In
cammino
di
massimolegnani
Ormai
camminava da tanto tempo e non ricordava più quando fosse
partito né da dove, come da adulti non ci si ricorda quando e
come sia iniziata la propria infanzia. Lo aveva deciso lui di partire
oppure era stato spinto dalla necessità? O era stato,
piuttosto, il caso che governa la vita di ciascuno? Non sapeva, ma In
fondo non aveva importanza: una volta iniziato il cammino era inutile
porsi domande a cui non si poteva rispondere.
Passo
dopo passo andava avanti cercando di vincere la stanchezza e trovando
talvolta conforto nel paesaggio. Aveva attraversato un bosco di
larici, resina e oro a perdita d’occhio, il tappeto di aghi
sotto i suoi piedi rendeva felpato il passo come passeggiasse per
casa in pantofole di feltro, su ogni ramo un uccello, quasi
invisibile, cantava, come una radio accesa sulla stazione preferita.
Sotto un albero aveva trovato un ramo solido e dritto, e con quello
si era costruito un bastone da passeggio di cui andava fiero: lo
aveva scortecciato, levigato con una pietra, rinvigorito nell’acqua
di un ruscello e stagionato al calore di un falò. Ora il
bastone costituiva un sostegno che lo aiutava nei passaggi più
impegnativi a reggere il proprio corpo invecchiato.
Le
giornate erano scandite da piccoli imprevisti, un guado che non
sempre andava liscio, un fuoco che stentava a ravvivarsi, un
acquazzone in campo aperto da cui difendersi alla meno peggio, e da
minime gioie, un’alba da salutare al caldo del saccoapelo, un
cane randagio che aveva preso a seguirlo scodinzolando, una corona di
montagne innevate a lucidargli gli occhi e migliorargli il respiro.
Ma il cane, l’alba, il piede a bagno, l’acquazzone,
avevano tutti la stessa valenza, lui gli imprevisti, al pari delle
gioie, li viveva con il pacato entusiasmo che dava senso al viaggio.
Era
solo ma ogni tanto lo raggiungeva qualcuno che, anziché
superarlo di slancio, lo affiancava rallentando la propria andatura
per percorrere un tratto assieme. Allora lui condivideva con lo
sconosciuto la marcia e la sosta, il pane e il silenzio, aveva
imparato che gli sguardi muti avvicinano più delle parole.
Uscito
dal bosco l’ambiente si era fatto più spoglio ma
ugualmente affascinante, qualche pino solitario, macchie di cespugli
in fiore, prati sconfinati punteggiati da cerbiatti e daini che
prudentemente si allontanavano al suo passaggio. Camminava a passo
lento e costante, e solo quando alzava lo sguardo vedendo in
lontananza la pietraia solcata da torrenti spumeggianti e piccole
cascate si rendeva conto che il suo cammino era in realtà una
continua impercettibile salita.
Quel
mattino, preparato lo zaino e spento il fuoco, rimase a lungo con il
mento appoggiato all’estremità del bastone, lo sguardo
che vagava tra cielo e rocce. Un’aquila disegnava ampi cerchi
immobili nella limpidezza celeste alla ricerca di qualche preda, il
silenzio era rotto solo dai fischi d’allarme delle marmotte.
Lui guardava e ascoltava il semplice spettacolo della natura.
È
questa la felicità?, si chiese perplesso e senza
rispondersi riprese il suo lento cammino.
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