Intervista
di Renzo Montagnoli a Nicola Vacca, autore della raccolta poetica “Esperienza degli affanni”, edita dal
Foglio Letterario.
Questa tua ultima raccolta è indubbiamente di forte impegno
civile, a risvegliare coscienze sopite, a far riaprire occhi chiusi da un
torpore indotto. Come vedi l'attuale situazione, e in particolare dove sta
andando il mondo?
In questo particolare
momento sono molte le cose che non vanno. L'umanità è perduta. Voglio dire che
giriamo a vuoto, perché abbiamo perso il baricentro. Siamo avvitati intorno a
una pericolosa involuzione che sta minando le fondamenta della nostra specie,
che non è più capace di guardarsi dentro. Manchiamo di impegno e di
responsabilità. La politica non è più in grado di dare risposte alla società,
il primato della cultura è stato demolito da un'omologazione mediatica che ha
completamente reso superfluo il valore fondamentale della conoscenza. C'è una
brutta aria, un asettico analfabetismo emotivo ci sta togliendo definitivamente la meraviglia dello
stupore. Insomma, dovremmo iniziare a fiutare l'odore del pericolo, invece
continuiamo a farci del male aprendo la strada a un'Apocalisse postmoderna che
ci annienterà.
Concordo, nel senso che l'uomo sembra affetto da una rassegnata
imbecillità, come se fosse in corso una vera e propria involuzione. Il
pericolo, veramente grave, che l'umanità corre è compito degli intellettuali
portarlo alla luce, proprio perché chi è abituato a vivere con spirito critico
deve rendere edotti dei rischi tutti gli altri. Un poeta, benché intellettuale,
ha per sua natura, tuttavia, altre caratteristiche,
nel senso che molto spesso vede molto al di là del problema, prevedendo scenari
che vanno oltre l'umana immaginazione, e per questo resta una Cassandra
inascoltata. E' questo allora un pregio o un limite del poeta?
Ezra Pound
scriveva che il compito del poeta è quello di riempire il caos. E aveva
perfettamente ragione. La poesia riesce a vedere quello che altre discipline non guardano nemmeno.
L'invisibile che contiene verità assolute. Per quanto riguarda gli
intellettuali il discorso è un po' complesso. Questa
categoria molto spesso è prigioniera di luoghi comuni e di conformismi
servili. Mette la conoscenza al servizio del potere. È il caso di dire che
l'intelligenza perde un'occasione per rendere il mondo migliore. Il poeta,
quando è guardiano dei fatti, sa testimoniare con la parola quello che vede, e
soprattutto scrive e dice quello che pensa, sapendo di porsi in una posizione
inattuale e scomoda che disturba il manovratore.
Non si può dire che i tuoi versi gridino, ma la denuncia, pur
avendo un tono pacato, è ferma, come a dire che tu ricorri alla “non violenza”,
un po' come Gandhi. Però, secondo te, ci sono attualmente i presupposti perché
si possano ottenere dei risultati senza dover ricorrere necessariamente alla
violenza?
Forse lascerei da parte
Gandhi e le sue utopie. La violenza e il male sono nelle cose. L'unica cosa che il poeta può fare, e con lui
l'uomo di pensiero, è attraversarlo con il racconto della propria esperienza di
uomo fra gli uomini con la consapevolezza che la poesia non salva la vita, ma può
essere utile a conservare le tracce che lasciamo in questa stagione di grande
freddo interiore. Scrivere scavando nell'abisso che non ci circonda, ma che ci
abbraccia. Forse da questa missione qualcosa verrà fuori. O forse no…
E visto che concordiamo sulla deriva attuale, e magari anche sui
motivi, quale potrebbe essere la soluzione per fare un passo indietro, per non
spingerci a capofitto nel baratro?
Il baratro diventa sempre
più profondo e cupo. C'è molto da fare per liberarci da quest'agonia. Una cosa
dovremmo imparare una volta per tutte. Metterci in ascolto. Imparare ad
ascoltare gli altri, smettere di ascoltare noi stessi. Siamo troppo innamorati
del nostro ego per capire, come scriveva Roberto Sanesi,
che il dialogo
è l'unica salvezza che c'è. E in questo la poesia diventa l'urgenza dalla quale
non si può più prescindere.
Mi chiedo spesso, ravvisando analogie con il periodo del tardo
impero romano, se è vero che la civiltà occidentale ha intrapreso un percorso
caratterizzato da un declino ormai inarrestabile, oppure se l'uomo è sempre
stato così e ci sono periodi in cui più ci accorgiamo di queste carenze innate.
