Metafora
(1)
di Marniko
Uscì di casa che era ancora
l'alba.
Era una cosa strana per lui
annusare il profumo fresco nell'aria prima della pioggia. E il farlo lo fece
stare meglio.
I marciapiedi erano quasi deserti
a quell'ora e, all'ombra dei palazzi che lo
avvolgevano, lui si sentì come smarrito. Ricordava nulla di quello che gli era
successo.
All'improvviso l'odore che
sentiva addosso si confuse con quello della pioggia che iniziava a cadere,
sovrapponendosi per un attimo a una specie di profumo speziato
rivelatore, ambrato e intenso, che sembrò spazzar via il suo malessere
improvviso, acuto.
Già, quel malessere senza
tempo che gli stava crescendo dentro. La paura delle proprie adesioni, quel
volere attestarsi così a lungo sulla difensiva.
Certo i suoi vent'anni non
bastavano per cogliere i particolari. Ma lui già ne prevedeva abbastanza per sentirsi soffocare. Malato di illusioni com'era,
minacciato dalle costrizioni che non sapeva mettere a fuoco, e soffocato dal
determinismo di chi si sentiva predestinato a soccombere.
Gli scappò da ridere. Proprio
così. Capitava spesso che gli scappasse da ridere quando
si sentiva minacciato nell'anima. Non si stupiva affatto di questa sorta di
cartina torna sole che portava con sé un potere magico che, solo lui,
accettando di soffrire, poteva comprendere.
Lasciare che la sofferenza lo
aggredisse lentamente come una ventosa, ed esserne consapevole, lo faceva
paradossalmente stare meglio - la passione di questo suo sentire s'inabissava
in lui come un fiume sottorreaneo in piena
travolgendo ogni desiderio. Anche s'egli avvertiva che tutto questo si
succedeva in un modo più o meno confuso. Ma con la bellezza quasi, di una vita
desiderata fuori dai canoni, e il divagare meraviglioso
del rumore acerbo della sua giovane età.
Fu allora, nel preciso
istante in cui l'autobus gli tagliò la strada, ch'egli venne
folgorato dall'intuizione del momento. Lo vide sopraggiungere dal campo lungo
al primo piano sprezzante e romantico al tempo stesso.
Vide due occhi seducenti e
ammiccanti scorrergli davanti, fissandolo. E poi la scritta, svolgersi lettera
dopo lettera, enorme: “Calvin Klein
Jeans. All we need is love”.
Gli scappò da ridere di
nuovo. Prima piano, poi più forte. Sempre più forte, fino a singhiozzare.
Allora capì che non valeva la pena di soffrire, anche per la faccia da culo che aveva appena visto sulla pubblicità esterna di quell'autobus.
Metafora
(2)
di Marniko
Non mi piaceva affatto stare
là.
Lui che continuava a rimanere
in silenzio; lei che ci fissava con sguardi riverenti, a volte curiosi.
Io osservavo invece il
camino, a cercare immersi in quel fuoco i demoni e le anime, come se fossero
braci, della nostra perdizione. Oddio, come innocenza e passione splendevano al
plenilunio di quelle fiamme ardenti!
L'uno
seduto di fronte all'altra, io ero a capotavola, ci lasciavamo trasportare in
una danza pericolosa di sguardi anelanti il baluardo finale. Era lo smarrimento
di tre anime che, dopo essersi perse nel loro eterno peregrinare, si erano
ritrovate nel loro predestinato desiderio d'amore.
Un amore folle, certo,
devastante nella contaminazione degli effetti. Eppure nessuno aveva un amore
più grande. Assoluto, nel suo palese essere tremendo. Il tremendo bisogno di
amare congiunto al pensiero della morte. E in questo significato prendeva
sempre più corpo il nostro mutuo generarsi, dipendenti dell'uno verso gli
altri, parte di un insieme destinato a scemare verso la devastazione.
Pur tuttavia la nostra
tensione verso la morte nasceva proprio dalla consapevolezza che ogni giorno in
più di vita era un giorno in meno di vita per il nostro amore.
Dunque contemplavamo il
lasciarsi morire come sublimazione collettiva del nostro rapporto e, attraverso
il gesto reale di questo passaggio estremo che generava amore, giungere alla
purificazione massima delle nostre pulsioni. Verso e oltre la morte. Per essere
eternamente vivi, immortali.
Morte
che trovammo all'alba, dopo l'ultima notte d'amore insieme su questa Terra.
Metafora
(3)
di Marniko
Uscì dalla birreria a notte
fonda.
Era agitato. Rimase lì un
attimo, fermo sulla porta, a pensarci su. Stronzate
dirà dopo un po', iniziando a muoversi stancamente lungo i portici bagnati
dall'umidità della nebbia.
Eppure il tipo di prima,
in birreria, aveva qualcosa di familiare. Trovò che
gli assomigliava persino. Sentì un breve sussulto. Si fermò. Le gambe
iniziarono a tremargli e aveva freddo. Si strinse maggiormente nel bomber di
colore verde militare. Forse lo aveva conosciuto da qualche fottutissima
parte - ma sì, non poteva essere che così! Ma dove?
Continuò a chiederselo al sordo rimbombo dei suoi passi.
Era inutile. Dannatamente
inutile. Gli veniva in mente niente. Per un attimo credette
di averlo incrociato al Cesar. Ma fu solo la
convinzione di un momento: quel ragazzo non era tipo da frequentare compagnie e
locali gay con la dark. E allora? Allora decise di non pensarci più. E accelerò
il passo. Adesso voleva solo arrivare a casa e buttarsi a letto.
Fu girando l'angolo, però,
che se lo trovò davanti all'improvviso. Gli occhi color smeraldo gli
ricordarono quelli di un gatto nella notte. Una brivido
gli corse lungo la schiena.
Il tipo gli stava già
addosso. Sentì una fitta lancinante all'inguine e un bruciore, poi un'altra
fitta e un'altra ancora… E ricordò. Di colpo, ricordò! Le ginocchia cedettero e
cadde a terra definitivamente.
Lui non vedrà mai il tipo
scomparire nella foschia. Una pozza rossastra, ormai, si estendeva oltre il suo
corpo riverso a pochi passi dal portone di casa.
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NdA - Un
elemento caratterizzante la metafora è la capacità di
veicolare interi moti d'animo attraverso immagini spesso brevi e
immediate. Per chiarire meglio questa caratteristica può essere fatto un
parallelismo interessante con gli haiku: non descrivono ma si limitano ad immortalare un'apparizione, a
fotografare la brevità, la leggerezza e l'apparente assenza di emozioni di un
attimo.
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