L'intervista è a Marco Salvador,
scrittore nato in provincia di Pordenone e ivi dimorante.
Di seguito, prima dell'intervista, una breve biobibliografia.
Marco Salvador è nato il 10 novembre 1948 a
San Lorenzo, in provincia di Pordenone, nella casa dove vive ancora oggi
assieme alla moglie e ai due figli. Ricercatore per professione e passione, con
un interesse particolare per le consuetudini giuridiche medievali, è autore di
numerosi saggi storici. Con L'ultimo
longobardo (Piemme
2006) , che è il suo quarto
romanzo, si chiude il trittico dedicato all'epoca longobarda (Il Longobardo, Piemme 2004, vincitore del premio ‘Città di Cuneo
per il Primo Romanzo – Festival du
Premier Roman de Chambéry', nonché in corso di
traduzione in varie lingue; La vendetta
del Longobardo, Piemme
2005). Per Fernandel ha
pubblicato La casa del quarto
comandamento (2004), con un'ottima accoglienza da parte della critica. Del
romanzo sono stati acquistati i diritti cinematografici e ha avuto due diverse
trasposizioni teatrali.
Sito internet: http://www.marcosalvador.com/
Perché scrivi?
Perché non ci sono più i focolari, le aie e le stalle con i filò.
Mi spiego. Quand'ero bambino, negli anni '50, nel mio piccolo paese contadino
non c'era la televisione in casa. La radio era lusso di pochi e il cinema un
evento straordinario. Le serate erano allietate dai ‘contastorie', uomini o
donne con il dono dell'affabulazione.
Riuscivano a commuoverti, spaventarti e stupirti con le loro narrazioni. E,
nello stesso tempo, educavano trasmettendo esperienze, valori, consigli e,
perché no, tabù. Sono il mio punto di riferimento e, in mancanza di quei luoghi
e di quelle sere, provo a imitarli cercando un uditorio tramite i libri.
Alla base di tutte le tue opere c'è un
messaggio che intendi rivolgere agli altri?
Fisso e costante. Sia scriva romanzi
storici sia d'impegno sociale, alla base c'è la malvagità insita nel potere, il
conflitto fra ‘dominanti' e ‘dominati'. Il potere corrompe. Sempre, anche se
ottenuto democraticamente. E il dominante tende inevitabilmente a sopraffare il
dominato, a imporgli le proprie regole e convinzioni. A farsi ‘principe',
insomma. Non è pessimismo. È realtà, pure nei piccoli poteri, persino negli
infimi. Basta vedere cosa provoca in un uomo (magari mite nel privato)
l'indossare una divisa o anche solo un berretto da portiere.
Ritieni che leggere sia importante per
poter scrivere?
Mai visto uno capace di costruire un mobile
senza almeno avere osservato lavorare un falegname. Leggere, e leggere molto,
per chi scrive è indispensabile. Come andare a bottega da dei maestri artigiani
per imparare il mestiere. E più sono meglio è: si individuano eccellenze e
deficienze.
Che cosa leggi di solito?
Sono nella fase del ‘ritorno'. Proprio come chi, dopo aver provato la
cucina di mezzo mondo, la alta
e la sperimentale, riscopre la meraviglia della semplicità di una pasta e
fagioli, di un cotechino, di un piatto di trippe o di baccalà. Rileggo i
classici, le opere che hanno lasciato traccia nella letteratura mondiale. Il
che non vuol dire i soliti noti. Ad esempio, ho da poco riscoperto la scrittura
meravigliosamente barocca di Alejo
Carpentier. Il suo ‘I passi
perduti' lo consiglio con grande forza a
chi vuole imparare come si creano atmosfere capaci di far sentire in una
descrizione persino gli odori. Allo stesso modo consiglio ‘Il male oscuro' del purtroppo dimenticato
Giuseppe Berto a chi cerca un maestro della scrittura come autoanalisi.
Quando hai iniziato a scrivere?
