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  Libri e interviste  »  Ultimo parallelo, di Filippo Tuena, Edito da Rizzoli - Renzo Montagnoli intervista l'autore 21/09/2007
 

Intervista a Filippo Tuena, autore del romanzo “Ultimo parallelo”, edito da Rizzoli.

 

 

Il premio Viareggio ti è stato assegnato per il romanzo Ultimo parallelo, una storia di esplorazione, tematica in genere non molto amata dagli italiani.

Come mai una scelta di questo genere, per un'opera che ti avrà imposto anche ricerche approfondite, già sapendo in partenza, a prescindere dal suo valore veramente elevato, che non potrà avere elevati volumi di vendita ?

 

Lo dico con estrema sincerità, ma non ho mai come obiettivo elevati volumi di vendita. In realtà proprio non mi pongo il problema delle vendite così come non mi pongo il problema del pubblico. Non credo che si rispetti se stesso o i lettori se si scrive avendo come obiettivo le vendite e la notorietà.

E poi quale pubblico dovrei cercare? No. Pubblico e vendite sono l'ultima cosa a cui si pensa quando si scrive. Piuttosto, una volta pubblicato il libro si fa quel minimo di fatica per promuoverlo: presentazioni – che spesso sono occasioni per incontrare vecchi amici o farne di nuovi -, interviste, premi. Ma si tratta di lavorare su un prodotto che è entrato in un sistema commerciale e del quale l'autore non è più l'unico responsabile. Mi trovo più a mio agio dietro una scrivania che non dietro un microfono.

Prima di allora l'unica attenzione è rivolta al testo, alla scrittura.

Al massimo posso avere talvolta un lettore ideale, una persona reale, che magari conosce l'argomento che tratto e che potrebbe correggere inesattezze. Altre volte è un lettore privilegiato – il cosiddetto primo lettore – l'amico a cui ci si rivolge per avere un consiglio o una conferma. Comunque, non penso mai “ai lettori” a quest'entità astratta che poi dovrebbe leggere il libro. E come dicevo, non è per disinteresse nei loro confronti. L'unica forma di rispetto che un autore deve ricercare è quella verso il testo scritto che poi si risolve nel rispetto del lettore. 

 

 

Del resto, la tua produzione, benché abbia ottenuto importanti riconoscimenti in premi letterari, sembra frenata nella possibilità di rientrare nei best seller per l'alto livello culturale che la caratterizza. Che senso ha per te la cultura oggi in un mondo standardizzato a bassi livelli di conoscenza?

 

Non credo che sia una questione di “alto livello culturale”. Certamente non è più alto di molti libri che hanno un notevole riscontro commerciale. Dipende piuttosto da certe scelte strutturali che possono allontanare quelli che chiamo lettori pigri. Lettori che desiderano dal libro soluzioni e non questioni. Lettori che aspettano risposte e non si pongono domande. Per questo genere di pubblico posso rappresentare effettivamente un autore persino sgradevole e disorientante. Libri con scarsa punteggiatura, frammentati in paragrafi brevi, con frequenti inserti di lingue straniere, spesso accompagnati da fotografie prive di didascalie, con più voci narranti e dove la scrittura narrativa si alterna a quella saggistica o poetica, tutto questo può davvero rappresentare uno scoglio non solo per i lettori. Persino i librai rimangono disorientati. Basti dire che nelle librerie della catena Feltrinelli “Ultimo parallelo” è sistemato tra i libri di viaggi, come se fosse semplicemente il resoconto di un'esplorazione. Mi si perdoni il paragone, ma è come se “Guerra e pace” venisse sistemato nello scaffale dei libri di guerra solo perché è ambientato durante l'invasione di Napoleone in Russia. Quasi comico, no? 

 

 

Le tue opere sono pubblicate da editori non di piccola dimensione (basti pensare a Ultimo parallelo, edito da Rizzoli); non si può quindi dire che i grandi gruppi imprenditoriali del settore non ti diano fiducia. Resta, però, comunque il fatto che forse non ti assicurano la necessaria visibilità. Come ti spieghi questo fatto?

 

Nonostante imputi agli editori molte pecche, ritengo che non siano i maggiori responsabili della situazione attuale del  sistema culturale. Gli editori che ho incontrato hanno sempre pubblicato con piacere ed entusiasmo i miei libri anche quando l'esperienza e le linee commerciali non promettevano nulla di buono. Investono pochi soldi, ma li investono. Ho meno indulgenza verso certi librai, certi critici e certi lettori che si lasciano coinvolgere nelle mode o che piuttosto le creano. Del resto questo è un sistema che premia i grandi numeri. I lettori si sentono rassicurati se il libro che leggono è un best seller. Credono così di leggere un testo rilevante e spesso non lo è, anche se tra i best sellers non mancano i grandi libri. I librai guadagnano di più vendendo cento copie di un libro piuttosto che una copia di cento libri e così gli editori. Nonostante quest'epoca potrebbe passare per un'epoca di grande informazione, di pluralità, saremo soffocati dai grandi numeri.

 

 

Premesso che il valore di un'opera non si misura dal numero dei lettori, secondo te come deve essere valutato uno scritto, cioè, meglio ancora, che cosa deve avere per risultare un capolavoro?

