Teatrino
sanitario
di
massimolegnani
In
una mattinata di lavoro di quelle caotiche che ti tolgono il fiato,
dovresti essere in tre posti contemporaneamente e contemporaneamente
riflettere, decidere e fare, in una mattinata così, la soave
Marina dell’ambulatorio accanto (soave lo è diventata da
poco, a seguito di un evento drammatico ma con sollievo finale che le
ha smussato spigoli e sguardo) mi chiede un parere veloce per un suo
paziente e con dolcezza irremovibile di voce cantilenante e di occhi
morbidi mi stacca da una mia incombenza per “trascinarmi”
nel suo studio. Io sono pediatra, lei neuropsichiatra infantile, per
cui collaboriamo spesso. Di solito segue bambini con ritardi motori o
con altri problemi neurologici, raramente casi psichiatrici. Quello
che mi trovo davanti è appunto uno dei suoi rari casi
psichiatrici, un ragazzone di 15 anni alto come me dall’aspetto
fin troppo sano e una parlantina veloce, eccitata, saltabeccante di
qua e di là. Mentre lui mi mostra una mano un po’ gonfia
spiegandomi con un profluvio di dettagli che si è fatto male
dieci giorni prima prendendo a pugni un muro, sento la madre che
elenca alla dottoressa i sedativi, gli antidepressivi e i
neurolettici che assume il figlio, una lista capace di arricchire da
sola cinque farmacie. Così capisco che il ragazzo, Davide,
dietro il sorriso aperto e i modi educati è una polveriera.
Quando lui fa l’atto di mostrare direttamente sul mio torace
l’intensità del pugno tirato al muro, faccio appena in
tempo a dirgli “no, grazie” bloccandogli la mano
già a mezz’aria. Dubito quindi che abbia fratture a
quella mano così vivace e, se c’erano fratture, ormai si
sono saldate spontaneamente, ma Davide insiste, vuole una
radiografia, mi indica un livido, tocchi, tocchi, ecco lì
fa male, studio da perito chimico le cose le so, mi dice
concitato. Insomma premono in tre, madre, figlio e soave
Marina, alla fine cedo, impiego meno tempo a fare un giro di
telefonate che a stare lì a discutere. Mentre gli consegno la
richiesta per la radiografia e gli spiego dove andare, lui è
alle prese col cellulare. Ma mi ascolti?, gli chiedo, e lui
serafico, aspetti, sto mandando un messaggio a un’amica che
si sta suicidando, e me lo comunica come se stesse consultando le
previsioni meteo. A quel punto, dopo un istante di sconcerto, lo
riaffido all’amica neuropsichiatra, che se la veda lei, e
riprendo il mio lavoro che nel frattempo si è ulteriormente
accumulato.
Passo
ore frenetiche alternando reparto e ambulatorio e quasi mi dimentico
del ragazzo, non fosse per la gente in sala d’attesa che ogni
tanto mi segnala suoi rapidi passaggi esagitati per il corridoio
inseguito da sua mamma mentre corre in psichiatria-adulti dove ha
amici o in bagno o al bar e chissà forse tra tanti impegni ha
fatto anche una scappata in radiologia.
Alle
due sono ancora in pieno marasma, ho una fame del boia e la certezza
che ormai la mensa sta chiudendo. Sto visitando l’ennesimo
bambino quando lui piomba in ambulatorio dopo aver tirato un busso
che credo abbia scardinato la porta. Ho il fonendo sulle orecchie ma
lo sento gridare ciao io vado, tutto a posto. Lo blocco sulla
porta e gli chiedo di mostrarmi il referto, lui scalpita: non ce
l’ho, ma è tutto a posto. C’era
scritto…lesione…lesione..non mi ricordo il resto!
Ma
lesione vuol dire che c’è qualcosa.
No,
è tutto a posto, guarda la mano, tocca, tocca, non fa male.-
e fa di nuovo l’atto di mollarmi un sganassone, sicuramente
affettuoso.
Incomincio
a innervosirmi, mentre lui si agita che ha fretta e digita veloce sul
cellulare.
Sei
ancora alle prese con la tua amica che si sta suicidando?
No,
ha detto che per oggi non ne fa niente- e me lo dice quasi
spiaciuto come di un appuntamento al cinema rinviato all’ultimo
momento. Poi mi passa sua mamma al cellulare.
Buongiorno
signora, ha lei il referto della radiografia?
Sì
Può
passare da me e mostrarmelo?
No,
adesso non posso.
Ma
dov’è?
Sono
al negozietto del kebabbaro, sa quello di via Strusiglia (è
dall’altra parte della città).
Ma
cazzo, signora, se aveva fame poteva farsi un panino al bar
dell’ospedale.
Mi
piace di più il kebab.
Cristo
santo, mi legga il referto e facciamola finita.
NON
lesioni ossee.
Ho
il fumo che mi esce dalle orecchie e una gran voglia di fumare. Mi
metto al computer per chiudere la pratica il più in fretta
possibile. Davide vedendomi nervoso ha una trasformazione, diventa
una specie di santone che pontifica alzando braccia ieratiche:
Dottore,
lei deve ritrovare la serenità. Con la serenità e la
pazienza si risolve ogni problema.
Lo
incenerisco con lo sguardo, ma Davide, sotto gli occhi allibiti dei
genitori del bambino che stavo visitando, ormai si è
immedesimato nel ruolo del portatore di pace e intona una specie di
litania…Calmo, ohm, si rilassi, ohm…
In
effetti è talmente buffo che gli consegno il foglio ridendo. E
lui:
Ha
visto che sono riuscito a calmarla. Sono perito chimico io, le so le
cose.
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