Intervista
di Salvo Zappulla a Giorgia Lepore,
autrice del romanzo L'abitudine al sangue,
edito da Fazi
Giorgia Lepore,
archeologa, ricercatrice presso la cattedra di Archeologia e Storia dell'Arte
Paleocristiana e Altomedievale dell'Università di Bari. Oltre a numerosi
articoli e saggi su riviste specializzate, ha pubblicato la monografia Oria e il suo territorio nell'altomedioevo
(2004), e contributi presenti nel volume Puglia Paleocristiana (a cura di G. Bertelli. 2004). Vive a Martina
Franca. L'abitudine al sangue è il suo primo romanzo, pubblicato con Fazi editore.
La incontriamo mentre sgranocchia un panino con mortadella di mammut, seduta su
una tomba etrusca.
Giorgia: archeologa, scrittrice di romanzi
storici, insegnante. In quale di questi ruoli ti identifichi meglio e
quali soddisfazioni ti hanno dato?
Diciamo che sono un po'…
incostante, per usare un eufemismo. Vado a periodi, ci sono delle fasi nella
mia vita, dei cicli, che ritornano. L'archeologia è stato il primo grande
amore, decisi che avrei seguito quella strada quando avevo 15 anni. Però
contemporaneamente scrivevo, solo che non avevo mai avuto il coraggio di
arrivare fino in fondo. Perciò cominciavo qualcosa, poi la lasciavo sempre a
metà. Con “L'abitudine al sangue”, invece, è stato diverso, l'ho scritto di
corsa, perché avevo paura che se mi fermavo non avrei
più continuato. Poi mi sono accorta che avevo per le mani una cosa compiuta e
non me la sono sentita di lasciarla in un cassetto.
Però, devo dire, quando qualcuno mi
chiama “scrittrice” mi sento a disagio.Non
mi considero tale, perciò dico che sono solo un'archeologa che ha scritto un libro.Per essere scrittori ci vuole ben altro.
Passando all'insegnamento, il discorso è
complicato… è un lavoro che non volevo fare per niente al mondo, troppo
negativa l'esperienza con la scuola avuta da adolescente. Poi è capitato per
caso… e mi è piaciuto. Mi è piaciuto al punto che ho cominciato a pensare di lasciare
l'altro lavoro per insegnare. E poi invece sono tornata indietro, e poi di
nuovo ci ho ripensato, e insomma è un tira e molla che
dura più o meno da dieci anni. Il fatto è che mi piacciono tutte e due le cose,
e le soddisfazioni non mancano da una parte e dall'altra, professionali sul
versante archeologico, umane su quello scolastico. Per complicare le cose, si è
aggiunta la scrittura, che mi ha dato una felicità nuova, diversa, che non
avevo mai conosciuto. Però dura poco, giusto il tempo di finire il libro. Poi
ti senti svuotata, come dopo un parto. Infatti, dico sempre che ho avuto la
“depressione post partum” (che è una cosa serissima,
però visto che sono madre di due figlie credo di potermi prendere il lusso di
scherzarci sopra), quel misto di angoscia, ansia, paura; la strana sensazione
che una cosa tua, solo tua, ora invece non lo è più.
Insomma, sono un'archeologa che ha
scritto un libro e che ha deciso di dedicarsi all'insegnamento. Almeno per ora.
Magari tra qualche anno faccio altro, potrei sempre aprire un ristorante. Certe
volte ci penso, un bell'agriturismo con vista sulla
Valle d'Itria…
Hai esordito in campo letterario con il romanzo “L'abitudine al
sangue” edito da Fazi, a mio parere una prova di
grande spessore. Giuliano, il protagonista, figlio dell'Imperatore, si erge
come un gigante nell'economia del romanzo. Quanto di ciò appartiene al contesto
storico, e quanto alle tue capacità inventive?
Come dire se un figlio
assomiglia tutto alla mamma o se ha preso tutto dal padre… è molto difficile
rispondere a questa domanda. Il contesto, la conoscenza del contesto che per me
è stata praticamente vita quotidiana, oggetto di
studio per tanti anni, ha sicuramente condizionato moltissimo la mia fantasia.
Mentre scrivevo, mi sembrava di mettere giù cose già sentite, ma al momento non
capivo bene dove. Solo col passare del tempo mi rendevo conto che nelle
descrizioni di Giuliano c'erano echi di quanto avevo letto nelle fonti, Ammiano Marcellino soprattutto, ma anche Procopio,
Costantino Porfirogenito; che quando parlavo di
Johannes e del monastero risentivo in testa le cronache monastiche
altomedievali, e così pure per le descrizioni, i posti.
