Comunque
di
massimolegnani
Già
dalle prime volte avevo notato come lei usasse quella parola un po’
a casaccio, non per controbattere una mia affermazione, o per aprire
o chiudere un suo discorso. No, la usava in modo bizzarro, dopo un
silenzio che si faceva pesante, e la faceva seguire da altro,
inquietante, silenzio. Comunque, e si accendeva una sigaretta
che poi fumava con una perplessità muta. Oppure, Comunque,
diceva, e si alzava dalla panchina per andare via salutandomi con un
cenno della mano.
Sì,
l’avevo conosciuta su una panchina di quel misero parchetto che
c’è al Giambellino. Non l’avevo abbordata io, io
ero già lì, impegnato a inseguire nella mia testa trame
di improbabili racconti, in pratica ero sfaccendato come sempre, lei
si era seduta all’altro estremo con un gattino in braccio, una
distanza consona alla sua riservatezza. Non sembrava proprio il tipo
che attacchi a parlare con uno sconosciuto e infatti nonostante le
proponessi il mio profilo migliore, il sinistro privo di cicatrici e
ingentilito da un raggio di sole, mi ignorò bellamente, tutta
presa dal suo animaletto. Gli parlava e lo coccolava sbaciucchiandolo
di continuo, ma lui non sembrava gradire tutte quelle smancerie. Ogni
tanto sentivo un suo miagolio soffocato. A un certo punto il piccolo
felino ne ebbe abbastanza, si divincolò graffiandole una mano
e fece un balzo verso la libertà. Ma la bestiola, poco esperta
in acrobatiche fughe, completò il balzo proprio addosso a me
che fui lesto ad agguantarlo e a restituirlo alla sua padrona.
Fu
così che ci conoscemmo. Seppi il nome del gatto prima del suo.
A
quello seguirono altri incontri, i primi casuali, abitava anche lei
in zona, i successivi concordati con cauta curiosità, cinema,
cenette in trattoria, uscite per acquisti. La mia era una lentissima
marcia d’avvicinamento verso una conoscenza più
soddisfacente, che però non raggiunsi mai. Già, perchè
lei, anche se sembrava gradire la mia compagnia, restava vaga nei
propositi, indecifrabile negli atteggiamenti. Quando mi facevo più
intraprendente con proposte più ardite, non sempre decenti,
lei guardando fisso davanti a sé, che fosse lo schermo del
cinema, il traffico di strada o la facciata dell’ospizio in
fondo al viale, immancabilmente mi smontava con quell’unica
parola soffiata al vento: Comunque!
E
poi silenzio.
L’albero
di
massimolegnani
Camillo
non voleva risultare inopportuno, perciò si tratteneva dal
dire ma taceva a stento, per quanto lui di solito nel silenzio ci
sguazzasse.
Passeggiavano
sul limitare di una pineta, ma a lui sembrava di essere solo, lei gli
era accanto unicamente per educazione, ne era convinto, quelle
cortesie che si usano verso chi è ritenuto ormai vecchio e
inoffensivo. E vecchi si può apparire anche a cinquant’anni,
se si ha di fronte una persona di venti o poco più. Fremette
di rabbia e desiderio perché avrebbe voluto essere amico della
ragazza, darle qualche consiglio e magari qualche cattivo esempio,
piccole ribalderie sconsiderate, azzardi fuori luogo.
Così
procedevano in silenzio, interrotto ogni tanto da frasi banali tra
formalismo e impacci. Gli sarebbe piaciuto parlarle in gaelico o in
swahili in modo da trasmetterle solo le emozioni e non le parole che
sono sempre a rischio, meno sono vaghe più sono pericolose. Ma
sarebbe stato tempo perso, lei non avrebbe colto l’atmosfera, e
poi lui non conosceva quelle lingue esotiche, a malapena l’italiano.
Poi
accadde qualcosa di imprevisto, una breve raffica di vento che le
scompigliò i capelli mettendo a nudo un orecchino più
civettuolo dell’atteso, dissonante dalla sua riservatezza. Si
appese all’ampio cerchio dorato che pendeva dal lobo, come un
ginnasta si afferra saldo agli anelli e si libra magnifico nell’aria.
Anche Camillo tentò qualche volteggio:
È
ora che prendi coraggio e ti arrampichi sull’albero.
Lei
guardò perplessa le piante maestose e rispose confusa:
Adesso?
Con queste scarpe?
Ma
no, era una metafora per spingerti a osare nella vita. E io potrei
aiutarti…
Ah,
era una metafora. Diffido delle metafore, sono ambigue.
Sono
il mio pane. È come usare il gaelico.
Gaelico?
Per farne cosa?
Comunicare,
trasmettere il senso segreto dei pensieri, usare un rituale.
Ma
il gaelico è un pane mistico, come l’ostia?
Camillo
perse la presa sul cerchietto d’oro e stramazzò per
terra.
Avrebbe
dovuto tacere, lo sapeva.
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