A occhi chiusi sprofondo nel ventre liquido,
l'acqua si richiude su di me come un cielo palpabile e dolcemente mi avvolge.
Percepisco
il sordo brontolio del mare: è un suono antico, vicino al silenzio, affine
all'origine della vita.
Mi lascio
cullare, estasiato, da queste sensazioni e, piano, torno indietro nel tempo: il
mare è il corpo di mia madre che si dondola lieve, al ritmo di una nenia lenta,
ripetitiva e rassicurante; coccolato dal paziente abbraccio dell'acqua mi
lascio andare.
Una mano mi sfiora…
Apro gli
occhi: uno spettacolo fantastico mi abbaglia. Sotto la superficie dell'acqua, la
luce gioca con schegge d'ombra e riverberi, in un caleidoscopio di colori tenui
e luccicanti. La realtà assume contorni morbidi e ovattati e lo spazio si
dilata in ogni direzione, senza contorni. Il mio corpo è libero! Mi metto a far
capriole e buffi balletti, ubriacato da questa nuova percezione della realtà.
Piccoli
pesci curiosi si avvicinano e scattano via in un battibaleno, come giocassero a
rimpiattino. Mi spingo sul fondo sabbioso che occhieggia ai raggi del sole, e
affondo le dita nella rena… è morbida, “setosa”
come pelle. Chiudo ancora gli
occhi, sopraffatto dalla beatitudine.
Una
mano, stavolta, mi strattona…
Sotto la maschera vedo chiaramente le labbra, deformate
dal boccaglio, mimare, nel silenzio frizzante di bollicine, la frase: “Che
diavolo fai?”
La smorfia è accompagnata da un esplicito gesto
della mano, che non lascia adito a dubbi. L'istruttore mi volta le spalle e,
nel suo muto linguaggio, ordina chiaramente: ”Andiamo!” mentre sicuro si avvia,
nuotando leggero.
E'
la mia prima immersione.
Mi affianco all'istruttore e i nostri sguardi s'incrociano.
Siamo buffi camuffati da alieni subacquei; i nostri corpi, avvolti dalla lucida
muta aderente, sembrano quelli di due grandi pesci. L'istruttore mi sorride, con gli occhi sembra sussurrarmi: “Bello,
vero?”
Milioni di secondi sono trascorsi da quella prima immersione, tanti
quante sono le gocce del mare; si sono cristallizzati in minuti, ore, giorni…anni,
molti anni. Alcuni belli, altri tristi o inutili. Giorni che ingoiano giorni, e
ti ritrovi vecchio. A voltarsi indietro,
poi, non c'è mica granché da rimpiangere o ricordare in fin dei conti: due o
tre avvenimenti davvero felici, un paio d'amici di vecchia data, una donna amata…Poche cose; alcune però… Già,
alcune sono il sugo della vita…e
torneresti indietro mille volte solo per sentirne il profumo.
Il mio
viaggio, con Carla, è alla ricerca dei secondi magici, quelli per sempre
perduti; partiamo per avere una nostra
seconda opportunità, in quella che stupidamente si chiama seconda giovinezza .
Il
ponte della nave è lustro sotto il tiepido sole di fine stagione; l'acqua della
piscina tremola invitante al rollio discreto dei motori.
Intorno
solo acqua, mare e il cielo terso. Sul tavolino i nostri aperitivi a metà, un
settimanale. Nel posacenere tre cicche,
dall'aspetto triste e sporco. Accendo la quarta sigaretta della mattina, so che
non dovrei ma…
Carla
sonnecchia al sole, le gambe nascoste dal plaid, le mani in grembo. La guardo,
qui alla luce implacabile del mattino. E' invecchiata. Le rughe risaltano al
sole, mentre un atteggiamento accigliato le increspa la fronte. Tuttavia, quel piccolo broncio inconsapevole
la fa sembrare una bambina, anche così. Non riesco a non farmi rapire dalla sua
indomita ribellione alle regole della vita. Sotto la luce impietosa è ancora,
ai miei occhi, la giovane donna che ho sposato e amato per questi lunghi
venticinque anni.
“Che guardi?” mi fa, socchiudendo gli occhi. “Mi
spii, mentre dormo?”
“Non dormi, mi pare.”
“Già… Guarda che bello.” Aggiunge, con un movimento
della mano che indica tutto: il mare, il cielo, e forse anche le nostre speranze.
“Sì.”
“Mi spiace andar via.”
“Questo viaggio non è ancora finito.” Rispondo.
“Non intendo il viaggio. Non fare lo scemo, hai
capito benissimo.”
“Questo viaggio non è mica finito.” ribadisco, come se non avessi sentito.
“No, certo…non è finito.” Mi sfiora la mano e poi,
con un gesto infantile, tira fuori le gambe, ancora belle, da sotto la coperta,
allungandole come un gatto che si stiracchi al sole.