Mentre scrivevo la parte del monastero
stavo lavorando in un frantoio rupestre, e mentre scrivevo del posto dove
dormiva Giuliano pulivo un giacitoio scavato nella
roccia. Insomma, questo per dire che le suggestioni che derivano dalle mie
conoscenze e dal mio lavoro hanno avuto un ruolo determinante.
D'altra parte, però, la storia è
inventata. Non mi interessava fare un romanzo storico “classico”; ho inventato
un pezzo di storia che non esiste, il mio è un gioco, una favola,
un'astrazione. Lo stesso personaggio di Giuliano riassume in sé molti
protagonisti della storia bizantina, di cui ha alcune caratteristiche, senza
però essere identificabile: Giuliano l'Apostata e Basilio II, per esempio.
Tutto il romanzo è costruito così: ci sono innumerevoli riferimenti, anche
precisi, però sono nascosti, criptati, messi insieme in un ordine nuovo.
Ho trovato nel tuo testo pagine di intensa spiritualità, oltre a
una prosa estremamente lirica, passaggi di profonda meditazione. E' un libro il
tuo da consigliare a tanti ragazzi che inseguono modelli effimeri. Qual è il
tuo rapporto con Dio?
Litighiamo spesso. Però
poi facciamo pace.
Scherzi a parte, il libro coincide con un
preciso percorso in questo rapporto, e all'inizio non sapevo precisamente quale
sarebbe stato il punto di arrivo. Scrivere non è per me un mezzo di
espressione, ma uno strumento di conoscenza. Perciò, attraverso Giuliano, ho
avuto modo di sistemare alcuni… dettagli.
Assistiamo giornalmente a spettacoli indecenti da parte di chi
dovrebbe invece dare il buon esempio, una corsa ad accaparrarsi il potere e
gestirlo per fini tutt'altro che nobili. Quali sono i valori della vita?
La vita in sé dovrebbe
costituire già un valore, senza bisogno di valori aggiunti, no?
I valori cambiano a seconda dei contesti,
e delle situazioni. Onore, patria, sacrificio, famiglia, sono stati valori
considerati assoluti in tempi a noi non molto lontani: per noi oggi forse sono
solo parole.
Per trovare valori assoluti si dovrebbe
cercare cosa è rimasto invariato nelle varie fasi storiche dell'umanità, e cosa
si trova di trasversale in civiltà e culture diverse. Ben poco, mi pare.
Volendo fare una sintesi, mi viene in mente solo una cosa, che in sé ne
riassume moltissime e ti rispondo con le parole di Giuliano: “ora so che è la mancanza d'amore la rovina del mondo”.
Ma credo che definire l'amore un valore
sia assolutamente riduttivo.
Il protagonista del tuo romanzo rinuncia alla gloria, al regno
promesso. Rifiuta di seguire un destino che altri hanno deciso per lui. E' un
eroe? Un perdente? Un sognatore?
Tutte e tre le cose,
immagino. D'impulso, mi verrebbe da dire che è soprattutto un perdente, uno
sconfitto. Ma chi non sogna non perde mai, e i sognatori sono tutti un po'
sconfitti. E chi è un eroe d'altra parte perde sempre, perché se vince non è un
eroe, ma un vincitore. E non è la stessa cosa.
L'Imperatore, il padre di Giuliano, sembra un uomo privo di
scrupoli. Lo è veramente? O è solo un uomo vittima del proprio ruolo?
Il personaggio del padre è
uno dei più complessi, contraddittori, e anche dei più belli.
Vittima, sicuramente. Del proprio ruolo,
della propria vita, ma anche dei suoi tempi, del suo destino, della sua
incapacità di amare nella giusta maniera. L'amore, una malintesa idea
dell'amore, può provocare disastri… Vittima della storia, si potrebbe dire. Di
se stesso e del contesto. Credo che sia il paradigma di molti uomini di potere,
del passato come del nostro tempo.
E in qualche modo, seppure con modalità
diverse, incarna l'impossibilità da parte di ognuno di
essere se stesso, senza condizionamenti esterni. C‘è una frase di Giuliano: “Se
fossimo stati altrove e altro da ciò che eravamo”… Un imperatore tiranno
sarebbe stato un buon padre, un rapporto di potere sarebbe stata una semplice
relazione padre-figlio.
E poi attraverso di lui mi sono chiesta:
esistono davvero persone che sono solo carnefici? Ora, come in passato? Non ho
certezze su questo punto, e forse spero di non averle mai, spero di riuscire
sempre a trovare una ”uscita di emergenza” per tutti.
Illustra ai lettori un buon motivo per leggere il tuo libro
Perché
è bello.
L'abitudine al sangue
di Giorgia Lepore
Fazi Editore
www.fazieditore.it
Narrativa romanzo
Pagg. 295
ISBN: 978-88-8112-985-0
Prezzo: € 18,00
Salvo Zappulla