Intervista
di Giuseppe Iannozzi
ad Alberto Carollo,
autore del romanzo Doppio ritratto,
edito da Creativa.
1. “Doppio ritratto” è il disegno di un destino
infelice, di un amore la cui misura par essere disgraziata sino alle estreme
conseguenze. C'è di fondo un esistenzialismo talvolta cinico in Alfredo, nel
protagonista del tuo ultimo romanzo. Sbaglio?
Non
sbagli. Alfredo è un personaggio “saturnino”, un malinconico con tutti i crismi
e carismi del caso. Il suo esistenzialismo è il prodotto di una sensibilità non
comune e affiora prepotente nei dialoghi, spesso caustici, intrisi di un
umorismo “nero” che a ben vedere è una forma di autodifesa, una barriera di
protezione per il suo io vulnerabile. Lo scioglimento dell'intreccio, come
rilevi, non è certamente quello di un happy end ma nelle mie intenzioni lascia
aperta qualche possibilità, se non altro di una ulteriore,
pur dolente, consapevolezza.
2.
Chi è in realtà Alfredo Algelo,
questo scrittore di grandi ambizioni ma incapace di evadere dalle sue
ossessioni?
Alfredo
è un giovane insegnante con una profonda passione per la Storia dell'Arte e una
tenace motivazione ad esprimersi creativamente. Come aspirante scrittore è alla
ricerca di un pubblico di interlocutori in grado di apprezzare e confrontarsi
col suo lavoro. Purtroppo nella società provinciale e distratta in cui opera,
infatuata di ben altri valori, i suoi sforzi sono destinati all'insuccesso. Le
sue ricerche sul “Doppio ritratto” di Giorgione, oltre a costituire
un'intrigante sfida intellettuale per le loro implicazioni filosofiche ed
esistenziali, divengono vere e proprie ossessioni, una continua tensione a dare
forma e consistenza alle sue ambizioni artistiche e di vita. Ossessioni
estetiche ma pure erotiche: in un momento di particolare fragilità psicologica
Alfredo incappa in Alina, la complicata ragazza di un pubblicitario, e si
invischia in una relazione perniciosa e senza scampo.
3. In “Doppio ritratto” ci sono due
importanti figure femminili, Alina e Ilaria. Con Ilaria il protagonista Alfredo
instaurerà un rapporto profondo, alla fine quasi materno più che intellettuale.
Quanto è importante il femmineo per Alfredo e per il tuo saper essere scrittore
che scava nella psiche umana?
Hai
colto con grande acume la pietra angolare del romanzo: il femmineo. Per uno
scrittore, maschio, inseguire la propria parte femminile, quella che Carl
Gustav Jung – padre della psicologia analitica – definisce anima, è individuare
la propria componente artistica, la propria creatività. Ė stato così per
Dante e Petrarca; nelle loro opere Beatrice e Laura perdono le connotazioni
terrene per divenire “altro”: cammino verso la perfezione, eterno femminino.
Alina ed Ilaria sono figure emblematiche in questo senso: da una parte la
giovane donna sensuale, preda di un istinto vorace che ben si adatta al suo
habitat naturale, dotata di conoscenza e talenti “empirici” che confondono e
relativizzano le certezze di Alfredo; al polo opposto l'anziana poetessa sul
viale del tramonto, minata nel fisico, fiaccata dalle esperienze difficili e
complicate dell'esistenza, che diviene specchio della condizione dell'artista
nell'odierna società, spesso incompreso e marginalizzato.
4. Alfredo insegue l'Arte, ma è forse più giusto dire
che insegue un ideale artistico caratterizzato da una forza comunicativa
immarcescibile che ricusa l'effimero. È Alfredo più votato all'apollineo o ad
una dimensione dionisiaca dell'Arte? Spiega perché.
Alfredo
si dibatte in una sorta di inconciliabilità degli opposti. Avverte lo
sfilacciato della sua esperienza di vita; sente che potrebbe renderla più
compiuta nella rappresentazione artistica. La sua disposizione apollinea è il
tentativo di fare della propria vita un'opera d'arte, di poterne essere il
regista, di ordinarla come si fa per le categorie dell'intelletto e della
ragione. Ma l'esistenza sguscia, è palpitante e inafferrabile nel sentimento
che il personaggio nutre per Alina, nel suo goffo tentativo di imbrigliarla nel
logos. «I filosofi non sanno danzare», sembra pensare Alfredo; Alina lo
trascina nel mezzo di una danza dionisiaca, nel vortice di una forza
irresistibile quanto sconosciuta. Difficile rimanere in bilico: difatti cade,
per inesperienza. Un Alfredo più maturo avrebbe forse tentato una diversa
integrazione dei due aspetti, chi lo sa.