“Sei in gran forma.” Le dico, e per un attimo il
ricordo di quando affondavo in lei, con prepotenza, mi procura un piccolo
piacere nella pancia.
“Sei proprio scemo… tutto scemo!” ridacchia
vanitosa. “Facciamo due passi? Ci ingrasseremo come porcelli a forza di
mangiare e poltrire.”
“Si mangia tanto…e bene! Accidenti se si mangia…”
Butto lì, felice che abbia cambiato argomento, abbandonando la malinconia, che
ogni tanto la rannuvola.
Camminiamo
in silenzio sul ponte, mano nella mano: la brezza le scompiglia i capelli,
dandole un'aria sbarazzina. Il sole ci scalda i vestiti, piacevolmente.
Ci appoggiamo al parapetto e guardiamo giù, nel blu
profondo.
“Sembra infinito! Ho la sensazione che possa
risucchiarmi, come una vertigine. Ricordi, quando ti immergevi?”mi dice.
“Certo, era stupendo! Ogni tanto me ne torna
voglia. Se non fosse per...”
Mi incanto perso nel ricordo, come in un sogno
a occhi aperti. Il mare era stato il mio grande amore, e anche un rifugio dalla
quotidianità che segnava di tappe improrogabili le mie giornate uggiose.
Il gridolino di Carla mi strappa all'irrealtà, in
cui mi trastullo con lo sguardo trasognato; con una vocina in falsetto, che
conosco sin troppo bene e che anticipa guai, mi domanda a bruciapelo:
“Mi porteresti?” I suoi occhi hanno una luce
birichina e golosa.
“Dove?” rispondo, confuso.
“Come dove? Parlavamo di immersioni, no?”
“Sei matta! Non l'hai mai fatto…”
“Appunto, perché non farlo ora?”
“Non so…se…”
“Sono troppo vecchia, è questo che vuoi dire?”
La guardo…”No, non sei vecchia!” le dico, e davvero
ci credo.
“Bene, allora è deciso. C'immergeremo insieme.”
“Ok.”
Ce ne
restiamo zitti a contemplare l'acqua che sciaborda lungo la fiancata dipinta di
fresco.
“Sai che ti dico? Ho fame!”
“Andiamo allora. Ma…se poi diventi una porcella?”
“Chi se ne frega…alla mia età.”
La prendo sotto braccio e ci avviamo.
La sento
camminare, fragile, al mio fianco. Il suo modo di appoggiarsi a me è esagerato;
un'energia cocciuta e nervosa anima il suo braccio magro. Vi leggo una volontà di ferro e una tenacia che
mi fanno soffrire;
- non ha
alcuna intenzione di arrendersi-, penso con tristezza.
Non la porterò mai a immergersi, lo so bene;
ho mentito spudoratamente, anche a me stesso.
In cabina si
cambia, si ravvia i capelli, poi si passa uno spesso strato di rossetto, anche
da ragazza ne usava troppo; ma adesso il trucco, sul suo viso, risulta
esagerato, grottesco.
Incrocia il mio sguardo nello specchio, mentre
controlla il risultato del piccolo restauro.
Scoppia a piangere, all'improvviso.
“Dio… Carla, no! Non piangere…”
“Falso, ipocrita, bugiardo…”singhiozza.
Me ne sto zitto, che potrei dire?
“Vattene, voglio stare da sola!Vattene!” urla
quasi, mentre col dorso della mano tira via il rossetto.
Esco dalla stanza con l'immagine della sua
bocca come una ferita sanguinante, vagamente oscena.
L'ho sognata spesso quella bocca e l'ultima frase
di Carla: vattene. E' stata quella l'ultima volta che mi ha parlato, da allora
ho ricevuto solo chiare indicazioni dal suo avvocato
Il suo
silenzio ha svuotato la mia vita e se mi volto indietro non trovo nulla da
rimpiangere, nulla che valga la pena di un sorriso, tranne…
“E
allora, è pronto? Quant'è che non va giù?”
“Parecchio,
direi.”
“Paura?”
“No.”
“Ok,
andiamo!”
L'istruttore
sorride, avrà trent'anni e muscoli ovunque; la muta pare esplodergli addosso,
gli aderisce come una seconda pelle.
-Pelle di
pesce!- penso, invidioso, tirando su la lampo sulle mie carni vizze.
Un salto e
siamo giù. Ho gli occhi chiusi e l'acqua è fredda da morire.
Una mano mi sfiora…
L'istruttore fa gesti inconsulti; eccitato, indica
qualcosa lontano, nell'acqua un po' torbida:
Due grandi
ombre si muovono lente, nuotando fianco a fianco, con grazia e leggerezza.
Pesci…forse
delfini.
Nuotano insieme… silenziosi…irreali…senza età.