Intervista
a Fabrizio Corselli, autore del poema epico Promachos e il Tamburo da
Guerra, disponibile nei giorni immediatamente antecedenti il prossimo
Natale in un
e-book edito da Mondogreco (www.mondogreco.et).
Prima di iniziare l'intervista desidero
precisare che Fabrizio Corselli è un poeta che si
esprime con canoni non consueti, cioè in lui c'è una ricerca della musicalità,
secondo rigide norme di metrica, che non troviamo normalmente nella poesia
contemporanea che in genere, difetta, proprio di armonia.
Quindi Corselli
riveste la figura dell'antico bardo che canta le gesta di personaggi mitologici
o realmente vissuti del mito greco, ma non per questo meno attuali.
Ci vuoi dire di che tratta questo tuo
nuovo poema?
Fughiamo subito ogni indugio. Promachos non intende essere una specie di esortazione al
valore bellico (come lo erano le ypothekai tirtaiche) e nemmeno una esaltazione
della violenza o altro ancora. Il tessuto concettuale dell'opera verte su basi
più estetologiche. Nella fattispecie si ravvisa in
essa l'approfondimento di due concetti chiave: quello
di "caduta", quale derivazione estesa dei concetti espressi nel mio
personale saggio L'ultimo volo di Icaro (da poco accolto sul sito della
Fondazione Cavriaghi), e quello di Aletheos (Non-Oblio). Quest'ultimo si lega immancabilmente
alla trattazione della perdita della propria umanità subito dopo la conquista
della gloria. Promachos è anche, da questo punto di
vista, l'analisi poetica della dimensione che caratterizza il post Kleos, di ciò che accade all'eroe subito dopo aver
conquistato la sempiterna gloria, e del radicale mutamento che in lui si va
sviluppando. Il rapporto gloria-morte, caduta-ascesa si modella in uno scambio
dinamico, quasi simbiotico, l'uno necessita dell'altro per poter sopravvivere e
potersi compiere. Inoltre, il tono altamente tragico, e l'incursione del tema
di Eros e Thananatos conferiscono all'opera una fortissima
spinta epica che non solo si estrinseca nelle sue modalità formulari,
assecondando il concetto di prépon (conformità) che
le appartiene per definizione, ma anche di grande opera lirica.
Promachos non si limita alla sola
"guerra", bensì approfondisce il concetto di "scontro" in
tutte le sue possibili estensioni. “Promachos”
significa prima di tutto "colui che combatte in prima linea"; l'opera
è un poema sul coraggio e su quei valori fondamentali che fanno parte del
corredo genetico di un "uomo" e non solo del "guerriero".
La guerra intesa come lotta per la vita.
Per ciò che concerne l'aspetto prettamente narrativo, e diciamo anche di
narratività, Promachos è un
Concept Work e non una silloge; un'opera ibrida. Essa
è supportata da una trama avvincente e ben congegnata che si evolve
profondamente, a volte in maniera inattesa, lungo il proprio tessuto diegetico.
Lo si evince anche dal fatto che i ponti narrativi, già presenti in altre opere
precedenti, qui, sono stati curati nel minimo dettaglio, risultando molto più
lunghi se non unici rispetto alla mia intera produzione di carattere epico-mitologico. Inoltre, lo studio particolareggiato
investe anche la scelta dei paradigmi mitici greci, intessendo fra loro
un'inedita correlazione dal punto di vista dell'avventura; in sostanza, ho
messo in rapporto personaggi, creature e luoghi apparentemente distanti tra
loro, così creando anche qui una sfida unica. Diverse sono le sfumature sottese
a ogni testo e ponte, soprattutto non manca la presenza di creature
leggendarie, scontri epici e anche della magia, secondo sempre concezioni
dell'epoca, il tutto perfuso da un grande senso poetico. Promachos
è anche un'opera fantastica.
Questa volta non mi sono rifatto alla
tipologia del nostos, come è capitato per il Satyros ma ho preferito rendere la storia più viva, più
dinamica, insomma più avventurosa. Per certi versi assomiglia più a un romanzo.