5. In “Doppio ritratto”, ad esempio, vengono
analizzate diverse opere di Munch e Van Gogh, il primo appartenente alla scuola
dell'arte espressionista, il secondo invece un impressionista tout court.
Entrambi non sono stati ben accolti né compresi nel momento storico che li ha
visti protagonisti. Nelle loro opere forte è l'angoscia e la solitudine. Per Munch
la morte e la passione sono i temi dominanti, mentre per Vincent, come bene
spiega Argan nel suo saggio “L'arte moderna”, “l'arte deve inserirsi come una
forza attiva, ma di segno contrario” affinché sia “lampante la scoperta della
verità contro la crescente tendenza alla alienazione e
alla mistificazione”. Quanto c'è di tutto questo nel tuo romanzo?
Il
romanzo ha diversi piani di lettura e i temi che concentri in questa domanda
sarebbero per me un invito a cena quanto una crocefissione per i lettori di
questa intervista, che si dilungherebbe oltre il lecito. Ho raccolto un dossier
consistente sulla “melancholia” nella preparazione di “Doppio ritratto”;
materiali disparati: letteratura, medicina, storia dell'arte, musica,
filosofia, psicanalisi. Il malinconico è uno dei tipi più ricorrenti e studiati
nella cultura occidentale; Munch e Van Gogh erano dei melanconici in forme che
gli studiosi moderni ascrivono a stati patologici. In Marsilio Ficino e nel
pensiero neoplatonico la malinconia è una forza di segno positivo, prodiga
delle più alte e nobili facoltà come ragione e speculazione. Secondo Aristotele
tutti i più grandi uomini erano dei melanconici: ne soffrirono Socrate ed
Empedocle, Van Der Goes e Dürer, Leopardi e Baudelaire, De Chirico, Umberto
Saba e finanche Gassman per fare qualche nome. Nel romanzo mi interessava
accennare a questa continuità, pungolare il lettore ad approfondire.
6. Alfredo è il ritratto incarnato della sofferenza,
in altri tempi sarebbe stato tacciato d'essere un ‘artista
maledetto'. Vittima di uno spleen incoercibile Alfredo riesce a tradurre in
arte con la “A”
maiuscola la sua sofferenza? E se sì, in che maniera?
La
sofferenza del malinconico è una condizione più o meno
estrema di inadeguatezza: l'essere pensante e creativo è quasi ridotto all'impotenza
perché non possiede (e forse non possiederà mai) le conoscenze adeguate a
risolvere i propri problemi esistenziali. Per riallacciarmi in coda o in
supplemento alla domanda precedente, la “forza attiva, ma di segno contrario”
di cui parla Argan è la lucidità che questi stati mentali conferiscono a chi ne
è affetto. La melanconia può essere croce e delizia e c'è in molti malinconici
un atteggiamento ambivalente, l'esser quasi compiaciuti
di essere così tormentati e consapevoli. In forme e modi differenti ritengo che
pressoché tutte le espressioni artistiche di rilievo siano la rappresentazione
degli aspetti più reali di problemi fondamentali che ci assillano dalla notte
dei tempi.
7. A tuo avviso l'ànemos è qualche cosa di
reale, o è invece una fantasiosa idea comune a tante religioni e filosofie?
Alfredo crede nell'eternità dell'anima? E in quella dell'Arte?
Perbacco,
Beppe! Mi sudano le mani, ma da buon malinconico “compensato” presto volentieri
il fianco al supplizio del tuo “interrogatorio”. Alfredo non crede in Dio o in
qualsivoglia dottrina religiosa; per lui l'anima è, nella sua accezione
aristotelica, “entelechia”, forma e principio di vita che anima e governa il
corpo. L'Arte è una forma di sublimazione, di amplificazione della coscienza e delle
percezioni, ma tutto avviene nei territori della psiche, dell'io. Alfredo è molto simile a Ilaria Baldini, a quel che la
poetessa scrive nella sua lettera, a proposito della sua paura tutta “terrena e
sensibile” della morte. È quasi foscoliana Ilaria: sopravviviamo nel ricordo di
chi ci ha conosciuti e amati, e nelle nostre opere. Io sottoscrivo con un “Mi
piace”.
8. Per Alfredo la bellezza è una realtà tangibile o si
tratta invece di un ideale mutevole soggetto ai capricci del momento storico in
cui l'artista vive?
Per
Alfredo la bellezza è qualcosa di imperituro che trascende il concetto di tempo
lineare: alcuni testi, alcune composizioni musicali, alcuni dipinti come il
“Doppio ritratto” ci parlano attraverso i secoli. Dante è assolutamente un
nostro contemporaneo, così come lo sono Leonardo o Piero della Francesca. Vi è
poi un certo tipo di bellezza, ad un livello più “cinetico”, direbbe Joyce, che
alletta i sensi e riverbera il periodo storico, come la moda. Una sorta di
fascinazione estemporanea, di vezzo estetico con un suo spessore, come il
Barocco o la Pop Art.
