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  Libri e interviste  »  L'intervista di Renzo Montagnoli a Jolanda Catalano, autrice di “Invincibili”, edito da Città del Sole 28/08/2009
 

Intervista di Renzo Montagnoli a Jolanda Catalano, autrice della silloge poetica Invincibili, edita da Città del Sole.

 

 

Nel leggere Invincibili ho rilevato una struttura tipica del poema, con il discorso tematico portato avanti verso dopo verso, brano dopo brano. Mi piace sempre essere sincero quando parlo di poesia e ti prego di credermi se ti dico che questa tua opera mi ha stupito in senso ampiamente positivo. Qual' è stata la sua genesi?

 

Intanto ti ringrazio per l'attenzione e l'apprezzamento di questa mia silloge e sarò sicuramente sincera nelle risposte, non amo le pose, non servono a nulla e non fanno parte di me.

La genesi di Invincibili è stata molto complessa e sofferta. Da troppo tempo, davvero troppo, mi ero resa conto che andavano sbiadendo dall'umanità valori e segni di una civiltà alla deriva e mi chiedevo, con rabbia e impotenza, il perché e cosa io, sconosciuta poeta di campagna, potessi fare. Ma cosa può un poeta di fronte al male del mondo?

Così, man mano che scorrevano gli anni e i mesi e i giorni, continuavo a riflettere finché una mattina spuntarono i versi della lirica che racchiude il poemetto. Mi dissi che forse ero riuscita a dire tutto ciò che mi premeva da anni, ma non bastava, sentivo che mancava ancora qualcosa.

Infatti, dopo una ventina di giorni, quasi senza rendermene conto, iniziai a scrivere il poemetto vero e proprio.

 

E' così e proprio perché il poeta, avendo il dono di avvertire ciò che minaccia l'umanità, ha anche il dovere di mostrarlo ai sordi e di dirlo ai ciechi. E' un obbligo che spesso non è un piacere, perché l'incredulità relega chi parla al ruolo di menagramo, e ciò spesso nonostante la verificabilità di ciò che grida. Mi sembra, tuttavia, che il poemetto esprima non tanto una speranza, bensì una consapevolezza dell'ineluttabilità che, portando a una rassegnata malinconia, stempera la rabbia dentro per avviare a uno stato di serenità. Sei d'accordo?

 

Sì, Renzo, in Invincibili la speranza si frantuma nella continua tracotanza dell'Uomo e se di serenità alla fine si può parlare è solo perché la malinconia o la nostalgia per ciò che si è perso, di solito, illanguidisce gli animi. Ma l'Uomo del mio poemetto, pur pentendosi, rimane drammaticamente solo, consapevolmente solo, una solitudine senza ritorno e vie di scampo, da lui stesso, o meglio, indotta dalla sua sfrenata superbia.

Per quanto riguarda il discorso che fai sul compito del poeta, sono assolutamente in linea con te.

 

Che cos'è per te la poesia e può vincere o lenire questa solitudine?

 

La poesia, per me, è un'ottima compagna di viaggio, un sentiero da esplorare con cautela alla ricerca di un possibile segno di verità per me e per gli altri.

Ma il sentiero, spesso, è impervio e bisogna stare attenti a non cadere nelle trappole dell'ovvio. Molti miei testi sono dedicati alla poesia, un colloquio diretto con la parola che, a volte, sa essere lieve, altre, infierisce sulle ferite sempre dolenti.

Non so se la poesia sia in grado di lenire la solitudine, questo, forse, può accadere al lettore che, specchiandosi in essa, può trovare motivi, emozionali o razionali per stemperare il proprio disagio esistenziale. Ma non credo possa lenire la solitudine del poeta.

  

La solitudine è propria dell'essere umano, che spesso ne è inconsapevole, ma quella del poeta è particolare, perché ne è conscio e questo mi induce a formulare un'altra domanda: perché il poeta soffre di solitudine?

 

Renzo, questa è una domanda difficile ed io non credo di possedere una qualunque verità rivelata, tuttavia cercherò di risponderti in base al mio sentire.

