Viene
naturale chiedersi chi non la conosca, chi sui banchi di scuola e
anche a casa non si sia arrovellato per comprendere i significati
reconditi di questi versi, in cui alla vena malinconica di un
uccellino solo s’accompagna il tripudio della nuova stagione.
Il
passero solitario
di
Giacomo Leopardi
D’in
su la vetta della torre antica,
Passero
solitario, alla campagna
Cantando
vai finché non more il giorno;
Ed
erra l’armonia per questa valle.
Primavera
dintorno
Brilla
nell’aria, e per li campi esulta,
Sì
ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi
greggi belar, muggire armenti;
Gli
altri augelli contenti, a gara insieme
Per
lo libero ciel fan mille giri,
Pur
festeggiando il lor tempo migliore:
Tu
pensoso in disparte il tutto miri;
Non
compagni, non voli,
Non
ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti,
e così trapassi
Dell’anno
e di tua vita il più bel fiore.
Oimè,
quanto somiglia
Al
tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della
novella età dolce famiglia,
E
te german di giovinezza, amore,
Sospiro
acerbo de’ provetti giorni,
Non
curo, io non so come; anzi da loro
Quasi
fuggo lontano;
Quasi
romito, e strano
Al
mio loco natio,
Passo
del viver mio la primavera.
Questo
giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar
si costuma al nostro borgo.
Odi
per lo sereno un suon di squilla,
Odi
spesso un tonar di ferree canne,
Che
rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta
vestita a festa
La
gioventù del loco
Lascia
le case, e per le vie si spande;
E
mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io
solitario in questa
Rimota
parte alla campagna uscendo,
Ogni
diletto e gioco
Indugio
in altro tempo: e intanto il guardo
Steso
nell’aria aprica
Mi
fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo
il giorno sereno,
Cadendo
si dilegua, e par che dica
Che
la beata gioventù vien meno.
Tu,
solingo augellin, venuto a sera
Del
viver che daranno a te le stelle,
Certo
del tuo costume
Non
ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni
vostra vaghezza.
A
me, se di vecchiezza
La
detestata soglia
Evitar
non impetro,
Quando
muti questi occhi all’altrui core,
E
lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del
dì presente più noioso e tetro,
Che
parrà di tal voglia?
Che
di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi
pentirommi, e spesso,
Ma
sconsolato, volgerommi indietro.
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