Ma andiamo ai fatti. La storia è quella dell'imbarcazione della Promachos, per l'appunto, e in particolar modo di una parte
del suo equipaggio: un manipolo di guerrieri che altresì incarnano eccelse doti
artistiche, e che per questo prendono il nome di Polemadontes,
ossia “Cantaguerra”. L'approdo presso la Troade, la riscoperta delle rovine della città di Troia e
persino il ritrovamento di un olimpico artefatto, innescheranno tutta una serie
di peripezie tali da rendere il soggiorno nell'antica città ai limiti del
reale.
La trama dell'opera prevede anche la
presenza costante di un Dio, avverso come ben si può immaginare, e del suo
tentativo di possessione, ma il tutto non si sviluppa così banalmente,
introducendo l'alito della divinità poco a poco. Molto è stato studiato anche
sull'interazione con il luogo. Tutto l'impianto è stato ordito nei più piccoli
dettagli come la volontà pianificatrice di una divinità olimpia. Del resto, per
Aristotele la “verosimiglianza” è anche potere dell'arte altresì della
soggettività del poeta, il poeta stesso viene definito un “facitore”.
Io preferisco quello di architetto.
In conclusione, Promachos
è l'opera che ho sempre voluto scrivere riguardo alla dimensione mitologica.
Hai accennato alla possessione. Se non
sbaglio anche nella precedente opera, Amor
di Ninfa, c'è un caso simile.
Sì, ma è ben
diverso. In Amor di Ninfa la questione della Ninfolessia
è il perno centrale e il tema portante dell'opera. Qui non abbiamo il Nympholeptos, bensì il Theoleptos,
anzi nell'essere più precisi, il caso del Theoplektos (“colpito dalla divinità”), a cui soggiace
peraltro uno solo dei Polemadontes, e che si risolve
in una modalità ben diversa dalle due fondamentali epifanie erotiche tipiche di
Zeus: cioè il ratto e lo stupro. Ben vedrà il lettore come avviene il tutto.
Legato invece a quest'ultimo concetto è la
scelta della copertina. L'immagine raffigura Aiace Oileo,
da non confondere con l'Aiace Telamonio, il quale
rapisce Cassandra dal suo tempio. Qui si pone il rapporto della poesia con il
cosiddetto “delirio cassandrino”, ossia il tentativo
di carpire in forma quasi oracolare il responso della divinità Arte, di entrare
in possesso della verità sottesa al testo poetico, attenendo il tutto anche
alla questione interpretativa. Disvelare il gineceo
del testo, la sua Ignis Vesta. Il poeta, del resto come il traduttore, è uno
sciamano, un sacerdote che interloquisce con la propria Musa. Promachos è soprattutto un'opera sulla Poesia, sul poeta e
sul potere della sua soggettività.
Hai più volte citato i Polemadontes. Ti dispiacerebbe approfondire meglio la
figura di questi cantori, protagonisti dell'opera?
I Polemadontes rappresentano il fulcro della storia di Promachos, e a loro è legato il motore che fa andare avanti
ogni cosa, soprattutto quel rituale poetico che essi definiscono Eikos. Riporto a seguire una parte del
testo proveniente dall'antefatto per far comprendere meglio di cosa si tratta:
“Laddove andassero, qualsivoglia fosse la terra conquistata o solamente lambita
dalla loro nave, i cantori di guerra vi edificavano il proprio tempio
attraverso quel rituale artistico che nella poesia ritrova la sua sublime
architettura. Come menadi al servizio di Dioniso,
ognuno di loro avrebbe onorato il rito, versando non più fiumi di vino rosso
bensì miele stillato dalle menti ispirate nel grande cratere della musa Calliope”. All'interno di questo contesto,
soprattutto le qualità individuali dei Cantaguerra,
di artisti e guerrieri, influenzeranno profondamente lo stile poetico impiegato
nelle personali composizioni. Ma c'è sempre un “ma” e durante il circolo di
narrazione poetica succederà di tutto.