Se è vero che il poeta, rispetto agli altri, ha una sensibilità diversa, una percezione particolare, un mondo di cui si ciba continuamente per poi fare-essere poesia, allo stesso modo la solitudine in lui viene portata all'estremo, esasperata a livelli, a volte, quasi patologici. Forse perché il poeta che vorrebbe cantare la bellezza, la spiritualità che sente come vibrazione armonica, si trova, da sempre, in un mondo negletto e misero, mondo a cui difficilmente potrà adattarsi.

Da qui alla solitudine il passo è breve.

Mi sembra che la sua solitudine interna-esterna possa anche avere tali motivazioni.

E sperare che il mondo possa adattarsi e ruotare intorno al poeta, alla sua parola, spesso salvifica, mi sembra tanto un'utopia per cui la sua solitudine continuerà a scavare fra le sue viscere percorsi amari da sublimare in versi.

 

Sì, la domanda era difficile, ma la risposta è stata convincente. Ritorniamo a Invincibili, poemetto strutturato a verso libero, ma con una sua armonia che deriva da una metrica personale che ovviamente non ti chiedo di svelare.

Però c'è qualche cosa di particolare, un certo tono epico, solenne, che mi richiama alla memoria alcune opere di un passato molto lontano. Indubbiamente si addice alla tematica svolta e anzi finisce con l'impreziosirla. Questa ispirazione mi induce a chiederti quali poeti hanno esercitato su di te il maggiore influsso e per quali motivi. Ovviamente mi riferisco a quelli che ritieni abbiano rappresentato per te le linee guida. Cosa mi rispondi?

 

Renzo, io vengo da una formazione classica e, vuoi o non vuoi, qualcosa rimane dentro, a volte come ombra sfocata, altre come prepotente sentire.

Ma se proprio devo essere sincera, non credo di avere avuto nella mia vita un interesse per l'uno o l'altro poeta come linea guida. Ho tentato, ma non so se ci sono riuscita, di ricercare nel profondo di me stessa un modo di verseggiare che fosse solo mio.

Certo, nelle varie fasi del mio percorso, ho amato in modo viscerale alcuni poeti che avvertivo più vicini al mio mondo, da Saffo a Leopardi, Montale, Quasimodo.

Ma i miei grandi amori in campo poetico rimangono sempre i poeti del Sud del mondo, il Sud dell'anima.

Neruda per primo che di tanto in tanto riprendo perché i suoi versi sono caldi e corposi, morbidi e irrinunciabili, scritti col sangue del suo credo personale e politico. Un poeta che spazia su mille argomenti di vita senza essere mai banale.

La sofferenza può condurre all'indurimento di una persona come pure può divenire fonte di ricchezza e di ri-volgimento verso gli altri, soprattutto i fratelli nel dolore. Ecco, a me pare che Neruda abbia estrinsecato al meglio questi sentimenti di partecipazione e condivisione. Perché Neruda non è solo il poeta delle venti poesie d'amore e una canzone disperata. Forse in Invincibili le ombre sfocate di cui dicevo prima si sono date la mano per venirmi incontro, ma, credimi, non c'è stata nessuna intenzione di ripercorrere, neanche per un breve tratto, le orme di un poema epico.

 

In verità non ho inteso Invincibili come un poema epico, ma ho parlato di tono epico, quale si addice all'importanza e all'universalità del tema trattato. Concordo con il giudizio che hai espresso su Pablo Neruda, un poeta mai ripetitivo, dal verso chiaro e dalla grande capacità di quasi colloquiare con il lettore, una comunicatività che nemmeno la traduzione (assai difficile in campo poetico) riesce a scalfire.

La tua analisi dell'uomo in Invincibili prescinde da periodi contingenti, anche se questi magari hanno contribuito a far sorgere o rafforzare l'idea. Cos'è che in generale vedi di negativo e magari anche di positivo nell'uomo contemporaneo?

 

Sì, Renzo, lo so che tu hai parlato di tono epico, dentro di me mi riferivo a quanti hanno inteso questo poemetto come una specie di Odissea.

L'uomo di Invincibili compie un viaggio nel tempo e nello spazio, apparentemente senza una precisa logica.

In effetti questo capovolgimento ha rafforzato la mia idea di ciò che l'uomo rappresenta per me, soprattutto oggi.

