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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La carriola, di massimolegnani 10/12/2022
 
La carriola

di massimolegnani



Bisogna dirlo, Diego Petrilli era piuttosto arrogante. Non una cattiva persona nel complesso, ma i tanti anni vissuti all’Olivetti come ingegnere d’alto profilo gli avevano inculcato un’esagerata fede nella tecnologia e nell’efficienza che lui, una volta ritiratosi in campagna, aveva tradotto in uno sguardo di superiorità, non del tutto involontario, nei confronti dell’arretratezza dei suoi compaesani.

Aveva ristrutturato la casa colonica dei suoi nonni dotandola di ogni confort moderno e ora si dedicava alla cura del grande giardino con una passione da gentiluomo di campagna. Aveva acquistato macchinari sofisticati che riducessero la fatica e migliorassero la resa dei suoi sforzi. Il suo orgoglio era un trattorino tagliaerba a cui poteva all’occorrenza agganciare un rimorchio. Con questo scorrazzava per il giardino rasando il prato all’inglese e trasportando terra e pianticelle da un capo all’altro alla ricerca della loro sistemazione ottimale. Lo scoppiettio del motore non gli faceva udire il sibilo ritmato della falce che il suo vicino si ostinava a usare per tagliare l’erba per i conigli.

Con Osvaldo, il vicino, non aveva mai legato, due mentalità troppo diverse. Diego gli parlava dell’ultimo acquisto, un tagliasiepi elettrico particolarmente maneggevole, l’altro gli mostrava le lunghe cesoie con cui già suo padre potava la siepe di bosso, lui gli faceva vedere i guanti da lavoro di camoscio rinforzato costati una fortuna, Osvaldo rideva mostrandogli i calli nelle mani. Da parte sua il contadino gli consigliava la fase lunare più favorevole per piantare i pomodori, lui replicava lodando l’efficacia di un nuovo fertilizzante.

C’era stata anche una controversia sui confini: da sempre il limite tra le due proprietà era segnato da una grossa pietra che Osvaldo, da contadino un poco ottuso e un poco scaltro, sosteneva che di recente qualcuno aveva spostato. Diego pur con tutti i suoi difetti era una persona corretta che mai avrebbe fatto una cosa del genere. Dopo un estenuante batti e ribatti che si era trascinato per mesi, Diego aveva fatto erigere un muretto alto come un uomo a partire da quella pietra. Alle rimostranze di Osvaldo aveva risposto con un laconico il confine giustifica i mezzi, che il contadino non aveva compreso, ma che ad ogni buon conto aveva giudicato offensivo.

Con la creazione del muro cessarono i loro scambi di battute e quel continuo braccio di ferro tra modernità e tradizione. Finirono con l’ignorarsi, solo un forzato cenno di saluto se capitava d’incontrarsi per strada.

Diego non se l’aspettava, il suo rozzo vicino gli mancava. Gli mancavano i suoi consigli che mai seguiva, gli mancava la tacita rivalità e quel po’ d’invidia che di sicuro Osvaldo covava per i suoi attrezzi tecnologici. E c’era meno gusto a usare le cesoie elettriche, il decespugliatore finlandese, il soffiatore ultrapotente, adesso che non sentiva più i suoi occhi seguirlo con malcelata curiosità.

È sera. Diego è sul terrazzo con un bicchiere di vino e una strana malinconia negli occhi. Da lì vede il prato del vicino, c’è una carriola dimenticata all’aperto. La fissa come un oggetto straordinario, la esamina pezzo a pezzo con l’interesse che lui sempre dedica alle novità: una ruota, una conca, due manici, la carriola ha uno schema costruttivo elementare. Diego riflette e giunge a una conclusione che lo lascia interdetto. La carriola nella sua semplicità è stata la vera rivoluzione tecnologica degli ultimi secoli, per generazioni ha alleviato il duro lavoro della terra. Altro che il mio trattorino, mormora sottovoce. Col rimorchio!, aggiunge poi con un sarcasmo amaro rientrando sconsolato in casa.


 
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