A dodici anni. Ero pressoché un
analfabeta, perché avevo fatto le elementari nel mio paese e la maestra (unica
per la II, III e
IV) mangiava e dormiva a casa mia e non voleva rogne con mia madre. Frequentavo le medie come interno in un collegio salesiano per ricchi. Nei temi
non riuscivo ad andare oltre il sei. Ricordo il primo dettato (sono entrato al
Don Bosco in quinta elementare); toglievano un punto per ogni errore di
grammatica: in dieci righe io ne feci quindici, perciò presi –5. Naturalmente
ripetei la quinta. Ma torniamo ai dodici anni. Ebbene, dopo aver visto in coda
al film domenicale un documentario della Disney
sui castori, il professore di lettere ci chiese di scrivere le nostre
impressioni su quel documentario. Presi nove, nonostante la grammatica ancora
zoppicante. E il professore (Dio lo benedica) da allora mi permise di
‘spaziare', di scrivere i temi senza ‘vincoli'. Andò sempre meglio. Il primo
romanzo lo scrissi verso i diciotto anni, una storia di depressione e incesto.
Nonostante Pier Paolo Pasolini,
dopo averlo letto, avesse trovato subito un editore (sua madre e la mia si
conoscevano e lui aveva frequentato casa mia), rifiutai la pubblicazione. Le
motivazioni le tengo per me. Poi con l'università in pieno sessantotto, la
famiglia, il lavoro, smisi di scrivere racconti e romanzi continuando però a
divorare libri e a pubblicare (per mestiere) saggi inerenti particolari aspetti
del medioevo. Fino al 2002 quando, a causa di una forzata immobilità, scrissi
‘Il longobardo' e ‘La casa
del quarto comandamento'.
Allora desideravo solo evitare la noia e l'ozio, invece ora sta per uscire il mio quinto romanzo.
I tuoi rapporti con l'editoria.
Ottimi e senza problemi. Pubblicato al primo
colpo e senza lunghe attese. In Piemme
e in Fernandel ho trovato
gente straordinaria, preparatissima
e umanamente deliziosa. Ora ho un agente, Piergiorgio Nicolazzini. Ma è una necessità, non una ‘ficata'. Quando i libri diventato tanti, si ha
bisogno di qualcuno che ne sappia parecchio su diritti d'autore e clausole
editoriali, su come funzionano le case editrici. Qualcuno che ti consigli e ti
gestisca, insomma. Inoltre lui cerca di individuare per me l'editore più adatto a ogni
romanzo, lo tratta e gestisce .
Però sia chiaro (e questo lo dico per gli esordienti) nessun agente serio ti
chiede denaro per operare. Si trattiene una percentuale su quanto guadagna il
suo autore, nulla più.
Che cosa ti piacerebbe scrivere?
Una roba tipo la Bibbia. Oppure
l'Odissea o Le Mille e una notte. In quei libri c'è già tutto, il resto è
ripetizione. Naturalmente sto scherzando. Be', mi basterebbe essere capace di mettere insieme
un romanzo come ‘Il gattopardo'.
Secondo me uno fra i pochi della seconda metà del novecento italiano degno di
passare ai posteri.
Scrivere ha cambiato in modo radicale
la tua vita?
No, direi che l'ha resa semplicemente
più gradevole e gratificante
Qualche consiglio per chi ha intenzione
di iniziare a scrivere.
Chi scrive lo fa per essere letto, in altre parole pubblicato. Perciò
deve imporsi alcune regole, rispettare una ‘scaletta'. Prima di tutto, se si
hanno dei dubbi, è meglio rassegnarsi a un bel ripasso della grammatica e della
sintassi italiana. Anche lo stile più originale deve rispettare certe regole.
Poi deve ripulire i propri scritti del banale, dell'abusato. Conosco editors che al primo ‘il sole
brillava nel cielo azzurro' o ‘il cielo era trapuntato di stelle' gettano il manoscritto
nel cestino ‘a prescindere'.
L'argomento della narrazione deve essere originale, oppure riguardare un
problema attuale e universale; di primi amori, di cuori solitari, di angosce
adolescenziali, di memorie, sono pieni di maceri. Finita la prima stesura,
lavorarci su a lungo e con cattiveria, senza paura di tagliare o riscrivere.
Quindi è meglio mettere da parte il testo per alcune settimane e riprenderlo ‘a
freddo'. Dopo almeno due
stesure, scegliere un campione di lettori disposti a perdere l'amicizia pur di
essere onesti nelle critiche. Infine, completata la terza, prima di sottoporlo a un editore cercare di individuare quello
giusto. Una casa editrice che pubblica, ad esempio, fantascienza, ovviamente
rifiuterà il vostro romanzo che parla del disagio giovanile anche se è ottimo. Ma soprattutto umiltà:
non pensare mai di avere scritto un capolavoro. Quanto si è bravi lo deciderà
il lettore.