I personaggi appartenenti al gruppo sono: Eteocle di Micene, capogruppo dei Cantori; a seguire, Calypsos, L'Amazzone di Temiscira; Kyos di Tebe; Enfialo
di Elide; Eutimo di Corinto; Carrothos
di Sparta, e non per ultimo, in ordine d'importanza, Melesigenes
di Chio. Ognuno di loro è caratterizzato da un
diverso background e un diverso approccio alla poesia. Per esempio Eutimo è più uno storico che un aedo, così come Melesigenes è di contro l'aedo per eccellenza. Figura
cardine dell'opera è invece l'amazzone Calypsos,
responsabile del dramma che segnerà il destino dei Polemadontes.
La derivazione del suo nome è proprio quello di “kalyptein”
ossia “colei che cerca di nascondere”, e non a caso il tema da lei trattato
nella personale poetica è l'Ombra e la caduta dell'Eroe in guerra. Non svelo
però più di tanto.
C'è un perché tale circolo di
narrazione poetica si chiami Eikos, o è del tutto
casuale?
Non è
causale. Eikos venne impiegato da Aristolele
nella sua Poetica, libro che consiglio vivamente di leggere o di rileggere
all'infinito. Il concetto di “plausibilità” (meglio che di “verosimiglianza”),
e il suo legame al mito e al racconto specialmente in Platone, assurge a
cardine del circolo di narrazione poetica; a esso si lega anche il concetto di ananke (Necessità). I Cantaguerra
portano avanti anche il concetto di Inventio e di Immaginazione, ma soprattutto
quello di Improvvisazione. Proprio in quest'ultimo caso, bisogna dire che
l'idea intorno alla quale gira l'intera opera, nasce da un gioco di narrazione
che ho pubblicato tempo fa con il Chimerae Hobby
Group, intitolato Ellende Lyrhelei
(giunto alla sua seconda edizione, contemplando finanche l'uso di carte da
gioco). Il sistema di gioco prevede l'improvvisazione di una storia
interattiva, che a turno viene gestita da un narratore-giocatore, detto
Cantore, mentre gli altri restanti giocatori vestono il ruolo di un personaggio
all'interno di quella storia (secondo le pratiche del GdR
da tavolo). Una volta terminato il proprio turno, il Cantore passerà l'onere
della continuazione della storia a quello successivo e così via (detto in
termini molto semplici). Da questo sistema è scaturita l'intera gestione dell'Eikos, con le relative complicazioni narrative. Però
sarebbe fortemente riduttivo considerarlo semplicemente secondo tale pratica
esposta. Anche i passaggi da un Cantaguerra all'altro
sono stati architettati in maniera da rendere il tutto più omogeneo, e
all'interno sempre della trama. L'opera mira alla coerenza.
La tua è una poesia non consueta, che
qualcuno potrebbe anche definire desueta. Però, dopo
il non breve periodo ermetico, mi sembra che le sperimentazioni successive non
si siano concretizzate in una corrente uniforme, ma abbiamo finito per essere e
restare dei meri tentativi individuali. Peraltro, si sta assistendo, sia pure
per ora in misura sporadica, a un recupero della classicità della poesia,
nonché a una riscoperta di metriche che la facciano uscire dall'andamento
prosastico che ancora caratterizza le opere contemporanee. E' così anche
secondo te, e se sì, gradirei sapere la tua opinione in merito?
L'epos come
“parola” affidata alla misura del metro è la poesia più antica e tradizionale
della Grecia. Ciò che in verità può apparire, oggi, come una “classicità” della
poesia è soltanto la naturale esigenza di porre ordine alla sua struttura, in
termini di armonia e coerenza. L'andamento prosastico non è nemmeno
relazionabile a una “metrica”; è storia vecchia. La falsa democratizzazione
dell'arte, diciamo quella nauseante forma di pietà cristiana, che quasi è
dovuta a chi imbratta i fogli per farlo contento, ha portato ad accontentare
tutti (facendo salvo il diritto di espressione, in quanto esigenza dell'anima;
elevare ciò a un livello che non gli appartiene, è altro). Per cui, la maggior
parte degli scribacchini, scevri da qualsiasi conoscenza stilistica, ancor più
della lingua, forgiano dapprima testi in prosa, per poi spezzarli secondo una
pseudo logica versificatoria; alla fine si risolvono
in pensieri e tautologie. Ogni tanto qualcuno rinsavisce e comprende il
dilemma, attuando un tentativo di trasformazione del proprio modus operandi.
