Intervista
a Marco Salvador, autore del romanzo “Il maestro di giustizia”, edito da Fernandel.
Nel romanzo “ La casa del
quarto comandamento” hai trattato il problema degli anziani reclusi negli
ospizi e in quest'ultimo tuo lavoro (Il maestro di giustizia) hai affrontato il
difficile tema dell'eutanasia. Possiamo, quindi, dire che da autore di romanzi
storici, peraltro ambientati diversi secoli fa, da un po' di tempo ti occupi
più del presente, di questa società dove più sono gli aspetti negativi rispetto
a quelli positivi.
C'è un motivo?
Non è proprio così. Il
romanzo storico continua a essere la mia passione: mi permette di parlare di
oggi scrivendo di ieri. I romanzi d'impegno sono un'attività parallela. Ne
scrivo uno ogni due tre anni, quando sento
profondamente un problema e ho bisogno di sfogarmi.
Ci puoi dire qualche cosa
di questo tuo romanzo e della tua opinione sull'eutanasia?
A pensarci bene, più che
l'eutanasia in se stessa m'interessava la dignità del morire. Come non si può
trascorrere la vecchiaia in un alienante pseudo carcere,
non si può morire in solitudine dietro un paravento
bianco. La gelida morte ospedalizzata, con il ‘pre' e il ‘post' affidato a degli estranei è secondo me
indice di inciviltà. Uno ha diritto di morire bene al pari del nascere bene. E
come nel parto può essere necessario il taglio cesareo, così nella morte può
essere necessaria l'eutanasia. Anche se questa mi pare inutile nella
maggioranza dei casi. Basterebbe applicare la morte antica: quando non c'è
speranza inutile infierire, meglio lasciare che la barca lasci il porto.
Insomma. Secondo me bisogna reimparare
l'arte della buona morte, con tutte le sue ritualità che la stessa chiesa
cattolica ha gettato via. Basti vedere l'oscenità del funerale postconciliare,
privo di ogni utilità nell'elaborazione del lutto.
Ritieni che la maggior
parte dei potenziali lettori sia interessata a romanzi di evasione, fra i quali
senza offesa possono essere anche inseriti i tuoi a fondo storico, oppure
preferisce avere idee più precise sui problemi attuali, come sembrerebbe
testimoniare il clamoroso successo di “Gomorra” di
Roberto Saviano?
Saviano, con tutto il
rispetto, non è un caso letterario. È un caso mediatico,
al limite giornalistico. Ottimo, per altro. Chi si impegna nel romanzo civile,
senza prendere posizioni partitiche o politicamente corrette, trattando il
problema ‘a prescindere' da posizioni ideologiche, ha scarse possibilità di sfondare in libreria.
I miei ‘storici', in ogni caso, non sono pura evasione. Contengono messaggi precisi
sull'attualità, almeno per chi li sa cogliere.
Adesso una domanda che è
forse fra le più insidiose: come dicevo prima, questa tua ultima opera è stata
edita come la precedente da Fernandel, indubbiamente
perché le sue linee editoriali sono diverse da Piemme
con cui pubblichi i romanzi storici.
Quali sono gli elementi
qualificanti e quali quelli meno validi dell'una rispetto all'altra?
Nei rispettivi generi sono
entrambe due case editrici splendide. Ma è ovvio che non c'è storia fra chi fa
parte del gruppo Mondadori e chi lotta da piccolo
editore di provincia. Già, perché la storia di un romanzo la fa la
distribuzione, e la conseguente visibilità. La differenza di vendite, comunque,
è ripagata dalla libertà intellettuale che Fernandel
permette.
Infine, prima di
lasciarci, quali sono i programmi, ovviamente letterari, per il futuro?
Sto lavorando al primo
romanzo di un nuovo trittico storico. Lascio i longobardi e mi trasferisco nel duecento. Se poi
qualcosa mi farà incazzare veramente, metterò mano
pure a un terzo ‘d'impegno'. Il problema su questo
fronte è che sono incazzato per troppe cose, e fatico
a decidere quale merita più delle altre la fatica della scrittura.
Grazie, Marco, e buona
fortuna per questa tua ultima opera letteraria, sperando che bissi almeno il
successo della “Casa del quarto comandamento”, di cui a breve, mi sembra,
dovrebbe uscire la 2^ edizione.