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  Intervista all'autore  »  Intervista a massimolegnani 07/02/2013
 

Intervista a massimolegnani (alias di Carlo Calati)

 

 

Chi è massimolegnani, o meglio chi è Carlo Calati, e il perché di questo strano alias (nome e cognome non separati ma, uniti)?

 

Massimo Legnani è stato il protagonista della prima cosa che ho scritto, ormai una ventina d'anni fa. Il nome, Massimo, lo avevo scelto per contrasto con il carattere del personaggio, piuttosto schivo, sempre in ombra, il cognome era un omaggio alla mia città d'origine. In seguito, quando mi sono affacciato nel web e ho dovuto scegliere un nick mi è venuto naturale rifarmi a a quella prima figura. Per praticità mi sono messo a scriverlo tutto attaccato e per vezzo in minuscolo che mi sembrava, e mi sembra tuttora, più in linea col mio carattere.

Dire chi è Carlo Calati è più semplice e meno interessante: sono medico, pediatra in un ospedale della provincia torinese, sono sposato ed ho una figlia, fotografa, che spesso mi fornisce il materiale per corredare i miei articoli e alla quale talvolta offro spunti per qualche serie fotografica. Vivo in campagna e ho la passione della bicicletta con la quale una o due volte all'anno compio dei brevi viaggi che spesso diventano materia di resoconti romanzati.

 

Perché scrivi?

 

Come ho detto ho iniziato a scrivere in tempi relativamente recenti. Alla fine di una bella esperienza di lavoro, di quelle irripetibili con un gruppo ben affiatato di colleghi e un primario straordinario, ho sentito il bisogno di rielaborare il vissuto e in qualche modo di oggettivarlo, vederlo dal di fuori. Così ho immaginato il nostro gruppo in uno scenario differente, non di lavoro ma di svago, mi sono divertito a costruire un intreccio (l'attraversamento a piedi della Foresta Nera) e a inventare personaggi che ricalcassero il carattere delle persone con cui avevo convissuto in quel periodo. Solo in un secondo tempo ho trovato naturale trasferire su carta queste fantasie. Ne è venuto fuori un romanzo breve che all'epoca mi aveva soddisfatto. Da allora non ho più perso il gusto di raccontare storie, partendo sempre da qualche elemento reale integrato da una dose grande o piccola, a seconda delle circostanze, di invenzione. Ciò che tendo a riprodurre fedelmente non è la cronaca degli avvenimenti ma le sensazioni che quegli avvenimenti hanno suscitato in me.

 

La creatività è un momento di estasi, oppure il tormento di chi matura idee e cerca di parteciparle agli altri?

 

Per quel che mi riguarda né estasi né tormento, piuttosto una piccola o grande meraviglia in cui mi capita di imbattermi e che solletica la mia fantasia. Nascono così i miei racconti, sempre da un dettaglio reale, magari minimo ma che in qualche modo mi colpisce nel profondo, penso alle chiatte e alle chiuse incontrate pedalando lungo i canali di Francia, i ritmi lenti fuori dal tempo in cui tutto sembra possibile (così è nato "chiusa 43"), penso al fotogramma di un film, riemerso alla memoria dopo anni, in cui un ragazzo accovacciato cercava di imitare il verso del pavone (e questo è stato il primo nucleo di "appena oltre la follia"). Altre volte sono episodi meno chiari, sensazioni vaghe rubate in giro, il timbro di una voce sconosciuta, il colore vivido di un fiore, a innescare a cascata una serie di immagini e di idee che poi prenderanno forma in un racconto. E sempre, mentre traduco in parole scritte queste fantasie, provo il desiderio di coinvolgere gli altri, di renderli partecipi di quanto mi è accaduto od ho inventato. Non sono il tipo che trova soddisfazione nel puro atto di scrivere e poi mette i fogli nel cassetto. No, per me la lettura altrui è un momento fondamentale, il coronamento di quanto si è creato.

 

E' notorio che per poter scrivere è indispensabile leggere. Che cosa leggi principalmente?

