L'intervista è a Donatella
Franceschi.
Donatella vive a Roma,
frequenta l'Università La Sapienza e ama leggere e scrivere. Recentemente, con
il racconto “Sottofondo musicale” ha ottenuto il primo posto per la sezione
narrativa nel Concorso Letterario Alois
Braga 2006.
Perché scrivi?
Bella domanda. Non lo so neanch'io. Ogn'uno di noi, in fin
dei conti, nel suo piccolo scrive; chi tiene un proprio diario virtuale o cartaceo,
chi butta giù i propri pensieri, le proprie emozione, chi scrive lettere, chi
si diletta con la poesia. Ci sono tanti e differenti motivi; come quello di
mantenere e riannodare ogni volta un'amicizia o la nostalgica soddisfazione di
rileggere a distanza di anni cosa eravamo e fare un bilancio dei cambiamenti
avvenuti e non.
Ma tutto ciò, a mio
parere, può essere ricondotto a un desiderio comune ai più di testimonianza. La
possibilità con le parole di dire “io ho vissuto”.
Si può forse dire, in fondo,
che la ricerca insita nell'uomo di una propria personale immortalità, di un
proprio perituro ricordo da lasciare ai posteri venga
ricercata in molti modi diversi, tra i quali la scrittura può essere annoverata
senza indugio.
Ritornando, però, alla domanda
del perché scrivo la risposta potrebbe risultare, forse un po' banale e
semplicistica, ma al momento è l'unica che sento di poter dare: scrivo perché
mi piace e nulla più.
Alla base di tutte le tue
opere c'è un messaggio che intendi rivolgere agli altri?
No, non credo nemmeno di
esserne all'altezza. Penso che sia giusto che chi legga possa ricavare
liberamente, senza secondi fini, una propria personale verità, un proprio
personale sentimento, una propria personale emozione.
Solo chi legge da vita a un
testo letterario, non chi lo scrive.
Ritieni che leggere sia
importante per poter scrivere?
Si, molto, almeno per
quanto mi concerne. Non pretendo assolutamente che questo dettame valga in
assoluto e per tutti.
Io adoro leggere e lo
farei a prescindere dalla scrittura.
Che cosa leggi di solito?
Un po' di tutto, sono
molto malleabile per quanto riguarda i gusti letterari, anche se devo
confessare che, da qualche tempo, sto cercando di vincere la mia avversione per
i cosiddetti “gialli”. Solitamente vedo film, telefilm polizieschi come niente
fosse, ma quando si tratta di leggere mi blocco dopo qualche capitolo. Un vero
peccato.
Solitamente accumulo libri
su libri, iniziando a leggerne contemporaneamente più di uno e a causa del mio
carattere pigro e volubile non finisco la lettura di gran parte dei libri, che
riprendo rispolverandoli, a volte, solo a distanza di mesi o di anni.
Ultimamente mi sto
avvicinando alla letteratura cinese e orientale in generale anche se purtroppo
è esiguamente tradotta in Italia, tra le autrici e gli autori più rilevanti che
ho avuto la fortuna di scoprire vi sono: Shan Sa, Zhang Ailing, Jung
Chang, Achee Min, Dai Sijie, Banana Yoshimoto (già
vecchia compagna di viaggio da anni) e Yasunari Kawabata.
Inoltre sto anche riscoprendo
l'universo variopinto e variegato della saggistica con libri come: “L'amore e
l'occidente” di Denis de Rougemont e “L'anima delle
donne” di Aldo Carotenuto.
Quando hai iniziato a
scrivere?
Da piccola ricordo che mi mettevo a tavolino
e scrivevo delle storie fantastiche, che al tempo credevo fossero farina del
mio sacco ma che in pratica rubavo qua è la da storie che mi venivano
raccontate, che leggevo o che sentivo alla televisione.
Riportavo la storia come
mi veniva narrata, modificando al massimo qualche
piccolo dettaglio che pescavo dal mio background culturale.
Diciamo, però, che ho
cominciato a scrivere qualcosa solo per me verso i diciassette, diciott'anni.
I tuoi rapporti con
l'editoria.
Passo.
Che cosa ti piacerebbe
scrivere?
Tutto. Niente.
La mano si chiude a pugno
come per cogliere e trattenere qualcosa di speciale, unico, qualcosa di tuo, di
solo tuo, ma aprendo la mano la ritrovi vuota.
Spero di cambiare sempre.
Di scrivere sempre qualcosa di diverso, di muovermi, di evolvere, di crescere,
di cambiare, sbagliare, sbattere la testa contro un muro una
come cento volte e tornare sui miei passi dopo essermi accorta, per
esempio, di aver seguito il sentiero sbagliato a uno dei tanti bivi della vita.
Ciò di cui ho paura invece
è il pericolo, sempre in agguato, di fossilizzarmi, impaludare e rimanere
attanagliata alle stesse cose, alle stesse storie.
Scrivere ha cambiato in
modo radicale la tua vita?
Radicale è un termine
molto forte.
No, non credo che la
scrittura abbia cambiato in modo radicale la mia vita, anche se è certo che vi
ricopre all'interno un ruolo di grande importanza.
Qualche consiglio per chi
ha intenzione di iniziare a scrivere.
Tenendo ben presente che
scrivere non è come preparare una torta…. o forse si,
ma certo!
Anzi, scrivere, in fin dei
conti, è proprio come fare una torta; le stesse procedure legate, però, a una
certa aura di mistero e ignoranza nei confronti della torta medesima e degli
ingredienti da utilizzare.
Basta avere una penna in
mano e fogli bianchi stretti nell'altra*.
Agitare la penna sui
fogli. Tirare fuori gli ingredienti uno ad uno.
Impastare e amalgamare tra
loro le parole e i fermenti dell'animo.
Attendere che lievitino.
Infornare.
Aspettare, pazienti, di
vedere prender vita alla torta che abbiamo creato dal nulla e che abbiamo
estrapolato da quello che siamo, dal nostro vissuto o da quello che non siamo,
dal vissuto di altre persone a cui abbiamo dato un
volto, una voce, parole per esprimersi, mani che si tendono al di fuori degli
spigoli e delle linee lineari dei fogli, tra le cui pareti sono rinchiusi.
Ognuno di noi ha in sé
stesso i propri personali ingredienti, basta lasciarli fluire al di fuori di
noi, nulla più.
*o una bella tastiera e un
pc!