Clodomira Clodovani aveva fatto un sogno, e che sogno!
Si era
svegliata di soprassalto, tutta sudata tra i seni minuscoli, rossa in viso per
la vergogna e, subito, aveva spiato Lillo che le dormiva accanto.
Il marito russava vigorosamente volgendole la
schiena come sempre. Clodomira aveva tirato un sospiro di sollievo, come chi
scampa a un pericolo mortale e, immobile nella sua porzione di lettone, aveva
provato a rievocare quella visione che ormai ostinata le infestava le notti. Solo per capire meglio, però, senza
alcun compiacimento; poteva giurarlo davanti all'immagine della Madonnina col
manto azzurro, nera nera in viso, che teneva nel
porta-rosario del comodino.
L'aveva
comprata su una bancarella, quella strana Madonna, durante la visita al
Santuario di Tindari, in occasione del suo unico
viaggio da signorina bene del
dopoguerra alla scoperta di un mondo rinnovato e avido di bellezza; e quale
meta più affascinante della Sicilia, culla della civiltà?
Subito dopo la visita al santuario,
passeggiando estasiata nell'antico teatro greco, aveva conosciuto Lillo: “Letterio Pulvirenti,
all'anagrafe” come aveva subito precisato lui, inchiodandola con uno
sguardo da predatore.
Era stato
uno scontro di razze: lei, compunta, istruita signorina del nord votata
probabilmente alla castità, e lui, rozzo sciupafemmine d'indiscussa reputazione, arrogante, sfacciato e tenacemente schitto.
Più diversi
non si potevano immaginare.
Esile, timida, eterea la Clodomira, talmente
bionda da non avere un solo pelo in tutto il corpo, gli occhi dorati
perennemente abbassati quasi a contemplare le severe scarpette da college
inglese. Olivastro e quasi arabo Lillo, peloso come uno scimmione, con i capelli così neri da tendere al viola. Aveva
denti come perle, però, pronti a mordere la vita e a sfolgorare, subito dopo,
in sorrisi abbacinanti. Abituato a vincere sempre, soprattutto in fatto di femmine.
Una
scommessa era stata la Clodomira:
l'avrebbe sedotta, così come usava fare con tutte le altre straniere di
passaggio belle o brutte, giovani o mature che fossero.
Qualcosa però era andato storto. Lillo non
aveva fatto i conti con una specie d'ottusità che caratterizzava la ragazza: un
eccesso o un difetto (chi può dirlo?) d'intelligenza e sensibilità che lo aveva
spiazzato.
Nel santuario di Tindari
avevano finito con lo sposarsi, estenuati dalla lotta: gli occhi bassi, lei; lo
sguardo fisso e interrogativo alla Madonna nera, lui.
Anni erano
passati da allora. Anni senza figli, senza dolori o gioie, tutto sommato, tranquilli.
Lillo aveva perso i suoi bei capelli neri,
rimpiazzati da una tigna grigiastra che addebitava a un eccesso di virilità, e aveva
messo su una pancetta molliccia da impiegato che era una pena. Clodomira invece
si era come rinsecchita, prosciugata, e i
suoi deboli capelli biondi, inariditi dalle tinte, la facevano sembrare,
ogni giorno di più, una scopa di saggina. Aveva mantenuto il suo accento del
nord però, e forse questo era il suo unico vezzo, ciò che rimaneva della sua
timida femminilità, della giovinezza.
“Ma la
signora non è di queste parti?” capitava che le chiedessero in un negozio
per esempio e, subito, Clodomira diventando tutta rossa rispondeva: “No, mi sun del…”. Avrebbe
voluto dire del nord, ma lo sguardo feroce di Lillo le faceva morire la parola
in bocca.
“Al nord
tutte buttane sono le femmine! Se ti chiedono di dove sei, tu ti stai muta, ché rispondo io. Mi fai fare
la figura d'u…d'u curnutu, eccu.
L'onore mi fai perdere!”
La
fissazione delle corna, a Lillo, era venuta qualche mese dopo il matrimonio; il
suo sguardo aveva smesso l'interrogativa fissità del giorno delle nozze per
indossare un che di torvo e sospettoso, quasi ostile.
Via via che il suo tiepido amore per Clodomira scemava, lui lo
sostituiva con risentimento puro e quale miglior motivo per odiare una donna
che il sospetto di corna? Corna vere e immaginarie, corna d'origine geografica
(quelle di Clodomira, buttana del nord per esempio) o
familiare, sociale; corna di credo politico (le femministe?tutte buttane sono!), corna oniriche…
In quante
maniere le corna potevano rovinare un uomo? In quante maniere una donna poteva
cornificare il marito?
Ma non sarebbe toccato a lui, non a Lillo Pulvirenti!