Certo, non si pretende un tentativo alla stessa stregua dell'Alemanni o del Chiabrera, peraltro discutibile, o con esiti diciamo
positivi nel caso della metrica barbara di Carducci o degli studi sui classici
del D'annunzio. L'importante è ridare alla poesia la sua veste originaria nei
termini di musicalità e dignità.
Il pensiero si sviluppa in molteplici
direzioni, e la poliedricità culturale ha fatto sì che l'ideologia poetica si
diversificasse profondamente all'interno del sistema di lettura; di contro non
esiste più una sola tipologia poetica e un solo lettore. A essere unica,
invece, è la formulazione di una considerazione perniciosa sulla natura della
poesia “moderna”, che va a detrimento di quelle tipologie basate soprattutto
sulla fruizione estetica: cioè il considerare la poesia, in senso troppo rigido
e univoco, direi anche arbitrario, come un prodotto del solo vissuto. È
successo che, quando mi recai al Palazzo Reale di Milano, per un articolo
giornalistico sulla mostra del Canova, un osservatore
liquidò il tutto sostenendo che le opere fossero fredde e che non dicessero
nulla. In sostanza, prima di ritornare a “metriche arcaiche” e classicità della
poesia, bisogna imparare il concetto di Bello, in tutte le sue implicazioni, e
sviluppare la fruizione estetica o soffriremo sempre di alcuni vizi
d'interpretazione.
Un altro problema è anche quello della rapportabilità a un contesto più vicino al lettore. Se
prendo la Guerra di Maratona come exemplum poetico
per imbastire un poema sul potere obliante della guerra stessa, sul dolore del
guerriero, sulla miseria dei vinti, di certo sarà meno recepita rispetto a un
poema ambientato durante la Guerra Mondiale, ma i concetti sottesi ai due
contesti sono uguali.
La verità è anche che il lettore moderno è
pigro, e non ha voglia di fare ricerca, di studiare. Da questo punto di vista,
ha più successo il testo fast food. La nuova
struttura della cultura non è la Biblioteca ma il Macdonald.
Tu che tipologia di metrica usi?
Nel mio caso, non parlerei proprio di metrica in senso
stretto, specialmente perché non impiego metri poetici o schemi rigidi, bensì
io parlerei di stilemica. La struttura versificatoria, nella mia poesia, ha una sua fisionomia ben
definita, con tutti i suoi accorgimenti costanti e stilisticamente controllati.
Ciò che io chiamo, quasi per scherzo, "metro arcadico" è un verso
libero che si piega al regime del ritmo semantico. Una tensione che viene
costruita, soprattutto in termini di carattere sintattico, attraverso l'evocatività e la suggestività della parola, creando così
uno slancio dinamico in termini di significato e concettualità
alta. È proprio l'accostamento delle parole in una certa posizione e grado, a
costruire il tessuto ritmico del testo. Molti lettori potrebbero avere la
sensazione della presenza di parole "alte" o pompose, ma poi, a una
più attenta osservazione, si scopre che non c'è nulla di tutto ciò. In
sostanza, è come comporre musica senza l'ausilio dell'accordo, semplicemente
affiancando le note in rapporto alla loro enarmonia e facendole vibrare singolarmente:
alla stessa maniera, la parola risuona della propria musica.
