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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Teatrino sanitario, di massimolegnani 18/03/2022
 
Teatrino sanitario

di massimolegnani



In una mattinata di lavoro di quelle caotiche che ti tolgono il fiato, dovresti essere in tre posti contemporaneamente e contemporaneamente riflettere, decidere e fare, in una mattinata così, la soave Marina dell’ambulatorio accanto (soave lo è diventata da poco, a seguito di un evento drammatico ma con sollievo finale che le ha smussato spigoli e sguardo) mi chiede un parere veloce per un suo paziente e con dolcezza irremovibile di voce cantilenante e di occhi morbidi mi stacca da una mia incombenza per “trascinarmi” nel suo studio. Io sono pediatra, lei neuropsichiatra infantile, per cui collaboriamo spesso. Di solito segue bambini con ritardi motori o con altri problemi neurologici, raramente casi psichiatrici. Quello che mi trovo davanti è appunto uno dei suoi rari casi psichiatrici, un ragazzone di 15 anni alto come me dall’aspetto fin troppo sano e una parlantina veloce, eccitata, saltabeccante di qua e di là. Mentre lui mi mostra una mano un po’ gonfia spiegandomi con un profluvio di dettagli che si è fatto male dieci giorni prima prendendo a pugni un muro, sento la madre che elenca alla dottoressa i sedativi, gli antidepressivi e i neurolettici che assume il figlio, una lista capace di arricchire da sola cinque farmacie. Così capisco che il ragazzo, Davide, dietro il sorriso aperto e i modi educati è una polveriera. Quando lui fa l’atto di mostrare direttamente sul mio torace l’intensità del pugno tirato al muro, faccio appena in tempo a dirgli “no, grazie” bloccandogli la mano già a mezz’aria. Dubito quindi che abbia fratture a quella mano così vivace e, se c’erano fratture, ormai si sono saldate spontaneamente, ma Davide insiste, vuole una radiografia, mi indica un livido, tocchi, tocchi, ecco lì fa male, studio da perito chimico le cose le so, mi dice concitato. Insomma premono in tre, madre, figlio e soave Marina, alla fine cedo, impiego meno tempo a fare un giro di telefonate che a stare lì a discutere. Mentre gli consegno la richiesta per la radiografia e gli spiego dove andare, lui è alle prese col cellulare. Ma mi ascolti?, gli chiedo, e lui serafico, aspetti, sto mandando un messaggio a un’amica che si sta suicidando, e me lo comunica come se stesse consultando le previsioni meteo. A quel punto, dopo un istante di sconcerto, lo riaffido all’amica neuropsichiatra, che se la veda lei, e riprendo il mio lavoro che nel frattempo si è ulteriormente accumulato.

Passo ore frenetiche alternando reparto e ambulatorio e quasi mi dimentico del ragazzo, non fosse per la gente in sala d’attesa che ogni tanto mi segnala suoi rapidi passaggi esagitati per il corridoio inseguito da sua mamma mentre corre in psichiatria-adulti dove ha amici o in bagno o al bar e chissà forse tra tanti impegni ha fatto anche una scappata in radiologia.

Alle due sono ancora in pieno marasma, ho una fame del boia e la certezza che ormai la mensa sta chiudendo. Sto visitando l’ennesimo bambino quando lui piomba in ambulatorio dopo aver tirato un busso che credo abbia scardinato la porta. Ho il fonendo sulle orecchie ma lo sento gridare ciao io vado, tutto a posto. Lo blocco sulla porta e gli chiedo di mostrarmi il referto, lui scalpita: non ce l’ho, ma è tutto a posto. C’era scritto…lesione…lesione..non mi ricordo il resto!

Ma lesione vuol dire che c’è qualcosa.

No, è tutto a posto, guarda la mano, tocca, tocca, non fa male.- e fa di nuovo l’atto di mollarmi un sganassone, sicuramente affettuoso.

Incomincio a innervosirmi, mentre lui si agita che ha fretta e digita veloce sul cellulare.

Sei ancora alle prese con la tua amica che si sta suicidando?

No, ha detto che per oggi non ne fa niente- e me lo dice quasi spiaciuto come di un appuntamento al cinema rinviato all’ultimo momento. Poi mi passa sua mamma al cellulare.

Buongiorno signora, ha lei il referto della radiografia?

Può passare da me e mostrarmelo?

No, adesso non posso.

Ma dov’è?

Sono al negozietto del kebabbaro, sa quello di via Strusiglia (è dall’altra parte della città).

Ma cazzo, signora, se aveva fame poteva farsi un panino al bar dell’ospedale.

Mi piace di più il kebab.

Cristo santo, mi legga il referto e facciamola finita.

NON lesioni ossee.

Ho il fumo che mi esce dalle orecchie e una gran voglia di fumare. Mi metto al computer per chiudere la pratica il più in fretta possibile. Davide vedendomi nervoso ha una trasformazione, diventa una specie di santone che pontifica alzando braccia ieratiche:

Dottore, lei deve ritrovare la serenità. Con la serenità e la pazienza si risolve ogni problema.

Lo incenerisco con lo sguardo, ma Davide, sotto gli occhi allibiti dei genitori del bambino che stavo visitando, ormai si è immedesimato nel ruolo del portatore di pace e intona una specie di litania…Calmo, ohm, si rilassi, ohm…

In effetti è talmente buffo che gli consegno il foglio ridendo. E lui:

Ha visto che sono riuscito a calmarla. Sono perito chimico io, le so le cose.


 
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