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  Libri e interviste  »  L'intervista di Giuseppe Iannozzi a Fabrizio Corselli, autore di Enfer, edito da Ciesse 16/07/2013
 

FABRIZIO CORSELLI

ENFER

Intervista all'Autore

di Iannozzi Giuseppe

Ciesse edizioni

 

 

“L'orgoglio della donna/ giace sotto l'ombra/ del proprio peccato”: questi versi riassumono il leitmotiv della tua ultima fatica Enfer, Fabrizio Corselli. Un lavoro molto diverso rispetto alla poesia cui ci hai abituati. Ma di questo ne parleremo più avanti, nel corso dell'intervista. Ora mi preme da te sapere una cosa: non trovi che i versi citati abbiano una impronta spudoratamente decadentista?

 

Sì. Vuoi per il tipo di contesto adottato sia perché mi allontano da idee tipicamente romantiche, che comunque sono state sempre presenti nella mia poetica, avvicinandomi di più alla visione dei poeti maledetti, all'incitamento del rifiuto della morale borghese fino alla figura del poeta veggente, solitario. Le “visioni” di Morel sono comunque ben diverse. Anche nella dimensione strutturale vi è l'esaltazione del verso libero e della musicalità quale nuova eco capace di costruire nuovi mondi, nuove esistenze. Da questo punto di vista, Verlaine è straordinario. Ci si concentra di più sui desideri, sulle pulsioni dell'anima e meno sulla fisicità del reale che limita invece l'espressione dei sentimenti e delle aspirazioni. Morel dà adito alla sua anima dannata, anche se ciò lo porta all'autodistruzione.

 

 

Enfer è opera erotica più vicina alle inclinazioni del Marchese de Sade o a quelle di Octave Mirbeau?

 

Enfer nasce dalla mia passione per il periodo libertino, questo è chiaro, e nella fattispecie dall'amore che ho nei confronti dei testi de sadiani; primo fra tutti la Justine. Ben lontano invece dal “Giardino dei supplizi” di Mirbeau e da “Le undicimila verghe” di Apollinarie; questi non sono riusciti ad appassionarmi così tanto come ha fatto il Divin Marchese, in lui mi ritrovo maggiormente, a livello letterario. In particolar modo adoro il suo concetto di trasgressione retorica e le sue azioni iperboliche nell'atto sessuale. Seppur “erotico” il tema libertino lo considero in ogni modo un genere a sé stante. Ha temi e contesti propri che affondano le proprie radici in un determinato periodo storico, uno schema che è molto preciso, entro il quale riesco a muovermi meglio. Anche a livello di personaggi tipici, Enfer è molto distante dalla figura di Casanova o di Don Giovanni.

 

 

Enfer celebra Thanatos (θάνατος) ma anche Eros (ρως). Par quasi che siano facce d'una stessa medaglia. Concependo Enfer, tu, Fabrizio Corselli, hai cantato e la pulsione di vita e la pulsione di morte. In “Al di là del principio di piacere”, Freud sosteneva cheLa mèta di tutto ciò che è vivo è la morte”, per arrivare alla conclusione che “esiste un netto contrasto fra le ‘pulsioni dell'Io' e le pulsioni sessuali, poiché le prime spingono verso la morte e le seconde verso la continuazione della vita”.

 

Delicata come questione. Diciamo che la maggior parte degli atti sessuali, soprattutto inseriti all'interno dei riti pagani, stanno a simboleggiare la fertilità, così anche azioni come lo sparagmos, lo smembramento, di cui Orfeo è il caso più eclatante nella mitologia, senza tralasciare il paradigma mitico di Horus. L'unione di Eros e di Thanatos può essere semplificato, in maniera sbrigativa e un po' presuntuosa, nel diretto rapporto fra gli opposti, in quella che è la legge enantiodromica di Eraclito, in cui immancabilmente un principio si trasforma nel suo opposto, come lo è il suono nel silenzio, e di cui la Poesia si nutre, ritrovando il suo apice in quel silenzio metaforico che assenza non è ma Suono assoluto.

