Si
può essere così sensibili che, nel vedere che il mondo
in cui si vive va verso la rovina, si arriva al punto di non più
sopportare lo sfacelo e si decide di togliersi la vita? Può
succedere ed è quello che è accaduto il 3 dicembre 1938
ad Antonia Pozzi in preda una disperazione che definì nel
biglietto d’addio ai genitori “mortale”.
Considerato che, soprattutto all’epoca, il suicidio era
considerato scandaloso, la famiglia riuscì a far passare
l’improvvisa scomparsa come dovuta a una polmonite fulminante.
Non solo, e questo dimostra chiaramente una mentalità
arcaica, il suo testamento fu distrutto dal padre che, inoltre,
provvide a modificare le sue poesie, alla data dell’evento
ancora inedite. Quindi quelle che abbiamo occasione di leggere
possono non corrispondere a ciò che Antonia scrisse, né
ci è dato di sapere quali siano state le modifiche apportate.
E pur con questa limitazione continuano a essere belle, sì che
l’impressione è che il genitore abbia lasciato intonse
quelle scritte in epoche migliori, intervenendo chirurgicamente solo
su quelle dell’ultimo periodo. In ogni caso Antonia Pozzi, che
all’epoca della morte aveva ventisei anni, era una poetessa di
razza, intendendo indicare con questo termine un autore capace, pur
nell’ambito di una corrente letteraria, di avere delle sue
peculiarità, con parole asciutte, versi concisi, tutta
intenta a prendersi carico del dolore intimo che deriva da quello del
mondo per trasfigurarlo nell’arte. Non è da pensare però
che le poesie di Antonia Pozzi siano un graffio lacerante dell’animo,
un pianto intenso da sfogo liberatorio, perché ci sono anche
versi che riflettono, in tempi che furono senz’altro migliori,
la gioia di vivere come nella lirica che segue.
Acqua
alpina
di
Antonia Pozzi
Gioia
di cantare come te, torrente;
gioia di ridere
sentendo
nella bocca i denti
bianchi come il tuo greto;
gioia
d’essere nata
soltanto in un mattino di sole
tra le
viole
di un pascolo;
d’aver scordato la notte
ed
il morso dei ghiacci.
|