Intervista
di Renzo Montagnoli a Jolanda Catalano, autrice della silloge poetica Invincibili, edita da Città del Sole.
Nel leggere Invincibili ho rilevato una struttura tipica del poema, con il
discorso tematico portato avanti verso dopo verso, brano dopo brano. Mi piace
sempre essere sincero quando parlo di poesia e ti prego di credermi se ti dico che questa tua opera mi ha stupito in senso
ampiamente positivo. Qual' è stata la sua genesi?
Intanto ti ringrazio per
l'attenzione e l'apprezzamento di questa mia silloge e sarò sicuramente sincera
nelle risposte, non amo le pose, non servono a nulla e non fanno parte di me.
La genesi di Invincibili è stata molto complessa e
sofferta. Da troppo tempo, davvero troppo, mi ero resa conto che andavano
sbiadendo dall'umanità valori e segni di una civiltà alla deriva e mi chiedevo,
con rabbia e impotenza, il perché e cosa io, sconosciuta
poeta di campagna, potessi fare. Ma cosa può un poeta di fronte al male
del mondo?
Così, man mano che
scorrevano gli anni e i mesi e i giorni, continuavo a riflettere finché una
mattina spuntarono i versi della lirica che racchiude il poemetto. Mi dissi che
forse ero riuscita a dire tutto ciò che mi premeva da anni, ma non bastava,
sentivo che mancava ancora qualcosa.
Infatti, dopo una ventina
di giorni, quasi senza rendermene conto, iniziai a scrivere il poemetto vero e
proprio.
E' così e proprio perché il poeta, avendo il dono di avvertire ciò
che minaccia l'umanità, ha anche il dovere di mostrarlo ai sordi e di dirlo ai
ciechi. E' un obbligo che spesso non è un piacere, perché l'incredulità relega
chi parla al ruolo di menagramo, e ciò spesso nonostante la verificabilità di
ciò che grida. Mi sembra, tuttavia, che il poemetto esprima non tanto una
speranza, bensì una consapevolezza dell'ineluttabilità che, portando a una
rassegnata malinconia, stempera la rabbia dentro per avviare a uno stato di
serenità. Sei d'accordo?
Sì, Renzo, in Invincibili la speranza si frantuma
nella continua tracotanza dell'Uomo e se di serenità alla fine si può parlare è
solo perché la malinconia o la nostalgia per ciò che si è perso, di solito,
illanguidisce gli animi. Ma l'Uomo del mio poemetto, pur pentendosi, rimane
drammaticamente solo, consapevolmente solo, una solitudine senza ritorno e vie
di scampo, da lui stesso, o meglio, indotta dalla sua sfrenata superbia.
Per quanto riguarda il
discorso che fai sul compito del poeta, sono assolutamente in linea con te.
Che cos'è per te la poesia e può vincere o lenire questa
solitudine?
La poesia, per me, è
un'ottima compagna di viaggio, un sentiero da esplorare con cautela alla
ricerca di un possibile segno di verità per me e per gli altri.
Ma il sentiero, spesso, è
impervio e bisogna stare attenti a non cadere nelle trappole dell'ovvio. Molti
miei testi sono dedicati alla poesia, un colloquio diretto con la parola che, a
volte, sa essere lieve, altre, infierisce sulle ferite sempre dolenti.
Non so se la poesia sia
in grado di lenire la solitudine, questo, forse, può accadere al lettore che, specchiandosi
in essa, può trovare motivi, emozionali o razionali per stemperare il proprio
disagio esistenziale. Ma non credo possa lenire la solitudine del poeta.
La solitudine è propria dell'essere umano, che spesso ne è
inconsapevole, ma quella del poeta è particolare, perché ne è conscio e questo
mi induce a formulare un'altra domanda: perché il poeta soffre di solitudine?
Renzo, questa è una
domanda difficile ed io non credo di possedere una qualunque verità rivelata,
tuttavia cercherò di risponderti in base al mio sentire.
Se è vero che il poeta,
rispetto agli altri, ha una sensibilità diversa, una percezione particolare, un
mondo di cui si ciba continuamente per poi fare-essere poesia, allo stesso modo
la solitudine in lui viene portata all'estremo, esasperata a livelli, a volte,
quasi patologici. Forse perché il poeta che vorrebbe cantare la bellezza, la
spiritualità che sente come vibrazione armonica, si trova, da sempre, in un
mondo negletto e misero, mondo a cui difficilmente potrà adattarsi.