Principio peraltro ripreso dai poeti maledetti, un dire tacendo in cui la privazione si veste di una forte carica metaforica, sottraendo oltremodo il sentimento alle leggi del cuore.
Oltre all'Eros e Thanatos, c'è anche un particolare che mi differenzia dalla letteratura de sadiana, per quanto io possa prenderla a modello, tralasciando la sua retorica ed etica del coito, ed è proprio la presenza dello smarrimento, della vertigine del bello, cosa che invece manca in de Sade, come Simone de Beauvoir ben evidenzia nella postfazione della Justine “mai la voluttà appare nei suoi racconti come smarrimento di sé, estasi, abbandono… nell'eroe sadico, la maschia aggressività non è attenuata dalla comune metamorfosi del corpo in carne; nemmeno per un attimo egli si perde nella sua animalità: rimane così lucido, così cerebrale che invece di disturbarlo nei suoi slanci i discorsi filosofici sono per lui un afrodisiaco”. Cosa che non succede invece in Morel. Soprattutto, poi, lo smarrimento, la vertigine è necessaria in quanto elemento costitutivo della Poesia, strumento per raggiungere il sublime ed effetto finale che la Poesia stessa cerca di causare nel lettore (il sublime ha il fine di creare la vertigine nel lettore).

 

 

In Enfer il piacere è carnale ed è mortale, il più delle volte anale. Con elaborate immagini poetiche metti a nudo il vizio del libertino Alexandre Morel e quello della sua vittima Madeleine. Ambientato in un'epoca per certi versi ancora oscura nonostante Voltaire abbia già da tempo portato il lume nelle menti di molti, Morel segue e rispetta una regola solamente, quella di amarsi torturando con il suo fallo le fanciulle. Solo finzione letteraria, o c'è in Morel anche uno specchiamento di te poeta?

 

Tralasciando la parte delle azioni fisiche, che lascio nel mistero più completo demandando il tutto alla fantasia o alla malizia del lettore, dico subito che Morel è la proiezione del mio lato oscuro. Soprattutto in esso si rispecchiano alcune mie componenti individualistiche quali una velata misoginia che mi ha sempre caratterizzato, e l'assenza di fede cattolica. Situazione quest'ultima che mi ha aiutato abbastanza nella trattazione della negazione della morale cattolica stessa e nel suo esplicito attacco da parte di Morel, per ovvie questioni ideologiche del movimento libertino. Va distinto il libertinaggio dal vero e proprio movimento filosofico; il primo, più popolare, è diventato soltanto una degenerazione dei costumi morali, con una particolare attenzione all'atto sessuale e alla soddisfazione dei propri piaceri smodati.
La frequenza del sesso anale, e non solo questo, derivano invece da alcune considerazioni che De Sade espone in maniera precisa nella Filosofia del Boudoir, proprio sulla pratica dell'entredeux, e che ho accolto con grande enfasi a livello compositivo. Un'altra situazione frequente, che aggiungo e che molte lettrici hanno fatto notare, è l'uso delle dita rispetto all'amplesso vero e proprio.

 

 

In Enfer descrivi fin nei minimi particolari pratiche sadomaso ferali. Hai esperienza diretta di qualche esercizio sadomaso da te descritto, o ti sei limitato a riversare in poesia esperienze altrui?

 

No, niente di tutto questo. Ho una fervida immaginazione e ho letto tanto. La capacità del poeta è anche quella di saper “vivere” certe situazioni a livello immaginativo, costruendone ogni minima tessitura sensoriale. La pratica sadomaso è poi ben diversa da un atto copulativo.

 

 

Enfer è in parte poesia e in parte prosa. Lo stile da te adoprato è volutamente antiquato. Perché questa scelta, quando sarebbe stato forse più semplice scrivere una storia di ordinaria follia bukowskiana punto e basta?

 

La risposta è più semplice di quanto si possa pensare. Troppo spesso nel delirio dell'impronta editoriale, nell'esaltazione delle sue regole come se fossero leggi universali acclarate e condivise, si dimentica la parte più importante, soprattutto quello che ne paga le conseguenze, ossia l'autore. Questi è un individuo con le sue angosce, le sue paure, le sue preferenze soprattutto. Dico questo, perché ci si dimentica troppo facilmente delle scelte personali. Io provengo dal poema, e sono un “poeta neoclassico”, lo stile immancabilmente è marcato. Ho scelto la Francia del 1793 perché mi piaceva, semplice. Inoltre Enfer segue anche una linea ben precisa a livello linguistico, cercando di essere il più vicino possibile allo stile del tempo, qui vi è pertanto una contestualizzazione con il periodo storico. Questo discorso potrebbe generare anche altre questioni sul problema dell'adeguatezza del linguaggio al periodo corrente, ma non è la sede giusta. Provo allergia nei confronti dell'affermazione “scrivi come si scrive oggi”. Il concetto di modernità può appartenere senza alcun problema anche a un testo scritto mille anni orsono.
Secondo me, anche il mio esser troppo poetico nella vita quotidiana, mi porta a trovare una maggiore corresponsione con i periodi precedenti. Mi viene detto spesso “tu dovevi nascere nell'Ottocento”. Chissà.

