Intervista
a Rolando Maria Cimicchi, autore di “Quindici passi”,
edito da TraccEDIverse.
Il tuo ultimo volume è
costituito da una raccolta di racconti. Ce ne vuoi parlare?
Questa raccolta è nata in parte per
caso. Stavo lavorando ad un romanzo, ma ero stato preso in contropiede da
quello che si definisce “blocco dello scrittore”. Le pagine completate mi
guardavano in attesa del seguito, ma io non riuscivo
più a continuare. Così, preso un po' dallo sconforto, decisi di dedicarmi ad
altro. E scrissi “Charlie”, il primo racconto di
“Quindici passi”. Nel giro di due mesi mi trovai in mano sette storie già
pronte e un'ottava
in fase di lavorazione.
Fu con grande meraviglia che mi accorsi
che avevo seguito una sorta di curioso filo logico che legava i racconti; un
filo che avevo percorso senza rendermene conto. La testa aveva fatto tutto da
sola. Quasi senza interpellare il sottoscritto!
Anche qui registrai un'interruzione. Mi
chiedevo dove esattamente volevo andare, e per qualche settimana fermai tutto.
Poi la nebbia si dissolse e ripresi il
lavoro. E a dicembre dello scorso anno potei finalmente mettere la parola fine
alla lavorazione.
“Quindici passi” è un viaggio attraverso
il buio. Una sorta di cammino tra i corridoi del dolore, della morte, della
follia. Ma anche dell'amore. Certo, non l'amore etereo e dipinto dai tratti
rosa del romanticismo di maniera, ma quello che nasconde la disperazione, la
perdita.
In “Quindici passi” trova spazio la mia
passione per
l'oscurità che l'uomo nasconde dentro di se, per la follia che serpeggia nelle
nostre azioni quotidiane, per il flebile confine che divide reale e irreale.
Amore e odio.
In quest'opera c'è un tuo
messaggio e, se c'è, quale è?
Non so se esiste un messaggio
vero e proprio. Forse una ricerca, solo in parte voluta, dell'universo
perverso, doloroso, a tratti insensato e tellurico,
dell'uomo.
Perché se è vero che siamo esseri spesso
illuminati dalla luce (divina?) folgorante della creatività, della passione e
della sapienza, siamo anche entità distruttive, abiette e inscindibili dal buio
della (apparente) insensata pazzia di cui permeiamo il nostro cammino.
Se non vado errato questa
è la tua seconda pubblicazione, dopo “Cristalli d'ombra”, raccolta di racconti
anche questa ed edita da Michele Di Salvo, casa di cui
TraccEDIverse è parte.
Posso ipotizzare che i
tuoi rapporti con questo Gruppo Editoriale siano almeno buoni. Quali sono gli
aspetti qualificanti di questa realtà editoriale, che tu hai potuto
apprezzare?
I rapporti con questo Gruppo sono
ottimi. Ho deciso di non sottoporre ad altri questo mio nuovo lavoro perché
ritenevo non avesse senso cambiare una squadra che mi aveva dato soddisfazioni.
Ciò che mi ha spinto ad accettare la
proposta della Traccediverse, dopo che l'opera
l'avevo spedita alla casa madre, è stata la loro professionalità, il progetto
che incarnano e la crescita che questo gruppo ha dimostrato nel breve arco di
tre anni. Cioè dalla mia prima pubblicazione con loro.
Posso dire che l'opera di editing, curata da Viviana Mangogna,
è stata accurata, capillare e continua. Una disponibilità costruttiva e
professionale, ma
mai asfissiante, ne tanto meno forzata.
Inoltre va fatto notare che sono realtà
editoriali come quella del Gruppo Di Salvo che permettono agli autori italiani
sconosciuti di poter tentare un'emersione nel fitto e angusto panorama
letterario italiano; la “richiesta di contributo da parte dell'autore” fa parte
ormai di una specie di cliché usato e abusato da molte case editrici. Ma io ho
sempre creduto che, come dice la grande Chiara Palazzolo:
“gli autori devono scrivere e gli editori pagare”. Una
frase scarna e diretta che però riassume un'idea che è alla base della logica.
Perché, ovviamente, siamo tutti in grado di pagare per pubblicare, anche se la
tua opera non lo merita.
La Di Salvo Editore invece mi ha
dimostrato di credere in quello che scrivo. E a me, per ora, tanto basta.
Ed è un sogno da cui è difficile
svegliarsi.
Da ultimo, che programmi
letterari hai per il futuro?
Come detto all'inizio
dell'intervista, tre anni fa stavo lavorando ad un romanzo. Ora ho ripreso in
mano la storia e spero di poterla finire per la fine dell'anno. Ho deciso di
gettarmi dentro una delle mie grandi passioni, il
fantastico (la parola fantascienza pare faccia un po' paura negli ultimi
tempi).
I progetti sono diversi. Finita questa
fatica spero di potermi dedicare appieno anche un'altra cosa. Quella che spero
possa diventare una saga vera e propria.
Ma il discorso sui programmi/progetti è
duro per chi, come me, non è lo scrittore-tipo da sei/sette ore di scrittura al giorno.
Per me scrivere è qualcosa di
importante, ma è legato al momento. All'interruttore che scatta. Ora la luce è
accesa, e scrivo.
Grazie, Rolando, per le
risposte esaurienti, con l'augurio che questo tuo lavoro possa incontrare i favori del pubblico
dei lettori.