 

Leggo due-tre libri a settimana, quasi esclusivamente romanzi o racconti. Leggo molto ma molto dimentico di quello che leggo, trattenendo il più delle volte solo l'emozione che mi ha suscitato la lettura. Non so se questo sia un bene o un male. Di alcuni autori leggo quasi tutto quello che pubblicano perché di loro ho una stima incondizionata (il Simenon romanziere, per esempio, Erri De Luca, Maurizio De Giovanni), con altri ho un rapporto più conflittuale, Baricco santo subito per Castelli di rabbia, Novecento, Mr Gwyn, Tre volte all'alba, quasi al rogo per Seta, City, Emmaus.

Ci sono periodi in cui leggo per nazioni con la convinzione che in ogni nazione ci sia un periodo di creatività contagiosa, così negli anni 90 l'Irlanda con Trevor Howard, Edna O'Brien, O'Connor, più avanti l'Ungheria con la Szabo e due altri di cui mi sfugge il nome, da qualche tempo Israele con i tre grandi (ma di Grossmann e Hyeoshoua non tutto mi piace) e con Nevo Eskold appena scoperto, di cui ho letto due romanzi straordinari (La simmetria dei desideri, Neuland).

 

Qual'é il tuo narratore preferito e perché?

Ne cito tre: Simenon per lo sguardo indulgente che ha per i suoi personaggi, qualunque cosa abbiano combinato, De Luca per la poesia che infonde nella prosa, Celine per la scrittura sanguigna e "visiva".

E poi c'è il mio libro preferito, almeno in questi ultimi anni, LEGàMI, di Henry Roth (non il "grande" Roth, Philip, ma questo “Roth minore”, un successo all'esordio giovanissimo e poi, dopo sessant'anni di silenzio ad accumulare lavori, disastri, amori e sopravvivenze varie, questo romanzo che fa parte di una trilogia, Alla mercé di una brutale corrente). Si tratta della biografia dell'autore che però contiene gli elementi per me fondamentali per far diventare letteratura la narrazione di fatti personali: nessuna pretesa di verità, caos nei ricordi e nella stesura di questi, integrità delle sensazioni originarie anche se erroneamente collocate nel tempo e magari pure confuse con altri avvenimenti, nessuno sconto morale per apparire più presentabile. Ne è risultato, almeno ai miei occhi, un libro fascinoso, caotico ma penetrabile. Roth lo ha scritto quando ha scoperto il computer, all'inizio degli anni 90, e l'utilizzo di questo strumento, nuovo e ancora precario affiora più volte nella narrazione, diviene uno specchio, quasi un interlocutore a cui ogni tanto l'autore si rivolge chiamandolo Ecclesia!

Ogni tanto mi riprometto di procurarmi gli altri due libri della trilogia, ma poi finisco col riprendere in mano questo romanzo già collaudato eppure sempre nuovo.

 

Tu sei un autore di narrativa e, salvo errore, non mi risulta che tu scriva anche poesie, il che non toglie che tu possa amare leggerle. Al riguardo, quale è il tuo poeta preferito e per quale motivo?

 

Con la poesia ho un rapporto conflittuale: amo scrivere in versi ma sono consapevole di non essere un poeta, mi accorgo che sempre al mio modo di stendere le parole manca qualcosa perché diventino poesia. Su scritturafresca e su scrivi.com ho spesso pubblicato poesie, ma la resa, non in termini di lettori ma mie riletture, mi ha lasciato così poco convinto che non mi è mai venuta voglia di mandartene o di riproporle sul mio blog.

 

C'è sempre dentro di noi un desiderio latente, quello che si suole definire un sogno nel cassetto e che, in campo letterario, è l'aspirazione a scrivere qualche cosa di irripetibile. Nel tuo caso qual'é?

 

A parte il generico sogno, inteso proprio come tale, elaborato di notte nel sonno, di raggiungere grande notorietà con la scrittura, testi astrusi prettamente "onirici" il cui tema cambia da una volta all'altra mantenendo però sempre una matrice indecifrabile, a parte questo, dicevo, l'unico sogno che coltivo ad occhi aperti è quello di vincere la mia pigrizia e proporre qualcosa di mio a qualche casa editrice. Ho una patologica mancanza di determinazione e di perseveranza per cui anche di alcuni testi che avevo pubblicato in proprio, dopo i primi entusiasmi, non ho più curato la diffusione attraverso serate, contatti con librai, incontri pubblici ecc. Perciò questo è un sogno che resterà tale più ancora di quelli notturni!

 

 

 

 

 

 
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