Da qui alla solitudine il
passo è breve.
Mi sembra che la sua
solitudine interna-esterna possa anche avere tali
motivazioni.
E sperare che il mondo
possa adattarsi e ruotare intorno al poeta, alla sua parola, spesso salvifica,
mi sembra tanto un'utopia per cui la sua solitudine continuerà a scavare fra le sue viscere percorsi amari da sublimare in versi.
Sì, la domanda era difficile, ma la risposta è stata convincente.
Ritorniamo a Invincibili, poemetto
strutturato a verso libero, ma con una sua armonia che deriva da una metrica
personale che ovviamente non ti chiedo di svelare.
Però c'è qualche cosa di particolare, un certo tono epico,
solenne, che mi richiama alla memoria alcune opere di un passato molto lontano.
Indubbiamente si addice alla tematica svolta e anzi finisce con
l'impreziosirla. Questa ispirazione mi induce a chiederti quali poeti hanno
esercitato su di te il maggiore influsso e per quali motivi. Ovviamente mi
riferisco a quelli che ritieni abbiano rappresentato per te le linee guida.
Cosa mi rispondi?
Renzo, io vengo da una
formazione classica e, vuoi o non vuoi, qualcosa rimane dentro, a volte come
ombra sfocata, altre come prepotente sentire.
Ma se proprio devo essere
sincera, non credo di avere avuto nella mia vita un interesse per l'uno o
l'altro poeta come linea guida. Ho tentato, ma non so se ci sono riuscita, di
ricercare nel profondo di me stessa un modo di verseggiare che fosse solo mio.
Certo, nelle varie fasi
del mio percorso, ho amato in modo viscerale alcuni poeti che avvertivo più
vicini al mio mondo, da Saffo a Leopardi, Montale, Quasimodo.
Ma i miei grandi amori in
campo poetico rimangono sempre i poeti del Sud del mondo, il Sud dell'anima.
Neruda per primo che di
tanto in tanto riprendo perché i suoi versi sono caldi e corposi, morbidi e
irrinunciabili, scritti col sangue del suo credo personale e politico. Un poeta
che spazia su mille argomenti di vita senza essere mai banale.
La sofferenza può
condurre all'indurimento di una persona come pure può divenire fonte di
ricchezza e di ri-volgimento verso gli altri, soprattutto i fratelli nel
dolore. Ecco, a me pare che Neruda abbia estrinsecato al meglio questi
sentimenti di partecipazione e condivisione. Perché Neruda non è solo il poeta
delle venti poesie d'amore e una canzone disperata. Forse in Invincibili le ombre sfocate di cui
dicevo prima si sono date la mano per venirmi incontro, ma, credimi, non c'è
stata nessuna intenzione di ripercorrere, neanche per un breve tratto, le orme
di un poema epico.
In verità non ho inteso Invincibili
come un poema epico, ma ho parlato di tono epico, quale si addice
all'importanza e all'universalità del tema trattato. Concordo con il giudizio
che hai espresso su Pablo Neruda, un poeta mai ripetitivo, dal verso chiaro e
dalla grande capacità di quasi colloquiare con il lettore, una comunicatività
che nemmeno la traduzione (assai difficile in campo poetico) riesce a scalfire.
La tua analisi dell'uomo in Invincibili
prescinde da periodi contingenti, anche se questi magari hanno contribuito a
far sorgere o rafforzare l'idea. Cos'è che in generale vedi di negativo e
magari anche di positivo nell'uomo contemporaneo?
Sì, Renzo, lo so che tu
hai parlato di tono epico, dentro di me mi riferivo a quanti hanno inteso questo
poemetto come una specie di Odissea.
L'uomo di Invincibili compie un viaggio nel tempo
e nello spazio, apparentemente senza una precisa logica.
In effetti questo capovolgimento ha rafforzato la
mia idea di ciò che l'uomo rappresenta per me, soprattutto oggi.
