L'intervista è a Larry
Lisca, pseudonimo di Leonardo Lisca, nato a Lecce nel 1956. E' l'autore del
divertente “Camp attack”, di cui potete leggere la recensione
qui.
Perché scrivi?
Bella domanda. Me lo chiedo anch'io, a volte. Diciamo che scrivo per cogliere
gli aspetti più divertenti di una realtà che a volte non mi piace per niente.
Una realtà in cui agiscono persone spiacevoli, e in cui accadono
eventi altrettanto spiacevoli. Tuttavia: perché scontrarmi con essa, quando posso batterla agevolmente ricorrendo alla
presa in giro? Ridere di (quasi) tutto è la migliore arma di difesa. Scrivere
un libro divertente significa offrire ai lettori il medesimo
"potere". Alcuni individui, infatti, non sopportano il sarcasmo. E
prenderli in giro diventa ancor più divertente. La censura mediatica
imposta in Italia nel quinquennio 2001-2006 la dice lunga al riguardo. Per
maggiori informazioni rivolgersi a Luttazzi.
Alla base di tutte le tue opere c'è un messaggio che
intendi rivolgere agli altri?
Oddio, "messaggio" è una parola grossa. Nella dedica presente in
"Camp attack" ho definito la risata
"la più bella tra le facoltà umane", e credo che alla fine questo
possa rappresentare bene il mio messaggio. Lasciarsi conquistare, di tanto in
tanto, dal lato divertente della vita, imparare a ridere di se stessi in
primis, e poi degli altri. Tanto la sonora risata
quanto il timido sorriso si accompagnano necessariamente a una sensazione di piacere
(lasciate perdere il ghigno mefistofelico di Jack Nicholson in "Shining",
quella è un'altra cosa), e la consapevolezza che in tanti, dai bambini ai miei
coetanei, abbiano riso o sorriso leggendo "Camp attack"
è per me fonte di grande orgoglio. Perché tutto ciò mi rende consapevole di aver
saputo trasmettere sensazioni piacevoli. "Buone vibrazioni", le chiamavamo
negli anni Settanta. Considera infine che secondo alcuni scienziati ridere
allunga la vita: in linea teorica "Camp attack"
può anche esercitare una funzione terapeutica, dunque.
Ritieni che leggere sia importante per poter scrivere?
Senz'altro. Se vuoi diventare uno scrittore originale,
devi conoscere chi e cosa è venuto prima di te. Se vuoi copiare, e farlo bene,
devi comunque conoscere chi e cosa è venuto prima di te. Non c'è scampo.
Che cosa leggi
di solito?
Tutto ciò che si può leggere, anche lo scontrino del
supermercato, se non ho nient'altro sottomano. Passo tranquillamente da Kafka al misconosciuto scrittore eschimese, dalla
saggistica più complicata ai libri delle
bancarelle, ove spesso si annidano piccole perle dimenticate. Evito soltanto i
libri che puzzano di presa per i fondelli lontano un miglio: ormai sono un lettore
smaliziato, non mi lascio abbindolare. Né mi va
di contribuire al
successo economico di individui che si sono improvvisati scrittori dall'oggi al
domani; non spendo quindici euro per constatare quel che già sapevo benissimo
in partenza. Chiamalo pregiudizio, se vuoi. Io lo chiamo "buonsenso"
(dettato dall'esperienza).
Quando hai iniziato a scrivere?
Domanda impegnativa per un uomo di mezza età. Se ben
ricordo, i miei primi tentativi letterari vanno collocati agli albori degli
anni Settanta, quindi in età adolescenziale. Roba di poco conto. Con la
maggiore età mi sono dedicato alla saggistica. A un certo punto della mia vita,
però, ho capito
di dover cercare un lavoro; l'ho intuito dai messaggi subliminali che mi lanciavano
i miei genitori, tipo chiudermi fuori di casa per tre giorni o lasciarmi da
solo in autostrada. Il tempo di scrivere si è ridotto proporzionalmente al
trascorrere degli anni.
"Camp attack"
è stato concepito
e assemblato nei campeggi da me visitati dal 2000 in poi.
I tuoi rapporti con l'editoria.
Pessimi. Se non mi fossi imbattuto per puro caso ne I Sognatori, "Camp attack"
sarebbe rimasto quasi sicuramente dov'era:
sotto la gamba di un tavolo traballante. Gli editori veri ormai scarseggiano.
Troppe case editrici italiane sono guidate da manager rampanti, che sanno tutto
di mercato, di statistiche, di target e roba del genere. Ma non sanno com'è
fatto un libro. Una volta mi sono ritrovato a cenare in un ristorante con un famoso
editore. Prima di ordinare qualcosa, tanto per rompere il ghiaccio gli ho
chiesto: "Allora, le piace il Fedro di Platone?". E lui mi ha risposto:
"Sì, ma servito a temperatura ambiente".
Che cosa ti piacerebbe scrivere?
Un romanzo che sappia divertire e far riflettere al
contempo. Cosa difficilissima, che riesce soltanto a geni come Chaplin, Allen e Benni. Ci proverò anch'io.
Scrivere ha cambiato in modo radicale la tua vita?
Scrivere ha migliorato la mia vita e la capacità di rapportarmi agli altri.
Essere pubblicato, invece, non ha mutato alcunché. Non sono certo l'autore sulla
bocca di tutti. Tant'è che ho firmato un solo
autografo in vita mia, a una quindicenne che tremava come una foglia. Le ho
restituito il suo pezzetto di carta e lei non l'ha neanche guardato. Ha detto
soltanto: "Lei è davvero un grande scrittore,
signor Moccia".
Qualche consiglio per chi ha intenzione di iniziare a
scrivere.
Lasciamo perdere. Sono un cattivo maestro.