Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Libri e interviste  »  L'intervista di Salvo Zappulla a Giorgia Lepore, autrice di L'abitudine al sangue, edito da Fazi 03/12/2009
 

Intervista di Salvo Zappulla a Giorgia Lepore, autrice del romanzo L'abitudine al sangue, edito da Fazi

 

Giorgia Lepore, archeologa, ricercatrice presso la cattedra di Archeologia e Storia dell'Arte Paleocristiana e Altomedievale dell'Università di Bari. Oltre a numerosi articoli e saggi su riviste specializzate, ha pubblicato la monografia Oria e il suo territorio nell'altomedioevo (2004), e contributi presenti nel volume Puglia Paleocristiana (a cura di G. Bertelli. 2004). Vive a Martina Franca. L'abitudine al sangue è il suo primo romanzo, pubblicato con Fazi editore.
La incontriamo mentre sgranocchia un panino con mortadella di mammut, seduta su una tomba etrusca.

Giorgia: archeologa, scrittrice di romanzi storici, insegnante. In quale di questi ruoli ti identifichi meglio e quali soddisfazioni ti hanno dato?

Diciamo che sono un po'… incostante, per usare un eufemismo. Vado a periodi, ci sono delle fasi nella mia vita, dei cicli, che ritornano. L'archeologia è stato il primo grande amore, decisi che avrei seguito quella strada quando avevo 15 anni. Però contemporaneamente scrivevo, solo che non avevo mai avuto il coraggio di arrivare fino in fondo. Perciò cominciavo qualcosa, poi la lasciavo sempre a metà. Con “L'abitudine al sangue”, invece, è stato diverso, l'ho scritto di corsa, perché avevo paura che se mi fermavo non avrei più continuato. Poi mi sono accorta che avevo per le mani una cosa compiuta e non me la sono sentita di lasciarla in un cassetto.
Però, devo dire, quando qualcuno mi chiama “scrittrice” mi sento a disagio.Non mi considero tale, perciò dico che sono solo un'archeologa che ha scritto un libro.Per essere scrittori ci vuole ben altro.
Passando all'insegnamento, il discorso è complicato… è un lavoro che non volevo fare per niente al mondo, troppo negativa l'esperienza con la scuola avuta da adolescente. Poi è capitato per caso… e mi è piaciuto. Mi è piaciuto al punto che ho cominciato a pensare di lasciare l'altro lavoro per insegnare. E poi invece sono tornata indietro, e poi di nuovo ci ho ripensato, e insomma è un tira e molla che dura più o meno da dieci anni. Il fatto è che mi piacciono tutte e due le cose, e le soddisfazioni non mancano da una parte e dall'altra, professionali sul versante archeologico, umane su quello scolastico. Per complicare le cose, si è aggiunta la scrittura, che mi ha dato una felicità nuova, diversa, che non avevo mai conosciuto. Però dura poco, giusto il tempo di finire il libro. Poi ti senti svuotata, come dopo un parto. Infatti, dico sempre che ho avuto la “depressione post partum” (che è una cosa serissima, però visto che sono madre di due figlie credo di potermi prendere il lusso di scherzarci sopra), quel misto di angoscia, ansia, paura; la strana sensazione che una cosa tua, solo tua, ora invece non lo è più.
Insomma, sono un'archeologa che ha scritto un libro e che ha deciso di dedicarsi all'insegnamento. Almeno per ora. Magari tra qualche anno faccio altro, potrei sempre aprire un ristorante. Certe volte ci penso, un bell'agriturismo con vista sulla Valle d'Itria

Hai esordito in campo letterario con il romanzo “L'abitudine al sangue” edito da Fazi, a mio parere una prova di grande spessore. Giuliano, il protagonista, figlio dell'Imperatore, si erge come un gigante nell'economia del romanzo. Quanto di ciò appartiene al contesto storico, e quanto alle tue capacità inventive?

Come dire se un figlio assomiglia tutto alla mamma o se ha preso tutto dal padre… è molto difficile rispondere a questa domanda. Il contesto, la conoscenza del contesto che per me è stata praticamente vita quotidiana, oggetto di studio per tanti anni, ha sicuramente condizionato moltissimo la mia fantasia. Mentre scrivevo, mi sembrava di mettere giù cose già sentite, ma al momento non capivo bene dove. Solo col passare del tempo mi rendevo conto che nelle descrizioni di Giuliano c'erano echi di quanto avevo letto nelle fonti, Ammiano Marcellino soprattutto, ma anche Procopio, Costantino Porfirogenito; che quando parlavo di Johannes e del monastero risentivo in testa le cronache monastiche altomedievali, e così pure per le descrizioni, i posti.
Mentre scrivevo la parte del monastero stavo lavorando in un frantoio rupestre, e mentre scrivevo del posto dove dormiva Giuliano pulivo un giacitoio scavato nella roccia. Insomma, questo per dire che le suggestioni che derivano dalle mie conoscenze e dal mio lavoro hanno avuto un ruolo determinante.
D'altra parte, però, la storia è inventata. Non mi interessava fare un romanzo storico “classico”; ho inventato un pezzo di storia che non esiste, il mio è un gioco, una favola, un'astrazione. Lo stesso personaggio di Giuliano riassume in sé molti protagonisti della storia bizantina, di cui ha alcune caratteristiche, senza però essere identificabile: Giuliano l'Apostata e Basilio II, per esempio. Tutto il romanzo è costruito così: ci sono innumerevoli riferimenti, anche precisi, però sono nascosti, criptati, messi insieme in un ordine nuovo.