Credo che la storia poco
abbia insegnato se l'uomo continua a reiterare i propri errori. E puoi
benissimo capire di che parlo visto che chiaramente lo esprimo anche in Invincibili. Guerre, genocidi, stupri,
minori violati, mi dici cosa è cambiato rispetto al passato?
Una classe politica
inefficiente, buona soltanto a ingrassare le proprie vacche senza preoccuparsi
se quelle dei cittadini
hanno il minimo sostentamento per produrre un po' di latte.
Arroganza in ogni dove,
in ogni campo. Ti pare logico, e qui entro in un campo che mi riguarda da
vicino, che in Italia ci si debba preoccupare di costruire un fantomatico ponte
sullo stretto, che, ti assicuro, non serve a nulla se non a distruggere due
coste di estrema bellezza, piuttosto che risolvere i problemi dei cittadini,
padri di famiglia o giovani che vivono un perenne precariato?
Ecco, Renzo, a me sembra
che l'uomo contemporaneo abbia perso definitivamente il significato di un
termine molto semplice che è la pietas.
Ed è anche ovvio che ci
siano le dovute eccezioni, ma sono anime alte che non hanno voce, un esempio
per tutti: i monaci tibetani.
L'argomento è vasto, non
so trovare motivi in positivo per l'uomo contemporaneo. Dico solo, ma è un mio
modesto pensiero, che finché l'uomo in generale non riuscirà a fare
autocoscienza e riappropriarsi di quel po' che di femminile pure possiede, non
so proprio a cosa andremo incontro, forse a quel non ritorno di cui ho parlato
nel mio poemetto.
Sì, all'uomo contemporaneo manca la pietà e non può essere altrimenti,
visto che è una continua inutile rincorsa a feticci del tutto temporanei.
Sembra svuotato di ogni sostanza, tutto teso ad apparire anziché essere, vive
solo grazie alla menzogna, anche nei propri confronti; non è un uomo, ma “un
non morto”. Non tutti, ovviamente, sono così, ma fra coloro che campano in questo
modo e quegli altri che si illudono di campare così, ne restano pochi con
ancora un po' di umanità. Mi devi credere, se ti dico che ogni giorno mi chiedo
se vivo in un mondo di pazzi, o se per caso il pazzo sono io. E' giusto levare
la voce, gridare anche; magari non sortirà nulla, ma è d'obbligo per i
letterati non accodarsi al carro di un vincitore sanguinario, ma urlare tutto
il loro sdegno.
Ritorno a Invincibili,
opera che eventualmente mi richiama il ben noto film di Kubrik
2001 Odissea nello spazio, affinché tu chiarisca (e qui c'è un po' della
struttura classica) i significati del prologo e dell'epilogo, che presentano
una naturale continuità pur se in mezzo c'è l'opera vera e propria.
Lasciami dire per prima
cosa, a proposito di pazzia o meno.
Una sera di molti anni
fa, nella mia città, a conclusione di una splendida serata a lei dedicata, Alda
Merini disse “…e ricordatevi che i pazzi siete voi…”
Ora, per rientrare nella
domanda, non ricordo se ho visto o meno il film di cui
parli, la risposta fra prologo ed epilogo è molto semplice. Ti avevo già
accennato che la lirica che racchiude il poemetto era nata prima, così quando
mi sono resa conto che l'opera vera e propria era una continuazione, o meglio,
un'esplicazione ulteriore e più corposa della stessa, ho deciso, graficamente e
concettualmente parlando, di farla diventare un ventaglio che contenesse il
poemetto.
In Invincibili c'è una
visione pessimistica dell'uomo e del resto è assai raro trovare poeti
ottimisti. E' un'arte questa segnata da una solitudine soprattutto interiore
che deriva spesso, secondo me, dall'incomprensione per ciò che si scrive. La
figura stessa del poeta, specialmente nella società attuale, è vista come
quella di un fallito e del resto se parli con qualcuno e salta fuori che
scrivi, questi ti domanda sempre inevitabilmente che cosa. Quando dici
“poesie”, non sfugge a un osservatore attento la delusione dell'interlocutore.
La domanda allora è questa: perché questa incomprensione, o meglio scarsa
considerazione, nei confronti dei poeti?