 

 

Narrando le avventure di un libertino bell'e fatto, impossibile da redimere, non temi di poter essere accusato di maschilismo? Oggi si ha paura del sesso, più di ieri, e si ha paura di chi ne parla. Le scrittrici italiane non amano parlare di sesso e se una scrittrice ne parla in maniera esplicita, come Isabella Santacroce, il rischio c'è ed è… La scrittura al femminile evita di raccontare il sesso. E' purtroppo tornata in auge la convinzione che il sesso sia una cosa sporca!

 

No, di ciò non ho paura. Comunque non mi sono mai posto il problema. Quando scrivo un'opera nulla mi trattiene. Mi sono sempre considerato un libertino dell'Immaginario. Nessun tampone lessicale, nessun problema di scorrettezze diplomatiche o etiche. Oggi si ha paura a parlarne, ma in pubblico, nel privato ognuno è libero di fare ciò che vuole, e spesso il sesso occupa una buona parte dell'interlocuzione. Soprattutto l'imperante presenza di battute e doppi sensi è un chiaro anelito a volerne parlare, ma ci si deve limitare o si è considerati “ossessivi”, “maniaci”, con frasi del tipo “ma pensi solo a quello?” e così via. Io ci gioco continuamente, anche in pubblico, senza alcun problema. Sono abbastanza irriverente di natura, e soprattutto il mio linguaggio esorbita. Ciò è dato anche dal fatto che ci siamo disabituati ad ascoltare termini quale “cazzo”, “fica”, “vagina”, ce li hanno sempre propinati come tabù lessicali, e al solo proferirli la reazione è un innocente quanto disturbante fastidio. Sporco il sesso perché te lo fanno vivere così, si dovrebbe fare più educazione sessuale nelle Scuole. Inoltre, in Italia i moralisti sono troppi, e spesso della peggiore specie; sono quelli che predicano e poi in segreto compiono atti a dir poco detestabili.

Poi non parliamo dei preti e della morale cattolica.
Della Santacroce ho apprezzato tantissimo V.M.18, soprattutto perché riprende con esiti positivi la tradizione de sadiana, cosa che non posso dire del libro della Melissa P. Comunque la Santacroce è un caso a parte, per fortuna. Dici che la scrittura femminile evita di raccontare il sesso, io invece vedo un'inversione di tendenza. Esso però viene trattato come qualcosa di troppo personale, come se appartenesse solo a loro, e come se loro stesse avessero l'esclusiva nel detenere lo scettro di tale genere. Poi c'è scettro e scettro.
Per il lavoro che faccio, è divertente vedere tante mamme ipermoraliste e iperprotettive nei confronti dei propri figli e poi incrociarle con la copia di 50 sfumature in bella vista, che trasborda dalla propria borsa quasi ne rappresentasse un vessillo.

 

 

Il peccato. Esiste il peccato in poesia? Con la sua verga, Alexandre Morel è un poeta, un poeta infernale ma pur sempre un poeta. C'è chi le poesie tenta di scriverle sull'acqua e c'è chi invece usa la donna per dar corpo alla poesia.

 

