Oggi ricorre il 25 aprile,
festa della liberazione, o anche della Resistenza, data prescelta per celebrare
il giorno della proclamazione da parte del Comitato di Liberazione Nazionale Alta
Italia l'insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti. In
pratica è la consacrazione in perpetuo dei valori della Resistenza, di quello
straordinario moto popolare che vide, dopo l'8 settembre 1943, una reazione,
decisa e attiva, alle forze tedesche occupanti e ai loro sodali della
Repubblica di Salò. Oggi si tende, da parte di certi spiriti reazionari, ad
associare l'ideale partigiano a quello dei repubblichini. Attenzione, è un
voler capovolgere la storia, è un voler dare pari dignità a chi la merita e a
chi invece non la merita, è come se volessimo porre su uno stesso piano morale
le forze di polizia e i criminali. Dietro ai partigiani c'è l'ideale di un
mondo libero, in cui tutti sono paritari nei diritti e nei doveri; dietro i
fascisti c'è solo il nulla, anzi qualcosa c'è, c'è la reazione violenta e
rabbiosa di chi non vuole ammettere la propria sconfitta, tanto da assecondare
le forze occupanti tedesche, tradendo così non tanto l'Italia, ma gli italiani.
La bella poesia che segue commemora i 15 partigiani trucidati il 10 agosto 1944
a Milano, in piazzale Loreto, i cui corpi restarono esposti a lungo sul
selciato. Altri corpi, appesi alle strutture di un distributore, nemmeno un
anno dopo furono esibiti nello stesso luogo: erano quelli di Benito Mussolini e
di altri gerarchi fucilati. Lo spettacolo non è stato certo degno di un mondo
civile, ma è stato un ulteriore omaggio a quei quindici assassinati e ai tanti
altri torturati e messi a morte dai nazifascisti.
Ai quindici di Piazzale Loreto
di Salvatore Quasimodo
Ai quindici di Piazzale Loreto.
Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d'un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell'ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano:
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.