Intervista a Filippo Tuena, autore del romanzo “Ultimo parallelo”, edito da Rizzoli.
Il premio Viareggio ti è
stato assegnato per il romanzo Ultimo parallelo, una storia di esplorazione,
tematica in genere non molto amata dagli italiani.
Come mai una scelta di
questo genere, per un'opera che ti avrà imposto anche ricerche approfondite, già
sapendo in partenza, a prescindere dal suo valore veramente elevato, che non
potrà avere elevati volumi di vendita ?
Lo dico con estrema sincerità, ma non ho mai come obiettivo elevati volumi di vendita. In realtà proprio non
mi pongo il problema delle vendite così come non mi pongo il problema del
pubblico. Non credo che si rispetti se stesso o i lettori se si scrive avendo
come obiettivo le vendite e la notorietà.
E poi quale pubblico dovrei cercare? No. Pubblico
e vendite sono l'ultima cosa a cui si pensa quando si scrive. Piuttosto,
una volta pubblicato il libro si fa quel minimo di
fatica per promuoverlo: presentazioni – che spesso sono occasioni per
incontrare vecchi amici o farne di nuovi -, interviste, premi. Ma si tratta di
lavorare su un prodotto che è entrato in un sistema commerciale e del quale
l'autore non è più l'unico responsabile. Mi trovo più a mio agio dietro una
scrivania che non dietro un microfono.
Prima di allora l'unica attenzione è rivolta al testo, alla
scrittura.
Al massimo posso avere talvolta un lettore ideale, una persona
reale, che magari conosce l'argomento che tratto e che potrebbe correggere
inesattezze. Altre volte è un lettore privilegiato – il cosiddetto primo
lettore – l'amico a cui ci si rivolge per avere un
consiglio o una conferma. Comunque, non penso mai “ai lettori” a quest'entità
astratta che poi dovrebbe leggere il libro. E come dicevo, non è per
disinteresse nei loro confronti. L'unica forma di rispetto che un autore deve
ricercare è quella verso il testo scritto che poi si risolve nel rispetto del
lettore.
Del resto, la tua
produzione, benché abbia ottenuto importanti riconoscimenti in premi letterari,
sembra frenata nella possibilità di rientrare nei best seller per l'alto
livello culturale che la caratterizza. Che senso ha per te la cultura oggi in
un mondo standardizzato a bassi livelli di conoscenza?
Non credo che sia una questione di “alto livello culturale”.
Certamente non è più alto di molti libri che hanno un notevole riscontro
commerciale. Dipende piuttosto da certe scelte strutturali che possono
allontanare quelli che chiamo lettori pigri. Lettori che desiderano dal libro soluzioni e
non questioni. Lettori che aspettano risposte e non si pongono domande. Per
questo genere di pubblico posso rappresentare effettivamente un autore persino
sgradevole e disorientante. Libri con scarsa punteggiatura, frammentati in
paragrafi brevi, con frequenti inserti di lingue straniere, spesso accompagnati
da fotografie prive di didascalie, con più voci narranti e dove la scrittura
narrativa si alterna a quella saggistica o poetica, tutto questo può davvero
rappresentare uno scoglio non solo per i lettori. Persino i librai rimangono
disorientati. Basti dire che nelle librerie della catena Feltrinelli
“Ultimo parallelo” è sistemato tra i libri di viaggi, come se fosse
semplicemente il resoconto di un'esplorazione. Mi si perdoni il paragone, ma è
come se “Guerra e pace” venisse sistemato nello
scaffale dei libri di guerra solo perché è ambientato durante l'invasione di
Napoleone in Russia. Quasi comico, no?
Le tue opere sono
pubblicate da editori non di piccola dimensione (basti pensare a Ultimo
parallelo, edito da Rizzoli); non si può quindi dire
che i grandi gruppi imprenditoriali del settore non ti diano fiducia. Resta,
però, comunque il fatto che forse non ti assicurano la necessaria visibilità.
Come ti spieghi questo fatto?
Nonostante imputi agli editori molte pecche, ritengo che non siano
i maggiori responsabili della situazione attuale del sistema culturale. Gli editori che ho
incontrato hanno sempre pubblicato con piacere ed entusiasmo i miei libri anche
quando l'esperienza e le linee commerciali non promettevano nulla di buono.
Investono pochi soldi, ma li investono. Ho meno indulgenza verso certi librai,
certi critici e certi lettori che si lasciano coinvolgere nelle mode o che
piuttosto le creano. Del resto questo è un sistema che premia i grandi numeri.
I lettori si sentono rassicurati se il libro che leggono è un best seller.
Credono così di leggere un testo rilevante e spesso non lo è, anche se tra i
best sellers non mancano i grandi libri. I librai
guadagnano di più vendendo cento copie di un libro piuttosto che una copia di
cento libri e così gli editori. Nonostante quest'epoca potrebbe
passare per un'epoca di grande informazione, di pluralità, saremo soffocati dai
grandi numeri.
Premesso che il valore di
un'opera non si misura dal numero dei lettori, secondo te come deve essere
valutato uno scritto, cioè, meglio ancora, che cosa deve avere per risultare un
capolavoro?
