Se la pazzia porta a scrivere poesie di questa eccellenza ben
venga, ma forse Dino Campana non era un alienato, bensì un uomo fuori dal suo
tempo, visionario, magari allucinato; resta il fatto che il suo sguardo sapeva
andar oltre il contingente, esulava dai problemi della realtà della sua epoca e
indugiava oltre quella linea d'orizzonte che rappresenta il confine fra un
presente ancor sconosciuto e un futuro assolutamente ai più inipotizzabile. E
lui scriveva ciò che sentiva, ciò che avvertiva, tanto di quello che nemmemo a
lui appariva chiaro, ma in un velo che rendeva incerti i contorni, come tutto
ciò che si intuisce senza averne coscienza.
Nei suoi versi aleggia un simbolismo onirico, un rincorrersi di
passato e presente, che alimenta un ricordo che è visione del futuro, in un'estasi
della metafisica, pregna delle atmosfere misteriose del paesaggio.
La Chimera
di
Dino Campana
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina O Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del
cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti
dei venti
E l'immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l'ombre del
lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare
ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
(dai Notturni dei Canti
Orfici)