Il peccato in Poesia non esiste. L'unico peccato che ci può essere è quello di trattenersi dall'esprimere tutto ciò che l'anima e la lingua poetica sono in grado di esprimere. Il testo è una zona franca, un paradiso artificiale nel quale lo scrittore può dare adito ai suoi primigeni e controversi istinti, a ogni sua pulsione e perversione, a ogni sua azione crudele. Ogni ansa testuale trattiene il pathos e la tensione che agita l'anima, perfino dannata, di chi gode del privilegio dell'espressione versificatoria, per poi farla defluire in molteplici affluenti e nervature. La scrittura è dendritica, ha infinite connessioni nervose. Ogni mezzo è lecito. In Poesia c'è liquidità al pari dello sperma che desidera venir fuori da quel tanto agognato fallo che diviene nelle mani del poeta strumento non solo di piacere ma di piena soddisfazione della propria componente diegetica. Vive libero e felice all'interno del testo, esso è il proprio choros apemon, il proprio luogo sicuro ove nulla è proibito, dove perfino il crimen, l'omicidio, lo stupro e il sangue divengono elementi della propria nuova esistenza. Come già ho scritto nel saggio breve “Apologia del pensiero impuro”, pubblicato sul numero 37 della rivista Atelier, si assiste a «una coscienza offuscata dalla paura di confrontarsi faccia a faccia con le proprie paure, con i più intimi desideri rinnovati e perpetuati all'interno di codesta gabbia versificatoria d'impenetrabile solitudine libertina, trasformata con lenitiva progressione in un inossidabile ed incestuoso luogo dove poter professare l'elogio del tradimento, dell'eccesso altresì della più pura trasgressione. Una misura che più non si ritrova in alcun sistema metrico, di conseguenza non appartenente al poetare, ma in un canone che scopre a poco a poco il suo equilibrio nel capovolgimento dei principi dicotomici del Bene in Male, del Piacere in Dolore, e dell'Ingenuità in Malizia, ma soprattutto della Virtù in Vizio. Un rovesciamento di principi, velati e oscurati dal continuo incedere di una incoerente castità romantica che, pur silenziosamente, soffoca la nascita di ogni “libero” o “pudico disio” capace di professare e commettere ogni sorta di crimini del cuore».

 

 

Per quale ragione hai dato alla tua opera il titolo Enfer? E' forse un riferimento ad Arthur Rimbaud, a “Une saison en enfer”?

 

Perché ciò che si consuma all'interno della cella della prigione della Conciergerie è assimilabile a una vera e propria bolgia infernale, al ciclico ripetersi di alcuni tormenti e di alcune pene inflitte. Morel oltremodo inveisce contro Madeleine ricordandole chi è lei e la fine che merita qual dispensatore al pari d'un guardiano degli Inferi. C'è ritualità in Enfer, c'è il fuoco della dannazione senza alcun pentimento, c'è l'ardimento poetico che divampa al pari di un incendio.

La prigione si trasforma in un luogo dove esercitare il proprio potere, dove le leggi del “sopra” non esistono. Soltanto una coppa cerimoniale ad avviare il rito di metamorfosi di quel libertino.
Come detto precedentemente, ho fatto riferimento ai poeti maledetti, e soprattutto il poema in prosa Une Saison en Enfer di Rimbaud è uno dei miei preferiti.

 

 

C'è una morale in Enfer? A me pare di ravvisare che tu, Fabrizio Corselli, non abbia voluto indicare nessuna condotta morale, hai invece preferito raccontare di Alexandre Morel e di Madeleine senza porti dei limiti.

 

Non c'è una morale in Enfer, e anche gli stessi personaggi sembrano non averne, o comunque mostrarla in maniera così evidente. Come ben dici, ho preferito raccontare di Morel e di Madeleine. Non ci sono limiti in Enfer, se non quelli dell'Ineffabile. Anche qui la Poesia impera sui personaggi, non diviene dispensatrice di morale ma soltanto uno strumento nel perseguire i propri fini, stempera e tempera l'indole di Morel ma non lo influenza; ne diventa però complice. Del resto, Enfer non è un'opera sull'amore, e di “romantico” ha ben poco, se non visibile in qualche pallido rigurgito versificatorio. Ho pensato ad Enfer più come a un'opera grottesca. Sul piano erotico, io sono di base una persona irriverente ma con brio, anche nella vita quotidiana.
Sulla questione dei limiti, avrei molto da dire, soprattutto m'infastidisce il fatto che alcuni scrittori bravi debbano cadere rovinosamente sulla libertà espressiva, limitando e ridicolizzando la composizione per una falsa pudicizia che risulta a dir poco nauseante. Da qui, ecco che nascono testi di una banalità disarmante, ai confini del fanciullesco (esempi pratici, reali, letti con i miei occhi, la “farfallina”).

 

 

Enfer è dedicato a Heléne. D'obbligo chiederti se trattasi di una dedica reale, o se siamo invece di fronte a qualcos'altro.

 

Di Heléne non posso svelare l'identità, rovinerei il mistero del libro. Dico soltanto che non è un personaggio fisico.