Perché il poeta, in una
società rivolta più all'avere che all'essere, è considerato un povero
mentecatto che vive di sogni, e i sogni, si sa, non producono ricchezza e chi
non produce è considerato meno di niente.
Ma, secondo me, c'è anche
un altro motivo che risale alla poca poesia che si legge, a un'ignoranza di
base sulla figura del poeta. Se quanti lo osteggiano e denigrano si rendessero
conto che spesso i versi sono scritti col suo stesso sangue e che non è più
tempo di scrivere cuore che fa rima con amore, forse capirebbero che il poeta
non è un inetto, ma qualcuno che si preoccupa anche di dire a
nome di coloro che non hanno voce. Per fortuna, fra tanti imbecilli, rimangono
comunque quelli che sanno apprezzare, di solito sono pochi e spesso motivati
dallo stesso sentire. E allora, anche per questi pochi, bisogna continuare.
C'è da dire ancora che la
poesia è poco veicolata anche da chi la pubblica, a meno che non si tratti di
“grandi” nomi già consolidati.
La poesia non ha mai arricchito. Anche Quasimodo, dopo il Nobel,
riuscì a vendere circa 10.000 copie della sua opera omnia, almeno a quanto mi
disse suo nipote Renato, mio carissimo amico purtroppo scomparso. La poesia
vende anche poco per un altro motivo: la quasi totalità di chi scrive poesie
non compra sillogi di altri e questo mi è incomprensibile, perché leggere ciò
che scrivono i poeti è sempre estremamente istruttivo. Editorialmente
è un prodotto di nicchia che fornisce prestigio al catalogo, ma commercialmente
i ritorni sono modesti, a maggior ragione oggi con un progressivo degrado
scolastico che fa dell'Italia il paese dell'Unione Europea con il maggior
numero di analfabeti e di analfabetizzati (circa il
50% della popolazione). Hai in corso di stesura altre sillogi e pubblicherai a
breve?
No, Renzo, non credo che
pubblicherò per ora, non a breve termine, se dovessi cambiare idea, forse fra
un paio d'anni. Intanto, in rete, su La
dimora del tempo sospeso, è stato pubblicato in PDF uno tra i Quaderni di Reb Stein con buona parte dei miei ultimi inediti.
Per quanto mi riguarda,
me lo sono stampato e lo considero il mio quinto volume di poesie.
Certo che nel titolo (Invincibili)
c'è una buona dose di autoironia, indispensabile per tirare avanti in una vita
cercando di trarne quanto di meglio si riesce a cogliere.
In ognuno di noi c'è sempre qualche cosa che si vorrebbe dire, ma
che poi non trova l'occasione perché ciò avvenga. Si pensa a un'intervista e si
spera che venga la domanda relativa a quello che per noi sarà una risposta
agognata; nella pratica questo non avviene quasi mai, perché l'intervistatore
non può leggere dentro le persone.
Allora io ti offro questa opportunità. Se c'è una domanda a cui
desideri tanto rispondere, ti chiedo di portela e, ovviamente, di rispondervi.
Non dire di no, perché so che questa esigenza è presente in tutti.
Certo, Renzo, forse più
d'una, forse mille, perché poche sono le verità e
moltissimi i dubbi.
Spesso mi domando perché
tanta indifferenza circola tra le persone come una linfa velenosa e mi chiedo
cosa mai, io, piccola unità di una vasta umanità possa fare per tentare un
varco, anche minimo, per poterla scalfire. Forse la risposta sta tutta nei miei
versi, nel desiderio di comunicare i miei sentimenti con la speranza che altri
possano accogliere il mio dettato di parole per una condivisione che dia più
forza a quei pochi rimasugli di speranza che ogni tanto, come meteore, vediamo
brillare negli occhi dei deboli e degli oppressi.
Grazie, Renzo, è stato
bello parlare con te.
Sono io a ringraziarti Jolanda per l'interessante e piacevole
conversazione e ti saluto con l'auspicio di un'altra intervista in concomitanza
con l'uscita di una nuova silloge, quando sarà, magari anche fra non molto.
Invincibili
di Jolanda Catalano
Nota introduttiva di
Francesco Idotta
Edizioni Città del Sole
www.cittadelsoledizioni.it
Poesia
Pagg. 46
ISBN: 9788873510918
Prezzo: € 7,00