Credo che la storia poco abbia insegnato se l'uomo continua a reiterare i propri errori. E puoi benissimo capire di che parlo visto che chiaramente lo esprimo anche in Invincibili. Guerre, genocidi, stupri, minori violati, mi dici cosa è cambiato rispetto al passato?

Una classe politica inefficiente, buona soltanto a ingrassare le proprie vacche senza preoccuparsi se quelle dei cittadini  hanno il minimo sostentamento per produrre un po' di latte.

Arroganza in ogni dove, in ogni campo. Ti pare logico, e qui entro in un campo che mi riguarda da vicino, che in Italia ci si debba preoccupare di costruire un fantomatico ponte sullo stretto, che, ti assicuro, non serve a nulla se non a distruggere due coste di estrema bellezza, piuttosto che risolvere i problemi dei cittadini, padri di famiglia o giovani che vivono un perenne precariato?

Ecco, Renzo, a me sembra che l'uomo contemporaneo abbia perso definitivamente il significato di un termine molto semplice che è la pietas.

Ed è anche ovvio che ci siano le dovute eccezioni, ma sono anime alte che non hanno voce, un esempio per tutti: i monaci tibetani.

L'argomento è vasto, non so trovare motivi in positivo per l'uomo contemporaneo. Dico solo, ma è un mio modesto pensiero, che finché l'uomo in generale non riuscirà a fare autocoscienza e riappropriarsi di quel po' che di femminile pure possiede, non so proprio a cosa andremo incontro, forse a quel non ritorno di cui ho parlato nel mio poemetto.

 

Sì, all'uomo contemporaneo manca la pietà e non può essere altrimenti, visto che è una continua inutile rincorsa a feticci del tutto temporanei. Sembra svuotato di ogni sostanza, tutto teso ad apparire anziché essere, vive solo grazie alla menzogna, anche nei propri confronti; non è un uomo, ma “un non morto”. Non tutti, ovviamente, sono così, ma fra coloro che  campano in questo modo e quegli altri che si illudono di campare così, ne restano pochi con ancora un po' di umanità. Mi devi credere, se ti dico che ogni giorno mi chiedo se vivo in un mondo di pazzi, o se per caso il pazzo sono io. E' giusto levare la voce, gridare anche; magari non sortirà nulla, ma è d'obbligo per i letterati non accodarsi al carro di un vincitore sanguinario, ma urlare tutto il loro sdegno.

Ritorno a Invincibili, opera che eventualmente mi richiama il ben noto film di Kubrik 2001 Odissea nello spazio, affinché tu chiarisca (e qui c'è un po' della struttura classica) i significati del prologo e dell'epilogo, che presentano una naturale continuità pur se in mezzo c'è l'opera vera e propria.

 

Lasciami dire per prima cosa, a proposito di pazzia o meno.

Una sera di molti anni fa, nella mia città, a conclusione di una splendida serata a lei dedicata, Alda Merini disse “…e ricordatevi che i pazzi siete voi…

Ora, per rientrare nella domanda, non ricordo se ho visto o meno il film di cui parli, la risposta fra prologo ed epilogo è molto semplice. Ti avevo già accennato che la lirica che racchiude il poemetto era nata prima, così quando mi sono resa conto che l'opera vera e propria era una continuazione, o meglio, un'esplicazione ulteriore e più corposa della stessa, ho deciso, graficamente e concettualmente parlando, di farla diventare un ventaglio che contenesse il poemetto.

 

In Invincibili c'è una visione pessimistica dell'uomo e del resto è assai raro trovare poeti ottimisti. E' un'arte questa segnata da una solitudine soprattutto interiore che deriva spesso, secondo me, dall'incomprensione per ciò che si scrive. La figura stessa del poeta, specialmente nella società attuale, è vista come quella di un fallito e del resto se parli con qualcuno e salta fuori che scrivi, questi ti domanda sempre inevitabilmente che cosa. Quando dici “poesie”, non sfugge a un osservatore attento la delusione dell'interlocutore. La domanda allora è questa: perché questa incomprensione, o meglio scarsa considerazione, nei confronti dei poeti?