Dunque
niente film con scene di passione, né libri d'amore, né amiche con cui “cuttigghiari” e poltrire che “l'ozio è padre di tutti i
vizi e quelle buttane delle tue amiche non fanno niente dalla mattina alla
sera, viziose sono! E buttane!”, niente passeggiate solitarie o visite di postini, lattai e portieri, niente viaggi al
nord “ché poi mi torni più buttana di to' soru!”.
Tutto ciò a Clodomira non aveva fatto alcun male:
lei non pensava agli uomini, mai; in realtà il sesso non poteva essere
annoverato neanche tra gli ultimi dei suoi desideri.
Aveva
sofferto molto di più quando suo marito, finita la fantasia, aveva smesso di
cercare un diminuitivo grazioso per il suo strambo
nome.
Si era
affannato, all'inizio, a trovar qualcosa di più intimo come Clodi-Miruccia-Mirella
(ché il nome Clodomira gli faceva venire in mente la madre superiora d'un
convento di clausura e, nell'intimità del talamo nuziale, finiva con
l'ammosciargli qualsiasi virile intenzione), ma alla fine aveva lasciato
perdere apostrofandola, in pubblico e in privato, con “‘a mugghieri”, e in fondo ne era soddisfatto,
perché così aveva il vantaggio di aver stabilito definitivamente l'indiscusso
possesso dell'oggetto-moglie, senza dover
ulteriormente chiarire le cose.
Clodomira c'era rimasta male; “‘a mugghieri”
alle sue orecchie straniere, suonava come “‘a
scupa, ‘a lucidatrici,'a lavatrici…”
Aveva
finito davvero col sentirsi un elettrodomestico, ignorando quel minimo
d'intimità e affetto, di cui la proprietà assoluta è un aspetto assai
rilevante, che il termine mugghieri assume
per i mariti siciliani.
Così il
loro rapporto si era cristallizzato in ruoli e cliché, abitudini e piccole
delusioni, pranzi domenicali e rapido sesso bi-settimanale, rancore e
rassegnazione… proprio come molti altri matrimoni, spesso nati sotto ben più
benevoli auspici.
Insomma
tutto normale fino al sogno.
Che
l'apparizione notturna fosse circonfusa da una gran luce era cosa
indiscutibile, così come che avesse delle enormi ali candide e che sorridesse con
una boccuccia rosea e dolce. Fin qui Clodomira riusciva a ricordare senza
particolare fatica; ma poi: “ooooh!” Ecco che
ricominciava a sudare e smaniare, diventando tutta rossa.
“Impossibile, impossibile!Che sia la
menopausa?Ancora?” si chiedeva
disperata.
Andò avanti
così per tutta una settimana; lo stesso sogno la svegliava ogni notte. In preda
alle caldane la poverina si agitava nel sonno, tentando di scacciare
l'inquietante visione alata.
“Ma cu cui stai parranno, ah?” le chiese
di pessimo umore Lillo, smettendo di russare all'improvviso e svegliandola di
botto, proprio mentre quella boccuccia rosea, quella notte, pareva volerle
sussurrare finalmente il suo segreto.
“Parlando?Stavo parlando nel sonno?”
“Nel sonno, sì! Cu cui?Ah?E chi è ‘sta cosa
chi ssi tutta nuda?Copriti fozza.
Tutte bottane ‘ste femmine,
macari quannu dormunu! Cu cu' parravi ‘nto sonnu?”
Clodomira,
presa alla sprovvista, la disse molto più veritiera di quel che avrebbe potuto
immaginare: “Con un uccello, parlavo con
un uccello con grandi ali bianche… Sognavo che mi volava vicino, tutto intorno,
e faceva caldo, molto caldo… Sudavo tanto e mi sono scoperta senza volerlo,
Lillo, giuro.”
“Ah!Cu l'aceddu parravi? Vabbè. Ma ora copriti e
ricettati, chi non hai più l'età, sveggognata; e
statti muta, chi non mi fai dòrmiri.” bofonchiò Lillo, girandosi dall'altra parte e sprofondando
in un repentino russare.
Che avesse
le ali certo non v'era dubbio, ma...
Clodomira
chiuse gli occhi e cercò di ricordare il seguito del sogno, invece dopo un po' si
addormentò di nuovo.
Una voce maschile, roca e suadente, le chiedeva:
“La signora
non è di qui, vero?”
“Oh no, mi
sun… del nord.”
Un enorme
uccello, il più grosso che donna possa mai sognare,avvicinava la sua boccuccia
rosea a quella di Clodomira e …faceva caldo, tanto caldo, così caldo che
Clodomira si scoprì di nuovo, mentre uno strano, nuovo e misterioso sorriso le
aleggiava sulle labbra.