Resta comunque il fatto che una società che ha come unico valore il profitto e
che per ottenerlo dimentica il passato non può avere avvenire. Molto
opportunamente hai messo in evidenza questo sgomento, laddove scrivi “…/il vuoto che cresce / annuncia tumulti”.
Ecco, io mi soffermerei su quest'ultimo verso, quell'annuncia tumulti, che
potrebbe essere inteso come una ribellione, oppure anche come una crescita di
violenza dovuta all'insoddisfazione. Quale è la tua interpretazione?
Sì lo ammetto è un verso
forte. Ma c'è bisogno del pensiero forte in questo tempo di sgomento.
Ovviamente non mi riferisco a quello autoritario. Bisogna costruire con parole
che dicono e che a volte possono risultare scomode, ma devono dire, quindi significare.
L'immagine del vuoto che annuncia tumulti è la fotografia dell'impoverimento
del nostro tempo interiore che ha bisogno dell'unica rivoluzione possibile,
quella del cuore che tarda a venire. Dal punto di vista relazionale bisogna
stare attenti al nulla nel quale la crisi economica, che è soprattutto crisi
morale, ci ha trascinato. Si avverte il pericolo del conflitto sociale. E
questa volta i tumulti lascerebbero il segno.
Quindi le parole devono ferire la coscienza, un po' come direbbe
Cioran, nell'ambito di una pacifica opposizione alla disgregazione morale, in
un conflitto di pensiero con i contemporanei che avrebbe sicuramente trovato il
consenso di Nietzsche, due filosofi che, a quanto mi risulta, hanno esercitato
su di te un influsso marcato.
Questa raccolta può quindi essere definita propria della poesia
“civile”, ma è anche vero che i toni, mai enfatici, se pur fermi, sono quelli
di una civile comunicazione, non allineata a ideologie politiche, a differenza
delle opere di quello che può essere definito il miglior interprete della
“poesia civile”, cioè Nazim Hikmet. Questo tuo modo
di esporre, pacato, ma univoco mi richiama invece un altro autore, dal quale
peraltro ti differenzi poiché non parti come lui da un credo politico: Pablo
Neruda.
Ci sono termini che ricorrono, quali buio,
nero, che, nella mia interpretazione, non devono essere intesi tanto come
assenza di luce, ma come senso di vuoto che stringe da dentro al punto di
esprimere il dissenso con un lacerante urlo muto (…/Il vuoto afferra la realtà / la distruzione non molla la presa
/ la distruzione non molla la presa). Questi tre versi sono molto belli già da
soli, perché esprimono quasi tangibilmente la sofferenza interiore. Un poeta
deve mettere sull'avviso, ma può poi lenire il suo dolore?
Esatto le parole devono
ferire sempre con un punto di domanda.
Voglio citarti in proposito alcuni versi di Wisława
Szymborska, in cui la grande poetessa ha dato un
senso alla vocazione di chi scrive versi:<<… e non risparmiargli domande
ad alcuna risposta,/ se riguardano la vita,/ossia la
tempesta prima delle quiete>>. La mia è una poesia civile che guarda al
mondo ferito ma non cerca affatto nessuna morale. Il senso di vuoto è incolmabile perché si
crede poco e niente nell'anima. Il dolore è difficile da sconfiggere perché
entra nelle nostre vite senza bussare. Ma se ci mettiamo in ascolto dell'anima
possiamo dare un senso alla sua aggressività. A questo serve
la poesia. Porre domande sulla vita, non smettere mai di interrogarsi, cercare
di evocare, affermare per combattere il nichilismo che avanza dappertutto.
Soltanto la parola che chiama le cose con il loro nome può limitare i danni.
Questo intendo per poesia. Il resto è solo cronaca e minimalismo.
Vero ed eccoci all'ultima domanda. So di questa tua iniziativa di
una rubrica sulla poesia, notizia che peraltro ho già divulgato. Vuoi
aggiungere qualcosa al riguardo?
Sono contento di questa
possibilità per la poesia che ha sempre più necessità di essere divulgata e
testimoniata. Come sempre ho fatto, dedicherò maggiore attenzione alla piccola
e media editoria. E soprattutto mi auguro che nel nostro Paese si torni a dare
al mondo del verso la
giusta considerazione.
Grazie, Nicola, per la piacevole intervista e per i tuoi propositi
di contribuire fattivamente alla divulgazione della poesia.
Esperienza degli
affanni
di Nicola Vacca
Edizioni Il Foglio Letterario
www.ilfoglioletterario.it
Poesia
Collana Plaquette I Blu
Pagg. 90
ISBN 978 - 88 - 7606 - 242 – 1
Prezzo € 6,00