L’incipit
rubato
di
Grazia Giordani
Le
sembrò una manna caduta dal cielo quell’incipit che le
arrivava per posta elettronica, quale didascalia di una foto d’altri
tempi. Non era sua abitudine compiere furti letterari, ma questa
volta fu più forte di lei, quasi un’impellenza
incoercibile la spingesse all’appropriazione indebita.
Da
tempo non subiva l’effetto di suggestioni notevoli. La cronaca
era gremita di fatti di sangue, ma le sarebbe parso troppo banale
ricalcare l’orrore di cui si parlava in quei giorni su tutti i
quotidiani, assordata dagli opinionisti televisivi che – se non
avessero sproloquiato sulla morte terribile di una ragazzina uccisa e
forse poi violata – le sarebbero sembrati grotteschi venditori
di fumo.
«Ecco
l’interno del negozio di F* – recitava la didascalia –
.Sembra molto grande, ma è il grandangolare che lo fa apparire
così. In realtà è un luogo stretto, con una
finestra nel fondo che dà su un magnifico giardino abbandonato
ed inselvatichito. Il proprietario è al suo posto di
combattimento. Cominciò a lavorare come garzone a metà
degli anni Trenta, quando aveva una decina d’anni. Poi, i
proprietari del negozio lo adottarono perché non avevano figli
e lui, verso la fine degli anni Quaranta, divenne proprietario. Mia
madre abitava nella stessa strada, una cinquantina di metri più
su. Conosce da sempre questo negozio e mi dice che anche quando
c’erano i proprietari originali vendeva pochissimo, roba
vecchia e fuori moda. L’erede è rimasto fedelissimo a
questo modello imprenditoriale e quando non ce la farà più
ad alzare la saracinesca, mi mancherà molto . . . »
Si
può avere un transfert di fascinazione solo leggendo una
didascalia a corredo di una foto che racconta una storia impolverata
e quindi, se si è suggestionabili, piena di risvolti
misteriosi?
Evidentemente
sì, visto che non ho esitato a mettermi in treno, diretta
verso una delle città più antiche delle Marche, vero
museo a cielo aperto.
Ero
soprattutto interessata al giardino inselvatichito e al clima di quel
luogo patinato dal tempo, da cui Simenon avrebbe tratto chissà
quale trama fatta di atmosfere torbide.
La
conoscenza dell’animo umano nelle sue pieghe più fosche,
si sarebbe messa subito in moto, magari scomodando Maigret a dargli
una mano.
Il
grande belga non aveva bisogno di pozze di sangue, di corpi
dilaniati, i suoi noir nascevano dalla impietosa conoscenza del cuore
dell’uomo.
Che
il vecchio signore al banco del negozio fosse figlio adottivo, già
avrebbe potuto infiammare la fantasia del mio giallista di culto, per
non parlare di quell’ammasso di scampoli di tessuti fuori dal
tempo e di quelle maglie che sembravano abitate da corpi di defunti e
soprattutto di quel giardino da cui avrebbero potuto sgusciare
all'esterno non solo bisce attorcigliate alla sterpaglia, mentre
dimenticati cadaveri riposavano sepolti nel profondo, frutto di
antiche vendette.
Ho
comprato due inservibili grembiuli e una pezza di stoffa a quadretti
da cui trarre rustiche tovaglie. Mi aggiravo come un detective tra
gli scaffali, sotto l’occhio ineffabile del placido
proprietario.
Ma
l’ispirazione noir è rimasta nascosta dentro i vecchi
cassetti e le lucide vetrine, gelose custodi di un passato che è
andato spegnendosi persino dentro l’entusiasmo della mia
ricerca d' ispirazione.
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