Pochi chilometri, si esce dall'agglomerato urbano e su
va in campagna, ma si torna anche indietro nel tempo, come se, fra i campi, l'orologio
fosse sempre fermo.
La donna di città
di Ferdinando Camon
Mi dicevano che
era la mia fine.
Risposi che c'è
un momento
in cui si ama
la propria morte.
E ho tentato la
grande sorte:
ho sposato una
donna di città.
Adesso, quando
ritorno,
senza
preavvertire gli amici
(non sarebbe
una cosa seria:
tanto, son
sempre lì, confitti
da un'antica
miseria)
le donne-nate-schiave
ci vengono d'attorno.
Nel cortile del
casolare
mi s'informa di
tutto:
chi è all'ospedale
e chi è
militare.
Altro mai non
avviene: sono fuori
storia. Tutto è
come allora, al principio dei tempi:
barbare
angosce, ancestrali dolori.
Io mi siedo in
disparte, osservo, odo
i commenti
della turba contadina
che prende in
consegna la sposa bambina,
ne godo e non
ne godo.
Servirla
è un onore.
Guardarla,
ma non visto.
Toccarla
non si può.
La mirano
mentre svetta
svelta
in ogni suo
gesto perfetta
non come una
cosa venuta
di cielo in
terra a miracol mostrare,
ma come
creatura pasciuta
di vino
dolce e di
carne scelta.
Da Dal silenzio delle campagne (Garzanti, 2014)