Una
vita segnata dalla malattia che accentuò il carattere
solitario dell’artista, ma che probabilmente non poco influì
anche sul suo estro letterario, così, per sommi capi, si può
dire di Vincenzo Cardarelli. Ebbe infatti una vita per certi aspetti
simile a quella di Leopardi, ma le somiglianze sono solo esistenziali
e non anche relative alle poesie. E questo è un vantaggio,
perché in fondo Cardarelli è stato uno dei più
grandi poeti del Novecento, con uno stile tutto personale, in cui
l’impeto si avverte ben frenato dall’autocontrollo.
Capace di vincere uno Strega con Villa Tarantola, una raccolta di
prose dedicate a Roma e a Tarquinia, sua città natale, passò
dai clamori a un oblio ricercato e finì per morire solo e
povero al Policlinico di Roma.
L’autunno,
con i suoi colori, con l’aria impregnata di umidità, le
atmosfere rarefatte che preludono al sonno invernale sono descritte
mirabilmente nella poesia che segue.
Novembre
di
Vincenzo Cardarelli
C'è
un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a
fare il fascio per l'invernata.
Sopraggiungono, di lì
a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un
gran pianto dirotto, interminabile.
È un pianto
che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago,
solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i
campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di
vellutina.
Quando più nessuno se l'aspetta,
un
sole freddoloso, più prezioso dell'oro vecchio,
torna
poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d'acacia
che
piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei
platani
che il vento trascina lungo i viali.
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