Davvero questo non lo so. Immagino che ci voglia una certa
conoscenza della lingua, una buona dose di cultura, molta onestà intellettuale
e un grandissimo rispetto per le geometrie interne dei libri. Il termine
capolavoro ha in sé qualcosa di imprevedibile, inatteso, ineguagliabile e
quindi sfugge alla volontà. Capita. Ma quello che trasforma un buon libro in
grande libro è la sinergia che si crea tra lettore ed autore. Ci si capisce al
volo, si entra in sintonia, si partecipa entrambi della costruzione del libro.
E' questa la grande alchimia della scrittura: l'andare insieme.
E infine chi è, cosa
vuole e dove vorrebbe arrivare Filippo Tuena?
Non ho progetti perché in letteratura l'imprevedibilità domina; mi
lascio conquistare dal nuovo, dall'inatteso, dalla sorpresa. So che un nuovo
libro è un'occasione che va colta al volo. Mi affascinano non tanto i libri che
scriverò, quanto quelli che non ho scritto, quelli che mi sono passati accanto
e che non ho saputo fermare.
Colgo l'occasione dire due parole di rigraziamento:
E' proprio il caso che intervenga. Lo faccio un po' imbarazzato perché i vostri
commenti vanno oltre i giudizi di lettori anche appassionati. Io di fronte alla
parola capolavoro mi tiro da parte, come se non mi competesse. Arrivo al massimo a giustificare un
“bellissimo” e più ancora “trascinante”, “emozionante” che, come vedete, sono
aggettivi che sottendono la magia della lettura, quel condurre altrove il
lettore a compiere un viaggio imprevedibile. Insomma, facciamo finta di non
aver letto quella parola – anche se l'ho letta e
ovviamente, mi riempie di soddisfazione.
Adesso vi racconto una cosa. Avevo una
paura fottuta che il libro fosse
mancato, che avessi rischiato troppo e che quanto di buono credevo
d'averci messo si fosse dileguato nelle pagine, in quella struttura
scoordinata, che poi alla fine tanto scoordinata forse non è.
Io non ce la faccio più a scrivere
romanzi di fantasia, mi accorgo che di fronte alla scelta di un nome per il
protagonista qualunque storia si arena, qualunque bel progetto si disperde.
Così sono costretto ad andare in giro a cercare storie, e a innamorarmi di
quelle storie. Forse questa condizione perfetta – l'essere innamorato –
traspare nei miei libri e arriva anche al lettore. Non so spiegarmi altrimenti
la passione che suscitano. E' vero, ogni tanto mi capita di sentire voci
discordanti. Ricordo, entrando alla conferenza stampa del contestatissimo
Viareggio, un giornalista affermare a proposito del mio libro: “fregnacce” e in un blog si legge:
“Ultimo parallelo - lettura abortita”. Ma insomma, quando si pubblica si corre
il rischio di scontentare qualcuno. E se c'è qualcuno che esagera con
“fregnacce” forse ci può stare qualcuno che esagera con “capolavoro”.
Ma quello che veramente mi fa piacere di
tutta questa faccenda è di aver suscitato l'entusiasmo di lettori che non conosco – anche se ormai dopo avermi letto, credo che loro
mi conoscano – e che dicono la loro in questo mondo dei blog
che mi è un po' lontano. Cinzia Pierangelini si scorda delle faccende domestiche, Renzo
Montagnoli scrive interventi dovunque, Luca Intona salta di contentezza perché
ho intrattenuto con lui una corrispondenza via mail. Nicola mi paragona a De
Lillo. Marco Salvador legge il mio libro mentre scrive
il suo (cosa complicatissima leggere altri romanzi mentre si scrive. Io non riesco più a farlo).
Poi ci sono gli amici o i lettori di vecchia data che intervengono con affetto.
E i critici: Serino vi ripaga il libro se non vi
piace. Alessandro Zaccuri – che ha pubblicato
quest'anno un grande libro finalista al Campiello – rivendica una sorta di
primogenitura nelle recensioni. Grazie a questo libro amici
che non sentivo da anni, compagne del liceo (roba di quasi quarant'anni
fa) mi scrivono e si rinsaldano amicizie mai sopite. Sapete, quando si
rincontra un vecchio amico il tempo sembra non essere passato, si ricrea
immediatamente la stessa complicità che si era capaci di creare giocando a
pallone o suonando in una jam-session fino all'alba.
Davvero un libro sa produrre tutto
questo? E se lo sa creare, in fondo, che c'importa se il grande pubblico latita, se alcuni critici di professione lo ignorano? Ne ho
bisogno? Via, non è questo quello che conta.
Per questo, la lettera che doveva essere
un intervento critico sul rapporto tra lettori e libri è diventata
qualcos'altro, meno accademico e più sentito.
Insomma, vi ringrazio dell'appoggio e
dell'entusiasmo. Siamo pochi? E chissene frega. Come
diceva Shakespeare - è una frase che mi piace che ho
citato anche nel libro: We few. We
happy few. We bunch of brothers. Traduco: Noi pochi. Noi pochi felici. Noi
manipolo di fratelli.
Grazie ancora
Filippo Tuena
Grazie, Filippo, e colgo l'occasione per far presente che Ultimo parallelo merita di essere letto,
perché non è solo un bel libro, ma un gran libro.
Ultimo
parallelo
di Filippo Tuena
Edizioni Rizzoli
Narrativa – romanzo
Pagg. 353
ISBN: 978-88-17-01581-3
Prezzo: € 18,00