Fabrizio Manini è
collaboratore de Il Foglio Letterario dal 2001. All'interno delle Edizioni Il
Foglio è direttore della Collana Autori Contemporanei Poesia e della rivista ebook Carmina. Ha pubblicato “Briciole d'eternità” (Ed. Polistampa, 1997), Ballate di
vita di morte e d'amore (Ed. Il Foglio, 2002), Voglio
che dio mi mostri il suo volto (Ed. Il Foglio, 2004),
Grigie distese (Ed. Il Foglio, 2005). È prossimo alla
discussione della tesi per la laurea magistrale in psicologia.
Perché scrivi?
È un bisogno intrinseco. Un po' banalmente lo
paragonerei alla necessità di respirare. Ma è una cosa strana perché nel
momento in cui scrivo non sto bene né provo piacere. Anzi, scrivo nei
(frequenti) momenti, per così dire, di sconforto/tristezza. Preferisco di gran
lunga lo scrivere al parlare perché credo mi riesca meglio; mi verrebbe quasi
da dire che non mi piace sentire la mia voce.
Alla base di tutte le tue
opere c'è un messaggio che intendi rivolgere agli altri?
Non ho la presunzione di insegnare qualcosa,
tantomeno di fare il moralizzatore di costumi o abitudini
perché ho fatto mio il motto socratico, e successivamente ciceroniano,
scio me nescire (=confesso di non sapere). Non ho
messaggi da divulgare, solamente mi rifaccio a George
Bernard Shaw quando disse che “L'uomo che scrive di se stesso e del
proprio tempo è l'uomo che scrive di tutta l'umanità e di tutti i tempi”. Se
poi a qualcuno piace quel che scrivo non posso che esserne soddisfatto, ma
comunque lo scopo primario non è certo l'approvazione degli altri. La
soddisfazione deriva dal fatto di scoprire che esistono persone a me
sconosciute che condividono con me interessi, pensieri, esperienze, delusioni,
speranze, rimpianti, rimorsi.
Ritieni che leggere sia
importante per poter scrivere?
Leggere è fondamentale per scrivere; non a caso
nell'arco della vita prima si impara a leggere e
soltanto dopo a scrivere. Una volta l'Alfieri ebbe a dire che “chi legge troppo
perde di originalità e ruba senza avvedersene”. Posizione condivisibilissima,
ma con alcuni distinguo. Leggere è sapere, scrivere è sapere fare, entrambe le
cose sono saper essere. Nonostante questo io sono uno che legge quasi
esclusivamente le cose che mi interessano e a chi mi dice che questo è un
limite io rispondo che conoscere tutto significa non conoscere niente. Per
esperienza personale tutte le volte che io ho posto questa domanda ad altri mi
è stato sempre risposto che leggere era la cosa più importante, ma poi in
pratica non lo faceva nessuno. In una situazione come questa non posso non
pensare al Metastasio che ha detto “vedo il meglio e
al peggio m'appiglio”.
Che cosa leggi di solito?
Per mio diletto leggo tutto ciò che è poesia.
Detto molto sinceramente invidio a Benigni la conoscenza quasi perfetta che ha
della Divina Commedia. Potrei fare un elenco lunghissimo di autori, ma
soprattutto voglio ricordare Dante, Petrarca, Shakespeare, Goethe, Byron (e tutti i romantici inglesi), Leopardi (in
particolare), Baudelaire, Rimbaud
(e tutti gli altri simbolisti francesi). Fra gli autori moderni Ungaretti, Quasimodo, Montale,
Carducci, Pascoli, Corazzini, Caproni, Luzi, Trilussa, Lorca, Pessoa, Lee Master, Dickinson, Bukowski. Oltre a questi “grandi” leggo tutta una serie di
altri autori, purtroppo ignoti al grande pubblico; persone che non compaiono su
antologie o enciclopedie e che sono caduti immeritatamente nel dimenticatoio.
Per lavoro leggo molte volte e a distanza di tempo le poesie che gli autori
inviano alla Casa Editrice con cui collaboro, anche se, ahimé,
trovo raramente dei testi in linea con il progetto editoriale che portiamo
avanti. Per necessità leggo i manuali accademici e gli articoli scientifici che
mi servono per la tesi di laurea. La narrativa mi attira un po' meno, ma fa
comunque parte della mia sfera di interesse. Mi piacciono le commedie del Goldoni, le tragedie di Shakespeare,
i racconti di Poe, le novelle del Verga, tutto ciò che
ha scritto Pirandello, i romanzi di Silone e di Cassola. Mi piacciono
Voltaire, Rousseau, Nietzsche
e Roberto Gervaso, sia per le tematiche trattate sia per il modo di
affrontarle. Mi piacciono molto anche Wilde e De Crescenzo. Adoro i libri di aforismi. Per
concludere faccio un nome su tutti: Emil Mihai Cioran, autore saggista
contemporaneo (morto a Parigi nel 1995) sconosciuto ai più, ma che scrive cose
terribilmente belle, incredibilmente attuali e che sento mie in ogni senso.
Quando hai iniziato a
scrivere?
