L'intervista è ad Annalisa
Ferrari, milanese di nascita, ma
residente in provincia di Lodi. Ha scritto “ Il mio nome dimenticato – Vita di
Gerolamo Lazzeri “ – Edizioni Giuseppe Chiappino, la
biografia di un intellettuale coerente fino in fondo, nonostante il fascismo.
Perché scrivi?
Non ho una buona risposta: forse perché è una domanda teorica, e
io, quando scrivo, agisco. Costruisco qualcosa.
Ho un lavoro da insegnante che raramente mi permette di vedere i
risultati di quello che faccio. Non è come costruire un ponte, e vederlo stare
in piedi o crollare; non è come fare una forma di pane.
Scrivere, dunque, potrebbe essere il mio desiderio di creare
qualcosa, impastando le parole, e profumandole con le spezie giuste.
Ma non è davvero una buona risposta.
Anche perché non sono una scrittrice, non scrivo per campare, e
nemmeno per essere in armonia con me stessa, o per esprimermi o fare esperienza
di me.
Scrivo per un caso, e
perché non ho altre particolari vocazioni; conosco la grammatica e la sintassi,
leggo molto e con piacere, mi esprimo facilmente per iscritto. Qualunque altra
cosa avessi voluto fare per mostrare ciò che volevo,
per farlo arrivare agli altri, avrebbe avuto bisogno di lungo esercizio, di un
apprendistato faticoso, di una inclinazione
particolare che non ho trovato in me.
E nemmeno questa, comunque, mi sembra una buona risposta.
Allora forse la domanda, per me, dovrebbe mirare più in basso e
semplicemente essere: perché ho scritto questa cosa (o quest'altra)?
E qui risposte ne ho: per coincidenza, innanzitutto. E poi per
curiosità. E sfida. Mi sono accorta che la scrittura ha un potere, e che mi
piaceva usare la scrittura in quel modo, come forma di potere. E mi attirava
l'idea di essere passata dall'altra parte della barricata, di essere io a
dettar legge. Di poter usare la scrittura come regalo, ma un regalo da
conquistarsi, perché chi legge, alla fine, per accettare il mio regalo di
parole è costretto ad accettare il modo in cui io ho deciso di
raccontare la storia.
E poi… E poi mi è capitato di dover scrivere una storia, quella di
un uomo che ho incontrato per caso tra le carte di un archivio, e di cui
nessuno si ricordava più. E allora questa storia andava scritta per semplice
senso di giustizia.
Quando dico questo, dico che ho voluto scrivere per compiere
finalmente un atto di giustizia che fosse smisurato, senza fine. Ho coltivato
l'illusione che questo fosse
possibile. E non mi importa che sia un'illusione.
Mi importa che di lui ci sia memoria, in qualche modo. Un segno che
dica: ecco, lui è stato qui.
E non potevo lasciare un segno con una foto, un film, o chissà che
altro. Con la scrittura, forse, sì.
Caso, sfida, giustizia e memoria. Ho scritto per questo.
Poi è venuto il piacere: scrivere è una delle poche cose che
richiedono tempo, fatica, sudore e a volte rabbia, e nello stesso tempo ti
divertono.
Mi accorgo che ho continuato a scrivere cercando soprattutto il
divertimento.
E gli incontri. E una vita al di là di quella di cui potevo
accontentarmi.
Allora, ecco, scrivo oggi perché la scrittura mi fa incontrare
gente e storie, mi fa andare in posti altri, mi tiene legata a persone a cui tengo.
Per esempio, sono diventata brava a scrivere lettere. A raccontare
storie attraverso le lettere. O attraverso pagine che mi piace leggano le
persone che conosco. Cercando a volte di nascondermici
dietro, a volte di rivelarmi.
Alla fine, allora, come dice Marquez,
scrivo perché i miei amici mi amino di più.
Alla base di tutte le tue
opere c'è un messaggio che intendi rivolgere agli altri?
No. Non volontariamente,
almeno. No, direi di no. Non ci ho mai pensato in
questo senso.
Ritieni che leggere sia
importante per poter scrivere?
Altrochè. Indispensabile.
Che cosa leggi di solito?
Sono una lettrice onnivora
e molto disordinata. Leggo di tutto, ma soprattutto
narrativa. E fumetti. Buoni fumetti.
Quando hai iniziato a
scrivere?
Nel modo in cui si intende
qui ‘scrivere', circa sei anni fa.
I tuoi rapporti con
l'editoria.
Praticamente nessuno.
Che cosa ti piacerebbe
scrivere?
Adesso mi piacerebbe scrivere tre storie: quella di una ragazza del
1500 che si chiamava Caterina; quella di due fratelli nati negli anni
cinquanta; quella di un uomo che nel 1400 credé di aver conquistato il mondo e
andò a morire sulla forca con suo figlio.
Scrivere ha cambiato in
modo radicale la tua vita?
Non radicalmente, perché
vivo, lavoro, faccio ancora quello che facevo prima. Ma molto, sì. L'ha
cambiata molto.
Qualche consiglio per chi
ha intenzione di iniziare a scrivere.
Scrivere.
Sempre, tutti i giorni un
po'. Qualunque cosa.
Imparare la grammatica e
la sintassi.
Non scrivere per sfogarsi
quando si ha un dispiacere o un dolore.
Scrivere per raccontare
qualcosa che si è visto (nella realtà o nei pensieri).
Scrivere per gli altri,
anche se gli altri non leggeranno mai quello che scriviamo.
Scrivere, insomma.