 

 

Chi sono i lettori ideali della tua opera Enfer? Non è di certo una opera adatta a tutte/i, ma forse dicendo ciò sono io che cado in fallo!

 

Enfer è un'opera a destinatario specifico. L'opera è nata per un pubblico femminile, e in esso trova le sue ragioni, le sue potenzialità semantiche e metaforiche. Tutta la struttura sensoriale funziona pienamente con una donna. Ciò non significa che esso rappresenti un dono, anzi.

 

 

Enfer è fuor di dubbio una opera erotica, ma, a mio avviso, diversa dai tanti libri (più o meno commerciali e innocui) che oggi vengono portati sul mercato. Per strano che possa sembrare sono soprattutto le donne a scrivere di sesso; e sono forse passati i bei tempi in cui Charles Bukowski scriveva poesie per portarsi a letto le donne! Arthur Schnitzler, Charles Bukowski, Henry Miller oggi vendono perché sono entrati, a pieno diritto, tra i Classici. Anche la commedia erotica all'italiana è pressoché scomparsa dalle sale cinematografiche. Secondo te, Fabrizio Corselli, l'erotico oggi in Italia chi lo scrive? Chi è il potenziale lettore d'un libro che parla di sesso esplicito?

 

Secondo me, Enfer risulta molto diverso dagli altri libri perché nasce da un atto di passione e amore più che da un progetto di marketing, il quale presuppone l'essere aderenti a una serie di richieste ben precise; in particolare quelle che regolano la censura all'interno di una casa editrice: per esempio, “l'età del personaggio deve avere almeno 18 anni di età”, e così via. L'età iniziale di Madeleine era di dodici anni. Poi l'ho cambiata per altri motivi, la Ciesse mi ha dato piena libertà, non ho avuto alcun tipo di censure. Molti mi dicono tuttora “dai, hai scritto erotico perché con 50 sfumature c'è stato il boom, e adesso tutti si buttano su tale genere”. Veramente no. Soprattutto perché già avrei fatto l'errore più grande: scegliere la Poesia, che è un genere che non vende; questo, parlando a livello editoriale. Affermazione peraltro abbastanza triste. La Poesia c'è, venderà di meno, ma c'è. Non si deve permettere all'editoria di sopprimere un genere letterario in toto e alla radice. Il fatto che venda poco non significa che dobbiamo disinteressarcene. Secondo poi, ho scritto Enfer nel 2003, evolvendosi nel tempo, e ampliandolo su richiesta dell'Editore. Oggi l'erotico lo scrivono tendenzialmente le donne, perché l'Editoria ha deciso così “si accettano soltanto manoscritti di genere erotico scritto da donne”, restringendo e altresì costringendo il campo. Anche se spezzo una lancia in favore della Lite Editions che lavora molto bene su questo genere, e pubblica anche tanti autori maschi. Inoltre anche il campo di lettura è dominato sempre dalle donne, più della scrittura. In maggioranza gli uomini sono invece troppo primitivi, onestamente ricevono più soddisfazioni da un giornaletto porno che da un libro di letteratura erotica. Per fortuna non sono tutti così. Per adesso, Enfer è letto da donne e solo donne mi scrivono in privato per discutere del libro. Magari cambierà qualcosa più avanti.

 

 

Fabrizio Corselli, definito dalla critica italiana “Il Cantore di Draghi”, è uno scrittore di poesia a carattere epico-mitologico e un saggista. Nato a Palermo nel 1973, vive e lavora come educatore a Settimo Milanese.

In qualità d'insegnante di composizione poetica, a partire dal 2001, cura a livello didattico una serie di progetti letterari volti a promuovere la Poesia presso scuole, biblioteche, librerie e associazioni. È autore del primo poema fantasy italiano dal titolo Drak'kast – Storie di Draghi, a cura di Edizioni della Sera di Roma. Presso la stessa, cura la Collana Hanami (Haiku).

Titolo: ENFER – Autore: Fabrizio Corselli
Editore: CIESSE Edizioni – Genere: Opera poetica
Pagine: 80 – Collana: BLUE
Prefazione: Luca Cenisi
Anno/Mese: marzo 2013
ISBN Libro: 978-88-6660-080-0
ISBN eBook: 978-88-6660-0081-7

Prezzo Libro: Euro 8,00
Prezzo eBook: Euro 3,00

 

 

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