Albero
dolomitico
di
Alessandro Ramberti
Coi
bracci di te ricami il cielo
-
vengono
dai piedi vibrazioni
un´umida
linfa ti tonifica
e
irrora il respiro mentre ascendi
trovi
il tuo terreno quello libero
copri
il sottobosco e lo tuteli
col
manto mutante e traforato
dai
raggi dal vento dagli scrosci
ti
afflosci e rialzi resiliente
ti
estendi laddove il sole attira
ti
fai vecchio anello dopo anello
maturi
da solo o in compagnia.
Ad
ogni visuale risalendo
la
rapida svolta in mezzo al bosco
mi
trovo a spaziare come uccello
sul
fondo vallivo che dal fiume
ferita
d´argento fra i vigneti
si
perde nel verde degli abeti
e
poi in altezza si distende
sul
grigio-smeraldo in cui scorrazzano
le
mandrie bovine con il suono
tranquillo
e pacioso dei muggiti
e
quello brillante dei metalli
pendenti
dai colli ed echeggianti
nel
vento più fresco delle cime.
Che
belle le crode quando cala
la
luce al tramonto e le riscalda
del
soffice arancio e poi del rosa
che
infine digrada verso il bigio
per
farsi più grigio e più stellato
man
mano che il cielo si scurisce.
Mi
trovo seduto su una roccia
che
spunta tetragona dal prato
da
questa radura meridiana
che
poco più in alto si fa pietra
propago
lo sguardo tutt´attorno
mi
vedi apparentemente solo
ma
vibra di suoni l´atmosfera
risplende
pulsante nella volta
la
Via che dal latte prende nome
e
i rami degli alberi commossi
si
lasciano prendere dal buio
sapendo
che all´alba ci sarà
quell´astro
potente a dileguare
il
sonno il torpore la stanchezza.
Abbiamo
noi uomini radici
più
mobili nelle nostre piante
possiamo
nutrirci in più terreni
ricevere
linfe a latitudini
diverse
e incrociare ad ogni svolta
i
volti più insoliti le essenze
più
rare - perfino più veloce
del
nostro procedere è il pensare
l´immaginare
mete
così
che ci pare di non essere
di
non aver luogo o consistenza
sembriamo
degli alberi in cammino
sul
punto di fare una caduta.
Vorremmo
affondare in quel momento
nell´humus
che ci ha dato la vita
nel
plesso dei nostri genitori
nel
tronco di chi li ha preceduti -
c´è
questa tensione fra lo stare
che
ci rassicura e quel che viene
carico
un po´ sempre di mistero:
ci
sembra di stare in una bolla
del
tutto precaria e sobbalzante.
Riconsideriamo
fiduciosi
le
nostre gravezze i nostri errori
alzando
le palme il capo e gli occhi
a
quel firmamento che per primo
ci
accolse ci illumina e consola
ci
specchia ci fa riverberare
nelle
altre presenze del creato.
Qui
posa la suola se lo vuoi
su
questo sentiero laterale
ci
sono pozzanghere e sterpaglie
giù
in basso ma quando rompi il fiato
e
ascendi con lena dopo i faggi
ti
giunge l´odore delle resine
e
poi si apre il pascolo e più su
ci
sono le rocce a sostenerti
e
allora ti impregni di celeste
sei
cresta di un albero che allarga
le
fronde dal tronco e si consegna
con
tutti gli anelli e la sua storia
all´unico
richiamo dell´amore.
Da Enchiridion
celeste (Fara, 2022)