 

Perché il poeta, in una società rivolta più all'avere che all'essere, è considerato un povero mentecatto che vive di sogni, e i sogni, si sa, non producono ricchezza e chi non produce è considerato meno di niente.

Ma, secondo me, c'è anche un altro motivo che risale alla poca poesia che si legge, a un'ignoranza di base sulla figura del poeta. Se quanti lo osteggiano e denigrano si rendessero conto che spesso i versi sono scritti col suo stesso sangue e che non è più tempo di scrivere cuore che fa rima con amore, forse capirebbero che il poeta non è un inetto, ma qualcuno che si preoccupa anche di dire a nome di coloro che non hanno voce. Per fortuna, fra tanti imbecilli, rimangono comunque quelli che sanno apprezzare, di solito sono pochi e spesso motivati dallo stesso sentire. E allora, anche per questi pochi, bisogna continuare.

C'è da dire ancora che la poesia è poco veicolata anche da chi la pubblica, a meno che non si tratti di “grandi” nomi già consolidati.

 

La poesia non ha mai arricchito. Anche Quasimodo, dopo il Nobel, riuscì a vendere circa 10.000 copie della sua opera omnia, almeno a quanto mi disse suo nipote Renato, mio carissimo amico purtroppo scomparso. La poesia vende anche poco per un altro motivo: la quasi totalità di chi scrive poesie non compra sillogi di altri e questo mi è incomprensibile, perché leggere ciò che scrivono i poeti è sempre estremamente istruttivo. Editorialmente è un prodotto di nicchia che fornisce prestigio al catalogo, ma commercialmente i ritorni sono modesti, a maggior ragione oggi con un progressivo degrado scolastico che fa dell'Italia il paese dell'Unione Europea con il maggior numero di analfabeti e di analfabetizzati (circa il 50% della popolazione). Hai in corso di stesura altre sillogi e pubblicherai a breve?

 

No, Renzo, non credo che pubblicherò per ora, non a breve termine, se dovessi cambiare idea, forse fra un paio d'anni. Intanto, in rete, su La dimora del tempo sospeso, è stato pubblicato in PDF uno tra i Quaderni di Reb Stein con buona parte dei miei ultimi inediti.

Per quanto mi riguarda, me lo sono stampato e lo considero il mio quinto volume di poesie.

 

Certo che nel titolo (Invincibili) c'è una buona dose di autoironia, indispensabile per tirare avanti in una vita cercando di trarne quanto di meglio si riesce a cogliere.

In ognuno di noi c'è sempre qualche cosa che si vorrebbe dire, ma che poi non trova l'occasione perché ciò avvenga. Si pensa a un'intervista e si spera che venga la domanda relativa a quello che per noi sarà una risposta agognata; nella pratica questo non avviene quasi mai, perché l'intervistatore non può leggere dentro le persone.

Allora io ti offro questa opportunità. Se c'è una domanda a cui desideri tanto rispondere, ti chiedo di portela e, ovviamente, di rispondervi. Non dire di no, perché so che questa esigenza è presente in tutti.

 

Certo, Renzo, forse più d'una, forse mille, perché poche sono le verità e moltissimi i dubbi.

Spesso mi domando perché tanta indifferenza circola tra le persone come una linfa velenosa e mi chiedo cosa mai, io, piccola unità di una vasta umanità possa fare per tentare un varco, anche minimo, per poterla scalfire. Forse la risposta sta tutta nei miei versi, nel desiderio di comunicare i miei sentimenti con la speranza che altri possano accogliere il mio dettato di parole per una condivisione che dia più forza a quei pochi rimasugli di speranza che ogni tanto, come meteore, vediamo brillare negli occhi dei deboli e degli oppressi.

Grazie, Renzo, è stato bello parlare con te.  

 

Sono io a ringraziarti Jolanda per l'interessante e piacevole conversazione e ti saluto con l'auspicio di un'altra intervista in concomitanza con l'uscita di una nuova silloge, quando sarà, magari anche fra non molto.

 

 

Invincibili

di Jolanda Catalano

Nota introduttiva di Francesco Idotta

Edizioni Città del Sole

www.cittadelsoledizioni.it

Poesia

Pagg. 46

ISBN: 9788873510918

Prezzo: € 7,00

 

 

 

 

 
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