Direi relativamente tardi, vale a dire attorno
ai quattordici anni. La prima poesia, manco a farlo apposta, la scrissi per una
ragazza conosciuta al liceo. Da allora non ho più smesso. E
almeno per ora non vedo motivi per cui debba farlo.
I tuoi rapporti con
l'editoria.
Il primo libro l'ho pubblicato a ventidue anni
con un editore a pago. Purtroppo si comincia sempre così. Ma è stata comunque
una soddisfazione notevole, alla faccia di certi presunti insegnanti che sanno
solo giudicare, biasimare, sentenziare e condannare. Poi quando ho conosciuto
Lupi mi sono trovato subito in sintonia con le sue intenzioni; da lì a poco
sono nate le Edizioni Il Foglio e Gordiano, dandomi fiducia, mi ha permesso di
entrare nello staff della Casa Editrice. È un lavoro che faccio volentieri e
con estremo piacere e che mi ha permesso di conoscere molta gente (anche se
solo tramite email) che condivide con me l'interesse
per la scrittura. Gli altri libri li ho pubblicati con Il Foglio e sono
soddisfatto sia del prodotto sia dei risultati. Tutto questo tenendo comunque
ben presente quali possano essere i risultati per un
libro di poesia in un'era contemporanea-tecnologica
dove dilagano internet e i videofonini e dove quasi
tutti scrivono senza leggere e presentano i loro lavori esordendo con le parole
“Buongiorno, il mio nome è Tizio De Caio e sono un poeta”.
Che cosa ti piacerebbe
scrivere?
Attualmente sono impegnato
con la tesi e questo mi basta. Comunque a parte le battute, sicuramente ancora
poesie, ma senza atteggiarmi con snobistica presunzione a diventare il vate del
secolo. Non sono quelle le mie intenzioni/aspirazioni. Anzi, a chi mi appella
come “poeta” non rispondo in maniera troppo ortodossa. La maggior parte delle
persone a una domanda come questa direbbe all'unisono: un romanzo! Ma io non mi
sento di rispondere in questo modo; forse più avanti scriverò un'autobiografia,
ma solo se ci sarà il bisogno o se ne sentirò il bisogno. Nutro un certo
interesse verso il giornalismo, ma quello libero di internet, non quello
omologato/propagandistico della carta stampata. Ti voglio raccontare un
aneddoto personale che però vorrei rimanesse tra noi.
Quando sono andato a rinnovare la carta d'identità, l'ufficiale d'anagrafe addetta
al rilascio del documento (una persona che mi conosce e apprezza ciò che
scrivo) ha insistito per mettere la dicitura “scrittore” alla voce professione.
Non c'è stato verso di distoglierla dall'intento. Io tutte le volte che devo
mostrare il documento a qualcuno provo un certo imbarazzo, anche perché è una
cosa che risalta subito all'occhio e quindi immancabilmente arriva la richiesta
di spiegazione e i successivi elogi…
Scrivere ha cambiato in
modo radicale la tua vita?
Almeno fino a oggi direi di no, né in modo
radicale né in modo più superficiale. Io detesto l'autocelebrazione,
per cui non vado a raccontare a chiunque ciò che
faccio. Tanto per capirsi non mi fermano per la strada a salutarmi o a
complimentarsi (per fortuna!). Non mi invitano nei talk show a presentare
libri, né come ospite in televisione (per fortuna!!).
Non mi arrivano proposte da quelli che sono considerati “i grandi editori”, tantomeno sono diventato ricco. Una certa “ricchezza” in
senso lato è derivata dal conoscere altre persone che condividono i miei
interessi e dall'esperienza che ho potuto fare all'interno delle Edizioni Il
Foglio. Poi… vedremo.
Qualche consiglio per chi
ha intenzione di iniziare a scrivere.
Per carità!!! Consigli
non ne do e non ne voglio. So sbagliare da solo, non ho certo bisogno che mi facciano sbagliare gli altri (e ugualmente non c'è bisogno
che io faccia sbagliare gli altri). In questa frase non c'è presunzione di
competenza, ma solo la voglia e l'invito a ragionare con la propria testa.
Anche perché “consiglio” è una parola mascherata per dire “ordine”. Se poi
proprio insisti posso far notare che almeno un suggerimento l'ho già dato fra
le righe delle risposte precedenti: leggere molto, soprattutto ciò che collima
con i propri interessi. Inoltre, secondo me, è imprescindibile arrivare a
padroneggiare la nostra meravigliosa lingua, così tanto bistrattata dagli autoscrittori improvvisati (giornalisti compresi) e così
tanto insidiata dalle smanie esterofile di chi usa termini stranieri senza
ritegno e in quantità industriali; è altrettanto fondamentale conoscere alla
perfezione (o quasi) la grammatica, l'uso della punteggiatura, il lessico, la
morfologia, la sintassi, i verbi (leggasi congiuntivi, participi e gerundi),
l'analisi logica, i complementi, la coordinazione e la subordinazione dei
periodi, le figure retoriche, le tecniche narrative, gli stili, le citazioni,
gli esempi dei grandi maestri. È chiaro che il linguaggio si evolve in
continuazione e che scrivere significa creare qualcosa, per
cui occorre anche un pizzico di originalità, ma è soltanto nella
conoscenza di ciò che è stato che si parrà nostra nobilitate (Dante docet).