 

Davvero questo non lo so. Immagino che ci voglia una certa conoscenza della lingua, una buona dose di cultura, molta onestà intellettuale e un grandissimo rispetto per le geometrie interne dei libri. Il termine capolavoro ha in sé qualcosa di imprevedibile, inatteso, ineguagliabile e quindi sfugge alla volontà. Capita. Ma quello che trasforma un buon libro in grande libro è la sinergia che si crea tra lettore ed autore. Ci si capisce al volo, si entra in sintonia, si partecipa entrambi della costruzione del libro. E' questa la grande alchimia della scrittura: l'andare insieme.

 

 

E infine chi è, cosa vuole e dove vorrebbe arrivare Filippo Tuena?

 

Non ho progetti perché in letteratura l'imprevedibilità domina; mi lascio conquistare dal nuovo, dall'inatteso, dalla sorpresa. So che un nuovo libro è un'occasione che va colta al volo. Mi affascinano non tanto i libri che scriverò, quanto quelli che non ho scritto, quelli che mi sono passati accanto e che non ho saputo fermare.

 

Colgo l'occasione dire due parole di rigraziamento:

E' proprio il caso che intervenga. Lo faccio un po' imbarazzato perché i vostri commenti vanno oltre i giudizi di lettori anche appassionati. Io di fronte alla parola capolavoro mi tiro da parte, come se non mi competesse.  Arrivo al massimo a giustificare un “bellissimo” e più ancora “trascinante”, “emozionante” che, come vedete, sono aggettivi che sottendono la magia della lettura, quel condurre altrove il lettore a compiere un viaggio imprevedibile. Insomma, facciamo finta di non aver letto quella parola – anche se l'ho letta e ovviamente, mi riempie di soddisfazione.

Adesso vi racconto una cosa. Avevo una paura fottuta che il libro fosse mancato, che avessi rischiato troppo e che quanto di buono credevo d'averci messo si fosse dileguato nelle pagine, in quella struttura scoordinata, che poi alla fine tanto scoordinata forse non è.

Io non ce la faccio più a scrivere romanzi di fantasia, mi accorgo che di fronte alla scelta di un nome per il protagonista qualunque storia si arena, qualunque bel progetto si disperde. Così sono costretto ad andare in giro a cercare storie, e a innamorarmi di quelle storie. Forse questa condizione perfetta – l'essere innamorato – traspare nei miei libri e arriva anche al lettore. Non so spiegarmi altrimenti la passione che suscitano. E' vero, ogni tanto mi capita di sentire voci discordanti. Ricordo, entrando alla conferenza stampa del contestatissimo Viareggio, un giornalista affermare a proposito del mio libro: “fregnacce” e in un blog si legge: “Ultimo parallelo - lettura abortita”. Ma insomma, quando si pubblica si corre il rischio di scontentare qualcuno. E se c'è qualcuno che esagera con “fregnacce” forse ci può stare qualcuno che esagera con “capolavoro”.

Ma quello che veramente mi fa piacere di tutta questa faccenda è di aver suscitato l'entusiasmo di lettori che non conosco – anche se ormai dopo avermi letto, credo che loro mi conoscano – e che dicono la loro in questo mondo dei blog che mi è un po' lontano.  Cinzia Pierangelini si scorda delle faccende domestiche, Renzo Montagnoli scrive interventi dovunque, Luca Intona salta di contentezza perché ho intrattenuto con lui una corrispondenza via mail. Nicola mi paragona a De Lillo. Marco Salvador legge il mio libro mentre scrive il suo (cosa complicatissima leggere altri romanzi  mentre si scrive. Io non riesco più a farlo). Poi ci sono gli amici o i lettori di vecchia data che intervengono con affetto. E i critici: Serino vi ripaga il libro se non vi piace. Alessandro Zaccuri – che ha pubblicato quest'anno un grande libro finalista al Campiello – rivendica una sorta di primogenitura nelle recensioni. Grazie a questo libro amici che non sentivo da anni, compagne del liceo (roba di quasi quarant'anni fa) mi scrivono e si rinsaldano amicizie mai sopite. Sapete, quando si rincontra un vecchio amico il tempo sembra non essere passato, si ricrea immediatamente la stessa complicità che si era capaci di creare giocando a pallone o suonando in una jam-session fino all'alba.

Davvero un libro sa produrre tutto questo? E se lo sa creare, in fondo, che c'importa se il grande pubblico latita, se alcuni critici di professione lo ignorano? Ne ho bisogno? Via, non è questo quello che conta.

Per questo, la lettera che doveva essere un intervento critico sul rapporto tra lettori e libri è diventata qualcos'altro, meno accademico e più sentito.

Insomma, vi ringrazio dell'appoggio e dell'entusiasmo. Siamo pochi? E chissene frega. Come diceva Shakespeare - è una frase che mi piace che ho citato anche nel libro: We few. We happy few. We bunch of brothers. Traduco: Noi pochi. Noi pochi felici. Noi manipolo di fratelli.

Grazie ancora

Filippo Tuena

 

 

Grazie, Filippo, e colgo l'occasione per far presente che Ultimo parallelo merita di essere letto, perché non è solo un bel libro, ma un gran libro.

Ultimo parallelo

di Filippo Tuena

Edizioni Rizzoli

Narrativa – romanzo

Pagg. 353

ISBN: 978-88-17-01581-3

Prezzo: € 18,00

 

 

 
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