Il testo non
soggiace più al peso dell'accento o delle sillabe ma accoglie con euritmica
forza l'afflato ispirativo del poeta. Una piena
simbiosi tra le forme. Il ritmo semantico che adotto è solo la base sulla quale
agire con espedienti stilistici tipo l'Iperbato e l'Anastrofe che mi
rappresentano (figure fondamentali per la rottura dell'ordine sintattico;
dall'Ordine si ricostruisce il Caos, facendo del "disaccordo" intima
armonia universale). In sostanza, alla base c'è sempre la Musica. Innervando
poi la versificazione con tutta una serie di formule, topoi,
paragoni, similitudini, scene tipiche e schemi di azione, finanche registri
linguistici adeguati, tipici dell'epica, variando stavolta la dislocazione
euritmica delle parole in modo da creare una cadenza più “lineare”, si arriva a
ciò che io chiamo "epica forma". La differenza sostanziale col
"metro arcadico" è l'uso dei versi nel senso più di epos, narrazione,
evitando strutturazioni ancor più ostiche come lo potrebbe essere nel caso
della concinnitas ciceroniana. Il metro arcadico viene
strutturato secondo un sistema a blocchi di marmo contrapposti. La Poesia è
Architettura (del resto il termine "euritmico" lo ereditiamo da tale
disciplina). Nell'epica forma è anche possibile trovare l'implemento dell'Adynaton e soprattutto della Circonlocuzione come figure
retoriche, adottate in particolar modo per ovviare alla ripetizione degli
epiteti di alcune divinità. Dovendo fare in ogni modo un discorso più generale,
l'epica forma si basa, sì, su formule ed elementi caratterizzanti l'epica
antica ma subisce immancabilmente una trasformazione in termini di linguaggio più
sobrio e moderno, di più facile accesso anche per coloro che si accostano per
la prima volta alla mia poetica.
La
difficoltà maggiore di Promachos non deriva più dal
linguaggio, che anzi risulta più scorrevole proprio in virtù della forma
narrativa, ma principalmente dall'uso smodato e malizioso dei paradigmi mitici
usati, delle loro varianti, delle loro iconotropie,
soprattutto dall'innervatura di alcuni elementi per
gli addetti ai lavori. Non basterà il semplice dizionario di mitologia greca,
il lettore sarà portato a una consapevole ricerca all'interno del vasto parco
del mito. Ti faccio l'esempio più semplice: laddove scrivo “muse aptere”, si
intendono le sirene, in quanto secondo la mitologia, le sirene erano muse. In
seguito, furono punite da Calliope e private delle
ali. In sostanza, Promachos è un'opera per synetoi, “intenditori”. Del resto, il fatto che le mie
opere non presentino alcuna velleità editoriale, la dice lunga sul mio rapporto
con la pubblicazione. Mi sembra di essermi espresso abbastanza nella precedente
intervista, durante l'autopubblicazione di Amor di
Ninfa, per di più rispondendo ad alcuni detrattori, ancora infastiditi dal
fatto che pur “essendo così acclamato” non abbia ancora pubblicato con
Mondadori o altri. Qui parliamo di Scrittura e non di Editoria.
Inoltre,
per la stesura dell'opera, mi sono avvalso anche della consulenza del Prof.
Franco Sanna per alcune traduzioni e l'ampliamento di
alcuni aspetti stilistici. L'approfondimento, invece, dell'aspetto mitologico è
stato rafforzato attraverso la consulenza del Prof. Ezio Pellizer,
con il quale ho avuto diversi contatti tramite email,
altresì usufruendo del Dizionario Etimologico della Mitologia Greca multilingue
On Line (DEMGOL), elaborato proprio dal Gruppo di
Ricerca sul Mito e la Mitografia dell'Università di Trieste (GRIMM, Dipartimento
di Scienze dell'Antichità "Leonardo Ferrero"), di cui lo stesso Pellizer è coordinatore dai primi anni '90, oltre che
Professore Cattedratico, Ruolo di Ia
fascia, titolare della Cattedra di Letteratura greca presso l'Università di TRIESTE dall'a.a.
1994-95 (http://www2.units.it/~grmito).
Alla
fine, ciò che realmente mi sottrae alla caduta come mero emulatore di classici
è proprio quello di non rivestire tale ruolo. Io non emulo e tantomeno non intendo
farlo, essendomi mai presentato in questa veste; i Classici sono i Classici e
vanno preservati. Nello stile, c'è molto di mio, uno stile soprattutto
personale seppur vicino all'epica e classicheggiante.
Per chi volesse
approfondire l'ordine concettuale della mia poetica in rapporto ai Classici,
potrà farlo visionando il saggio L'Ultimo volo di Icaro presso il sito della
Fondazione Cavriaghi (www.antoniocavriaghi.it.gg).
