunicare si è dimostrato essenziale, anzi vitale, non solo
per la qualità della vita, ma per crescere, innovare, migliorarsi. Comunicare
ha permesso di affrancare l'individuo da una condizione sottomessa e umiliante
in cui l'ha spinto l'industrializzazione (la prima rivoluzione tecnologica
dell'età moderna) e i regimi totalitari, con la loro ansia aggressiva di
controllare le masse e, attraverso l'imposizione di un potere politico
autoritario, di controllare il mondo intero.
Comunicare
significa in primo luogo conoscere e la conoscenza è il primo requisito della
libertà. Per questo ogni regime politico cerca di appropriarsi in primo luogo
dei mezzi di comunicazione, di controllare e influenzare il flusso delle
informazioni, tacendo o esaltando, a seconda dei casi, oppure diffondendone di
false o di manipolate. Il controllo della comunicazione equivale al controllo
dell'individuo, ma non si deve pensare che si tratti di una pratica recente: il
nostro pensiero va immediatamente ai regimi totalitari del secolo scorso, ai
fascismi e ai nazismi, ma anche ai comunismi, dove la negazione del sapere è
affidata a un apparato specializzato ed efficiente. Il controllo
dell'informazione viene da molto lontano, non ha certo bisogno della radio, dei
giornali o della Tv per importi su larga scala. Già al momento
dell'introduzione della scrittura come strumento privilegiato di trasmissione
del sapere e dell'informazione, il potere (c'è sempre qualcuno che decide per
gli altri e in loro nome, per il bene comune) ha riservato a pochi eletti il
compito di occuparsene, lasciando la grande maggioranza della popolazione
nell'ignoranza. Si dirà che era giocoforza operare una distinzione tra chi
doveva occuparsi del sapere (pochi) e chi delle attività produttive, difensive,
ecc. (molti). Questione di costi e di opportunità, oltre che di esigenze
pratiche, come quella di riservare ai migliori, ai più adatti, lo svolgimento di un compito che
richiedeva particolari abilità intellettuali.
Sta di
fatto che non è pensabile sia sfuggito al “potere” l'evidenza di una netta
distinzione sociale determinata dall'acquisizione della conoscenza, tale da
lasciare la maggioranza della popolazione nell'impossibilità di godere dei
progressi della scienza e, quindi, di evolversi.
Oggi la
comunicazione ha riempito il mondo, lo ha unito e amalgamato, diffondendo la
possibilità fisica di comunicare fin negli angolo più
sperduti del pianeta, al di là delle barriere fisiche, politiche e di
linguaggio. L'informazione e il sapere sono garantiti e
disponibili a chiunque, basta saperli cogliere, basta avere gli strumenti della
“distinzione! Per trarne beneficio. È qui che si pone il problema della
doppia caratteristica del comunicare, scissa in due portanti che viaggiano su
due distinti livelli che (strano a dirsi) “comunicano” poco fra loro. Sono due
livelli che funzionano sotto gli occhi di tutti, rientrano nelle abitudini
quotidiane, ma sono confusi nella pratica comune, come se si trattasse di un
tutto unico, come se non fossero distinti.
La
comunicazione di primo livello è quella “ufficiale”, che gira attraversi i
tradizionali mass media, dai giornali alla radio, dalla televisione al cinema.
La sua caratteristica, oltre all'estrema invadenza e pervasività
(tale da essere divenuta la principale responsabile dell'immagine culturale del
nostro mondo), è la sua modalità di diffusione univoca: da un centro verso la
periferia, dall'alto verso il basso, dall'uno ai tanti. Il suo scopo precipuo è
la diffusione sui grandi numeri, con scarse possibilità di retroazione. Questo
tipo di comunicazione è divenuto, in epoca moderna, progressivamente più
importante, grazie alle nuove tecnologie, dal perfezionamento dei sistemi di
stampa alla trasmissione via etere e via cavo, dalla digitalizzazione
all'informatica.
Il
secondo livello di comunicazione è invece di tipo orizzontale, non
necessariamente ristretto a pochi, ma la cui caratteristica è la possibilità di
dialogo, di relazione reciproca, di interazione anche a livello individuale.
La
comunicazione sta diventando sempre meno comunicativa. Sembra un controsenso,
eppure è una conseguenza – la più immediata – della sovrapposizione caotica dei
diversi media su scala mondiale. Anche questo è un effetto della
globalizzazione: la facilità e la rapidità del comunicare hanno esteso i suoi
confini all'intero pianeta, superando i limiti nazionali, linguistici,
politici; attraversando le frontiere grazie alla sua qualità straordinaria:
l'immaterialità.