Ho trovato nel tuo testo pagine di intensa spiritualità, oltre a una prosa estremamente lirica, passaggi di profonda meditazione. E' un libro il tuo da consigliare a tanti ragazzi che inseguono modelli effimeri. Qual è il tuo rapporto con Dio?

Litighiamo spesso. Però poi facciamo pace.
Scherzi a parte, il libro coincide con un preciso percorso in questo rapporto, e all'inizio non sapevo precisamente quale sarebbe stato il punto di arrivo. Scrivere non è per me un mezzo di espressione, ma uno strumento di conoscenza. Perciò, attraverso Giuliano, ho avuto modo di sistemare alcuni… dettagli.

Assistiamo giornalmente a spettacoli indecenti da parte di chi dovrebbe invece dare il buon esempio, una corsa ad accaparrarsi il potere e gestirlo per fini tutt'altro che nobili. Quali sono i valori della vita?

La vita in sé dovrebbe costituire già un valore, senza bisogno di valori aggiunti, no?
I valori cambiano a seconda dei contesti, e delle situazioni. Onore, patria, sacrificio, famiglia, sono stati valori considerati assoluti in tempi a noi non molto lontani: per noi oggi forse sono solo parole.
Per trovare valori assoluti si dovrebbe cercare cosa è rimasto invariato nelle varie fasi storiche dell'umanità, e cosa si trova di trasversale in civiltà e culture diverse. Ben poco, mi pare. Volendo fare una sintesi, mi viene in mente solo una cosa, che in sé ne riassume moltissime e ti rispondo con le parole di Giuliano: “ora so che è la mancanza d'amore la rovina del mondo”.
Ma credo che definire l'amore un valore sia assolutamente riduttivo.

Il protagonista del tuo romanzo rinuncia alla gloria, al regno promesso. Rifiuta di seguire un destino che altri hanno deciso per lui. E' un eroe? Un perdente? Un sognatore?

Tutte e tre le cose, immagino. D'impulso, mi verrebbe da dire che è soprattutto un perdente, uno sconfitto. Ma chi non sogna non perde mai, e i sognatori sono tutti un po' sconfitti. E chi è un eroe d'altra parte perde sempre, perché se vince non è un eroe, ma un vincitore. E non è la stessa cosa.

L'Imperatore, il padre di Giuliano, sembra un uomo privo di scrupoli. Lo è veramente? O è solo un uomo vittima del proprio ruolo?

Il personaggio del padre è uno dei più complessi, contraddittori, e anche dei più belli.
Vittima, sicuramente. Del proprio ruolo, della propria vita, ma anche dei suoi tempi, del suo destino, della sua incapacità di amare nella giusta maniera. L'amore, una malintesa idea dell'amore, può provocare disastri… Vittima della storia, si potrebbe dire. Di se stesso e del contesto. Credo che sia il paradigma di molti uomini di potere, del passato come del nostro tempo.
E in qualche modo, seppure con modalità diverse, incarna l'impossibilità da parte di ognuno di essere se stesso, senza condizionamenti esterni. C‘è una frase di Giuliano: “Se fossimo stati altrove e altro da ciò che eravamo”… Un imperatore tiranno sarebbe stato un buon padre, un rapporto di potere sarebbe stata una semplice relazione padre-figlio.
E poi attraverso di lui mi sono chiesta: esistono davvero persone che sono solo carnefici? Ora, come in passato? Non ho certezze su questo punto, e forse spero di non averle mai, spero di riuscire sempre a trovare una ”uscita di emergenza” per tutti.

Illustra ai lettori un buon motivo per leggere il tuo libro

Perché è bello.

 

L'abitudine al sangue

di Giorgia Lepore

Fazi Editore

www.fazieditore.it

Narrativa romanzo

Pagg. 295

ISBN: 978-88-8112-985-0

Prezzo: € 18,00

 

Salvo Zappulla

 
©2006 ArteInsieme, « 014759320 »