Figli
di
Piera Maria Chessa
“Sei
stanca?”
“No.”
“Accipicchia, che
resistenza ha la mia bambina, sei davvero brava!”
Il
brevissimo dialogo arrivò nitido alle orecchie di Vera, che in
quel pomeriggio di inizio gennaio percorreva la centralissima via
Garibaldi, particolarmente congestionata dal traffico. Il Natale era
trascorso e anche il Capodanno, ma c’era ancora l’Epifania
da festeggiare e per i più piccoli qualcosa doveva ancora
arrivare per chiudere alla grande le festività. Lo dimostrava
il fatto che tutti i numerosi parcheggi a disposizione degli
automobilisti fossero occupati.
Fu proprio nel momento in cui si
dirigeva verso l’ingresso di un grande centro commerciale che
si trovò ad affiancare quel padre che teneva per mano la sua
bambina.
Fu colpita innanzitutto dall’età piuttosto
giovane dell’uomo, poi dalla tenerezza e l’attenzione che
dimostrava verso la figlia perchè, ne era certa, era sua
figlia, tanto somigliavano nell’atteggiamento e in alcune
caratteristiche fisiche che, sia pure frettolosamente, ebbe modo di
notare prima di superarli e procedere oltre.
Entrò quindi
nel negozio e dimenticò presto quel breve incontro, per
dedicarsi anche lei agli ultimi acquisti prima del fatidico giorno
della befana.
Non amava il consumismo né sprecare i soldi
in cose futili, ma a suo figlio Davide voleva fare ancora un regalo.
Se lo meritava, era un bambino buono, curioso, educato, che potevano
volere di più, lei e suo marito, da un ragazzino di dieci
anni? Gli piacevano i libri, disegnare e dipingere, e amava tanto la
musica, a tal punto da avere una piccolissima collezione di minuscoli
strumenti musicali.
Non era mai stato difficile scegliere dei
doni per lui, ogni cosa sarebbe stata comunque apprezzata. Acquistò
un libro e una chitarra di dimensioni estremamente ridotte, un
piccolo oggetto che avrebbe senz’altro gradito. Ancora una
volta sarebbero andati sul sicuro, ancora una volta, la mattina
dell’Epifania avrebbero gioito nel vedere nei suoi occhi
quell’allegria che solo da piccoli sa essere così
profonda e sincera.
L’Epifania
trascorse e le vacanze natalizie si conclusero. Vera non si era
sbagliata, Davide aveva gradito molto i loro doni, ora era arrivato
il momento di rientrare a scuola e agli amici avrebbe raccontato dei
regali che aveva ricevuto per Natale, e anche degli ultimi, i più
vicini, forse per questo quelli che ai suoi occhi sembravano i più
interessanti.
Ricominciare con la scuola non fu difficile. Certo
era stato piacevole dormire al mattino un po’ di più,
oppure semplicemente rilassarsi sotto le coperte, o magari la sera
rimanere svegli più a lungo a guardare il programma preferito,
ma il piacere di incontrare nuovamente gli amici e raccontare loro
dei piccoli aneddoti riguardanti i giorni di festa, sarebbe stato pur
sempre un divertimento e motivo di gioia.
Quel
giorno pioveva, si direbbe anzi che il cielo, quel giorno, volesse
proprio ripulire il mondo da tutte le brutture buttando giù
acqua con generosità.
Di solito Davide andava a scuola da
solo perché l’istituto era vicino, e poi lui si sentiva
già grande, dieci anni compiuti, il quinto anno della scuola
primaria, l’anno successivo avrebbe incominciato a frequentare
le medie, ma quella mattina, quando Vera gli propose di
accompagnarlo, lui non le disse di no. Così salirono in auto
velocemente, un po’ per via della pioggia e un po’ perché
faceva freddo.
Arrivarono a scuola con qualche minuto di ritardo
a causa del traffico che, lungo il breve percorso, si era
naturalmente intensificato.
Davanti al cancello si salutarono e
Davide entrò di corsa. Mentre Vera andava via incrociò
una bambina che arrivava in quel momento con il papà. Ebbe un
attimo di perplessità, poi li riconobbe: era la ragazzina
incontrata nella via Garibaldi nei frenetici giorni precedenti
l’Epifania, e il giovane uomo che l’accompagnava era suo
padre.
Mentre rifletteva, sentì la voce di Davide che
vedendola arrivare si era fermato per aspettarla.
“Dai,
Cinzia, siamo in ritardo, oggi una bella sgridata non ce la leva
nessuno! Ma doveva piovere così, proprio oggi che alla prima
ora abbiamo la maestra di matematica!”
A Vera venne da
sorridere pensando all’insegnante che conosceva ormai da cinque
anni. Generosa, preparata, ma un po’ rigida. I ragazzi le
volevano bene perché ne intuivano la bontà, ma non
riuscivano in sua presenza a sentirsi del tutto rilassati.
Quando
i due bambini si allontanarono, Vera si avviò verso l’auto,
dopo aver scambiato un cenno di saluto con il giovane papà.
Dunque,
i loro figli frequentavano lo stesso istituto, anzi, erano inseriti
nella medesima classe. Una curiosa coincidenza.
Al
rientro dalla scuola, mentre pranzavano insieme, Davide, come era
solito fare, parlò con i genitori delle cose che al mattino lo
avevano maggiormente interessato. Vera prestava sempre molta
attenzione ai racconti del figlio. Lo avevano sempre fatto, per lei e
per Carlo, suo marito, nel corso degli anni era stato un impegno
continuo coltivare quotidianamente il dialogo con lui, convinti
entrambi che fosse quella la strada giusta per aiutarlo nella
crescita.
“Oggi, la maestra di matematica, quando io e
Cinzia siamo entrati in classe, ci ha sgridato un po’ perché
eravamo in ritardo, ma non tanto. E’ andata bene!”, disse
Davide con un certo sollievo.
Vera lo guardò e approfittò
di quel riferimento per sapere qualcosa di più sulla bambina
che lei non ricordava di avere mai visto tra i suoi compagni, che
conosceva ormai da cinque anni, da quando per la prima volta lo aveva
accompagnato a scuola.
“Non conosco la compagna con la
quale stamattina sei entrato in classe, è una nuova
amica?”
“Parli di Cinzia? Sì, quest’anno
c’è anche lei con noi, prima frequentava in un’altra
scuola, poi è venuta con il papà ad abitare in una casa
che non è troppo lontana da qui.”
“Capisco.”,
disse Vera.
Rimase qualche istante a riflettere, poi chiese
titubante guardando di sfuggita suo marito:” Perché,
Davide, dici che Cinzia è andata a vivere in una nuova casa
con il papà?”
Suo figlio la guardò, si fece
serio, poi disse:” Sapete, io sono un ragazzino fortunato,
veramente fortunato, ho te e ho papà, cosa posso desiderare di
più? Ma per Cinzia non è così, lei ha suo padre
ma la mamma ora non c’è più, e non vuole più
stare nella casa dove prima abitavano tutti insieme.”
Vera
avvertì un brivido lungo la schiena e non ebbe il coraggio di
fare altre domande. Guardò Davide, poi suo marito, non si
dissero niente ma si capirono perfettamente.
Fu in quell’istante
che entrambi ebbero la consapevolezza che il loro bambino
incominciava a diventare grande.
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