Come molti penso sapranno, il 25 e il
26 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimere il loro voto
sulla proposta di referendum avanzata dal comitato avverso alla riforma costituzionale
deliberata dal precedente governo con il voto favorevole solo dello
schieramento di centro-destra.
Questa legge, meglio conosciuta con
l'appellativo di “devolution”, a chiaro sintomo della
sudditanza non solo politica, ma anche culturale di non pochi italiani, attua
una profonda e corposa riforma della nostra costituzione, con il pretesto di
adeguarla alle mutate esigenze della nazione, uniformandola ad analoghi statuti
che reggono paesi definiti dai proponenti più evoluti e moderni, quali la Francia,
gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra.
A parte il metodo con cui si è
avviata e deliberata questa riforma, per nulla in sintonia con lo spirito della
nostra Costituzione, intesa dai padri fondatori della Repubblica come una “Casa
Comune”, ritengo opportuno mettere in evidenza come si debba parlare più di
riforma politica con implicazioni istituzionali che di rinnovamento
istituzionale con riflessi politici.
La mancanza di collegialità del
nostro parlamento nell'approvare questa riforma dimostra da sola, e
inequivocabilmente, che si tratta di un qualche cosa
di parte e non di una concertazione comune.
Si è parlato di benefici in termini
di snellezza delle procedure legislative, di minori costi per un più ridotto
numero di parlamentari, di una chiarezza esemplare nelle attribuzioni dei
poteri, ma posso tranquillamente affermare che ciò non risponde al vero.
Quindi è opportuno tratteggiare le
novità di questa legge, limitandomi, non solo per ragioni di spazio, ma anche
perché penso che sarebbero di difficile comprensione alla maggior parte dei
lettori, non adusi a termini giuridici, a delineare quelle che appaiono più
rilevanti e controverse.
Mi riferisco ” in primis ”, alla riforma del Capo del Governo.
Il testo costituzionale non parla più
di Presidente del Consiglio dei Ministri. Parla di “Primo Ministro”. Si utilizza, cioè, un termine, che non a caso la Costituente non aveva utilizzato. L'espressione “primo ministro” infatti era stata
introdotta da una delle c.d. leggi fasciste (l. 24 dicembre 1925, n. 2263, art.
1).
Nella riforma il Primo ministro:
- è eletto a
suffragio universale e diretto dal popolo (art. 92);
- non necessita della fiducia della
Camera (“ … la Camera
si esprime con un voto sul programma …” (art. 94, comna
1);
- il Primo ministro determina la
politica generale del Governo. Egli dirige, promuove e coordina l'attività dei
ministri. Non è più, quindi, come nel sistema attuale, uno sopra le parti; è il capo-padrone che comanda e dispone.
- Il Primo ministro chiede al
Presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera dei deputati, che
provvede con decreto (art. 88, comma 1, lett. a)).
- “Il Primo ministro può porre la questione di fiducia e chiedere che la Camera dei deputati si
esprima con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle Proposte
del Governo, nei casi previsti dal suo regolamento. La votazione ha luogo per
appello nominale. In caso di voto contrario il Primo ministro si dimette”
(art. 94, comma 2)
Le dimissioni del Primo ministro comportano lo scioglimento della
Camera (salvo nel caso in cui venga presentata una
mozione di sfiducia costruttiva, oggetto di una disciplina estremamente
complicata e di fatto inapplicabile).
In buona sostanza, il Primo Ministro
può sciogliere la Camera,
ma questa non può sfiduciarlo senza determinare con la sua stessa sfiducia il
proprio scioglimento. Quindi la vita della Camera e quella del Primo Ministro
corrono sullo stesso binario,
nel senso che esistono e cadono insieme.
E' facilmente comprensibile come ciò
comporti un radicale stravolgimento del garantismo costituzionale, elemento
portante della Costituzione del 1948.
Inoltre, questa norma di fatto ci
esclude dai principi democratici dei maggiori paesi occidentali, perché in
nessun sistema il parlamento si regge sulla fiducia del governo, senza
dimenticare che in tal modo viene a mancare l'indispensabile indipendenza fra
l'esecutivo e il legislativo.
A fronte delle critiche il governo
precedente ha tentato un espediente sterile, dicendo semplicemente che si è
operato in analogia con le costituzioni francesi, inglesi e americane.
L'affermazione
non solo è inesatta, ma falsa e dimostro subito il perché.