Viviamo
in un mondo in cui prevale l'immateriale: non solo la comunicazione e buona
parte del lavoro che svolgiamo sono pratiche immateriali, ma anche il denaro è
una convenzione non sostanziale. Accrediti e addebiti non sono altro che
scritture telematiche sul nostro conto bancario, laddove si depositano
virtualmente stipendi ed emolumenti o si sottraggono trasferimenti, bollette e
spese autorizzate con carte di credito. Tra ricchezza e povertà la differenza è
data da una stringa di caratteri alfanumerici, da una relazione di “fiducia” su
cui tutti conveniamo. In questo mondo immateriale in cui si spende denaro
elettronico, si fanno investimenti con trasferimenti di crediti virtuali, si
producono sempre più beni immateriali e servizi, l'opulenza è reale. La produzione
di cibo, oggetti di consumo, strumenti e apparati tecnologici è più alta che in
passato: ha un che di miracoloso che solo gli economisti possono spiegare.
L'immaterialità
della comunicazione comincia a denunciare i suoi problemi di crescita: non è
solo la realizzazione utopistica del villaggio globale preconizzato da McLuhan, in cui tutti possono parlarsi con facilità,
conoscersi e darsi una mano come tra vicini di casa. Il villaggio globale
rischia di diventare una babele caotica di suoni, segni e immagini, dove è
sempre più difficile orientarsi e cogliere il messaggio che ci sia utile.
Nella
sovrabbondanza di comunicazione i rischi sono ovvii: in primo luogo la
stanchezza che si produce in chi riceve. Un eccesso di comunicazione causa un calo di attenzione, con una
significativa dispersione di dati. Poi è inevitabile una perdita di valori, con la conseguente sottovalutazione
dell'importanza del messaggio: in questi casi l'overloading di comunicazione
rende l'informazione, pur significativa, come scontata, ripetitiva e dunque
banale. Il susseguirsi di notizie catastrofiche, ad esempio, alla lunga produce
apatia e disinteresse in chi ascolta (come nel caso della favola “al lupo, al
lupo”, che sintetizza l'allarmismo ingiustificato, tale da rivelarsi fatale
quando la minaccia si concretizza). A ciò si aggiunge il rapido oblio delle informazioni ricevute, dovuto allo stesso
eccesso di messaggi da ritenere.
E infine
l'incertezza della ricezione: nel
caos dei media che si sovrappongono e si moltiplicano, ognuno con la sua
urgenza e la sua necessità di imporsi, è facile che l'obiettivo non sia
raggiunto. La comunicazione perde tutto il suo valore, diviene inutile, uno
spreco assoluto di energie, quando non raggiunge il suo target: il destinatario
è assente, distratto o impegnato a ricevere una o più comunicazioni. Più
aumentano i media, più la comunicazione sono facilitate, rapide, molteplici,
più danno voce a emittenti diverse, e più il rischio di non arrivare a
destinazione è alto.
Facile
quando i media erano pochi, quando il messaggio trasmesso attraverso un canale
televisivo o due aveva la matematica certezza di essere ascoltato da tutti o
almeno dalla maggior parte degli utenti. Adesso la frammentazione delle fonti e
degli ascolti su una miriade di canali di trasmissione generalista si superano
attraverso la “personalizzazione”, l'invio di messaggi “asincroni”, destinati a
uno specifico destinatario e disponibili per un tempo sufficientemente lungo da
essere recepiti con comodità. Non serve, infatti, restare davanti al computer
per ricevere un messaggio di posta elettronica, come non è necessario avere il
telefonino acceso per ricevere un sms.
L'immediato
futuro della comunicazione dovrà dunque tener conto di questi rischi e prendere
le necessarie misure per contenere la perdita d'informazione utile, a scapito
di quella inutile, fasulla, illecita o semplicemente sovrabbondante. Per
raggiungere questo scopo è probabile sia dato maggiore impulso alle
comunicazioni “asincrone” e si modifichino sensibilmente quelle generaliste. Ci
aspetta un domani in cui giornali, radiogiornali e telegiornali cambieranno
forma e modalità di trasmissione (per ora ancora assimilabile al quotidiano
stampato, nell'impaginazione come nella modalità di trattamento delle notizie),
piuttosto visibili on demand,
a richiesta dell'utente, e non a orari prestabiliti. I canali tv sempre più
monotematici e indirizzati verso un pubblico specializzato. I quotidiani e la
stampa periodica sempre meno cartacea e più elettronica.