L'epica ben si presta a un poema, anche
se abbiamo esempi di opere di altro genere. Il ricorso alla solennità dei versi
tende in effetti a dare risalto a gesta e a personaggi
di particolare rilievo. Tu li cerchi generalmente fra protagonisti e fra figure
mitologiche dell'antica Grecia. Non hai mai pensato di ricorrere a nomi di
grande rilievo della storia romana o anche di quella successiva (tanto per fare
degli esempi, Giulio Cesare o Giovanni dalle Bande Nere)?
Vi ho
pensato sì, ma ho sempre preferito impiegare il mito e i paradigmi mitici
greci, proprio per il loro ampio concetto di “mythos”.
Inoltre, l'uso di uno o dell'altro protagonista non cambia, poiché mantengo le
mie trattazioni, anche come forma di attualizzazione dell'elemento mitologico,
sul piano prettamente concettuale, soffermandomi su canoni eterni e in senso
assoluto. Ti faccio un esempio. In Amor di Ninfa, io tratto e sviluppo il
concetto di “delirio ninfale”, “possessione dell'arte”, “ispirazione artistica”
e così via. I protagonisti sono Eros e Psiche ma potevano essere
tranquillamente altre persone. Certo, in questo caso il paradigma mitico di
Eros e Psiche si presta a molte congiunzioni nodali con la Ninfolessia,
secondo una più omogenea strutturazione diegetica, ma i temi sono sempre gli
stessi in qualsiasi ambito e tempo; l'Amore è Amore, il Coraggio è Coraggio.
Anche la figura dell'eroe rimane in via
universale la stessa. Rileggendo il secondo paragrafo della Poetica di
Aristotele rileviamo una vasta gamma di eroi, in base alla loro natura e alle
loro azioni. Così per esempio, l'eroe che impiego in Promachos
è superiore in grado agli uomini ma non al suo ambiente naturale, ovvero il
personaggio dell'epica e della tragedia, cioè delle opere alto-mimetiche,
sempre secondo Aristotele. In sostanza, alla fine, è una questione
preferenziale sui topoi da adottare. Il mio campo
d'indagine e studio è la mitologia greca e su quella mi mantengo, ciò però non
toglie che io in futuro non possa impiegare un partigiano come “eroe” al posto
di un ilota, in un contesto ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Un partigiano come eroe e l'ambientazione nella seconda guerra
mondiale. Non penso che tu abbia scritto questo a caso, ma che in fondo ci sia
almeno l'intenzione di mettere in versi l'epopea di un italiano che ha saputo e
voluto opporsi alla ferocia teutonica e al falso concetto di onore dei
repubblichini. E' così?
Sì, è così. Penso proprio che in futuro
farò il salto tematico. Soprattutto è una sfida con me stesso. In questo
periodo, poi, stiamo assistendo a una forte oppressione in campo politico. Ho
fatto l'esempio dell'ilota, ma la maggior parte dei popoli ha vissuto conquiste
e soprattutto subite da tiranni e colonizzatori. Mi piacerebbe anche scrivere
un'opera sui Conquistadores spagnoli, principalmente
dal punto di vista dei popoli indigeni. In questi giorni, sto proprio portando
avanti lo studio della colonizzazione spagnola e l'approfondimento delle
civiltà Azteche, Maya e Inca in rapporto alla campagna di conquista di Cortez e Pizarro, con uno dei ragazzi del sostegno. Il
massacro e le barbarie intraprese dai due condottieri sono affiancabili alle
terrificanti azioni di Hitler. In ogni modo, vedremo.
Ci sono programmi per l'immediato futuro?
Per adesso, no. Intendo dedicarmi a Promachos. Diciamo che porterò poi avanti lo sviluppo di
alcuni saggi sulla poesia, riunendoli in un unico compendio. Forse su Promachos scriverò un altro capitolo. Per adesso è tutto.
Grazie, Fabrizio e auguri per questo tuo ultimo lavoro che i
lettori potranno trovare su Mondogreco molto probabilmente a partire dal 20
del corrente mese.