L'art. 12 della Costituzione Francese
prescrive che: “Il Presidente della
Repubblica può, sentito il Primo ministro e i Presidenti delle Assemblee,
sciogliere l'Assemblea nazionale”.
Negli
Stati Uniti il Congresso è del tutto indipendente rispetto al Presidente. Il
Congresso non può sfiduciare il Presidente; il Presidente non può sfiduciare il
Congresso.
Il
riferimento alla Costituzione inglese, ammesso sia possibile, è ancora più
inesatto. La Costituzione
del Regno Unito non è come quella italiana una Costituzione scritta; essa è il
risultato di stratificazioni successive nelle quali ha un ruolo rilevante la
prassi. E' quindi a priori metodologicamente sbagliato
porre a confronto due esperienze così diverse. In ogni caso il potere di dissolution (potere di scioglimento delle camere) che in
epoca passata è stato di fatto utilizzato dal Premier inglese oggi è “caduto in
desuetudine nella Gran Bretagna del parlamentarismo avanzato” (Torre, in www.associazionecostituzionalisti.it). La dissolution è quindi un decrepito fantasma del sistema
costituzionale britannico, sistema in cui, in ogni caso, il premier dopo le
elezioni è (a differenza della riforma Costituzionale che stiamo esaminando)
soggetto alla fiducia parlamentare. (*)
Insomma, il rischio è che si
introduca una tirannia della maggioranza.
Il Presidente della Repubblica, già
con pochi, ma ben delineati poteri, diventa una figura meramente
rappresentativa, una sorta di re senza scettro e senza trono, senza più nemmeno
rappresentare l'unità nazionale, perché il dominus sempre, e comunque, sarà
il Primo Ministro.
La vera e propria devolution,
cioè il trasferimento di alcune competenze dallo Stato alle regioni, è
contenuto nel nuovo articolo 117. In buona sostanza la
sanità, la scuola e la polizia locale saranno di esclusiva competenza regionale,
con l'inevitabile conseguenza di disparità di trattamento, anche essenziali,
fra una realtà e un'altra. A questa norma poi si associa anche il cosiddetto
“Federalismo fiscale”, da attuarsi entro tre anni dall'entrata in vigore della
nuova costituzione, con il riconoscimento di un'ampia autonomia impositiva alle Regioni,alle
Province, alle Città Metropolitane e ai Comuni.
Come per gli altri precedenti
articoli, tuttavia, non vengono ben definiti i poteri
delegati e di conseguenza, al di là dell'opportunità o meno della normativa, è
più che lecito attendersi un'insorgenza di conflitti fra organismi che, anziché
snellire l'apparato pubblico, finirà con l'appesantirlo in misura non
facilmente prevedibile, ma senz'altro corposa.
Ciò premesso, dopo questa disamina
abbastanza veloce e peraltro non dell'intera legge di riforma costituzionale,
nel mentre mi corre l'obbligo di evidenziare come in effetti
sia necessario un ammodernamento del nostro Statuto, pur senza arrivare a
violarne lo spirito, faccio presente che la precedente maggioranza ha di
recente riconosciuto essa stessa i non pochi limiti e difetti della sua legge,
proponendo all'attuale governo un'azione concertata per pervenire a un generale
aggiustamento. Un'ombra però grava sulla sincerità di questo proposito: che il
centro-destra sia divenuto accomodante nel timore che il 25 e il 26 giugno gli
italiani boccino questa legge, con inevitabili ripercussioni politiche e di
immagine.
Da parte mia sono dell'idea, come
del resto persone molto più edotte di me nella
specifica materia (si può dire che pressoché tutti i costituzionalisti hanno
bocciato questa legge), ripeto sono del fermo convincimento che al seggio non
debbano esserci dubbi, che il “NO” debba essere
chiaro e inequivocabile, proprio per dimostrare a chi voleva stravolgere
concetti radicati che il potere è e deve restare nelle mani dei cittadini
italiani.
Formulo anche un appello: non
disertiamo questo appuntamento, affluiamo in massa, dimostriamo a noi stessi e
al mondo intero che siamo un popolo che vuole restare libero di decidere il
proprio avvenire.
(*) Giuseppe
LOSAPPIO. Brevi riflessioni sul metodo e sui contenuti (il c.d. premierato in particolare) di una riforma della
costituzione francamente anti-costituzionale. Articolo reperito sul sito ttp://www.referendumcostituzionale.org/