9. La figura di Ilaria Baldini ricopre un ruolo di
primo piano nel tuo romanzo: è una scrittrice già in là con gli anni, costretta
sulla sedia a rotelle e affetta da non pochi acciacchi, che è diventata famosa
per aver dato alle stampe le sue “Vacanze coatte”. A chi hai pensato per
ritrarre il personaggio di Ilaria?
Sono
lieto che tu me lo chieda; sono molto affezionato al personaggio di Ilaria. Ho
avuto il piacere di conoscere un'anziana scrittrice e giornalista che
assomigliava per certi aspetti ad Ilaria; è mancata dopo qualche anno di
frequentazioni ma mi ha lasciato degli splendidi ricordi. Aveva una volontà
senza pari; non si arrendeva mai, mi ha insegnato a “meravigliarmi” della bellezza
che siamo in grado di scorgere quotidianamente, come fanno i bambini, con
semplicità. Ho preso in prestito alcuni suoi tratti per costruire Ilaria, e
credo di averle reso giustizia in buona parte, per quanto ho potuto. Non ne ho
mai parlato finora: Iannozzi è come una seduta da Sigmund Freud!
10.
“Doppio ritratto”, quale messaggio
vorrebbe portare all'attenzione del lettore di oggi?
Non
ho manifesti da contrabbandare; confido che il mio lettore possa trascorrere
qualche ora piacevole con le mie storie, ma che sia pure indotto a non
considerare acriticamente quanto gli accade, dentro e fuori dal romanzo. È
sempre possibile guardare gli eventi, il mondo che ci circonda da altre
angolazioni, comparare tra loro elementi disparati e apparentemente senza collegamento.
Lasciamo sempre aperta qualche porta, insomma. Senza troppi timori o
idiosincrasie, mi raccomando.
11.
Gli autori che da sempre hanno
influenzato il tuo modo di scrivere?
Beh,
mi dovrei prendere qualche settimana di ferie per risponderti. Da veneto mi
sento molto vicino alla narrativa di Goffredo Parise, alla poesia di Zanzotto,
alla scrittura di confine di Fulvio Tomizza. In qualche modo mi hanno
sicuramente influenzato Svevo e Pirandello, di cui ho letto praticamente tutto
nella mia adolescenza. E ancora Milan Kundera, Franz Kafka, James Joyce – ho
letto varie volte l'Ulisse e non me ne sono ancora fatto una ragione! Mi
piacciono le sceneggiature di Woody Allen, il teatro di Harold Pinter; leggo
con ammirazione Ian Mc Ewan, Jonathan Coe, Philip Roth, Paul Auster, Don De
Lillo, Agota Kristof, Mordecai Richler.
12.
Ho notato che in “Doppio ritratto” i
dialoghi sono molto serrati, quasi carveriani, mentre le descrizioni sono
(oltremodo) particolareggiate. Il motivo di questo contrasto qual è?
Ho
curato i dialoghi con molta attenzione. Li ho spesso letti a voce alta, per
rendere il ritmo del respiro, il ping pong del botta e risposta tra i
personaggi.
Mi piacciono le descrizioni nei romanzi,
è un aspetto della scrittura che attualmente è stata sacrificata, per
contaminazione tra i generi, ad una visione da script cinematografico, rapida
ed essenziale. Senza scomodare l'Ottocento, penso che gli stati d'animo dei
personaggi si riverberino in qualche modo negli ambienti, nel paesaggio,
creando un climax irripetibile per altre forme espressive. Penso alle pagine di
apertura di “A sangue freddo” di Truman Capote. Nella descrizione del villaggio
di Holcomb nel Kansas ogni elemento concorre a creare un'atmosfera presaga di
morte, di rabbia e disagio repressi, di follia gratuita.
13. ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a
noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori….' E tu,
Alberto, dacci almeno un buon motivo, senza falsa modestia, per cui leggere il
tuo romanzo “Doppio ritratto”.
Leggetelo
perché in fondo è una buona storia d'amore: c'è tanto sesso e storia dell'arte
(per compensare con eleganza i “bassi istinti” dell'autore). Credo non sia un
romanzo banale; ho cercato di scriverlo bene perché ci ho messo qualche anno e
tre o quattro riscritture (mi sono fatto consigliare e dileggiare, con umiltà e
pazienza) e spero possa fornirvi qualche spunto di riflessione. Nel tempo.
Grazie,
Alberto, al solito sei stato molto gentile. A te ogni bene. Beppe
Grazie
a te Beppe; sei stato un gran bastardo ma è stato un piacere passare per le tue
forche caudine. Lunga vita e prosperità.
Doppio
ritratto – Alberto Carollo – Edizioni Creativa – Collana
Nuove Voci – Pagg. 226 – ISBN 9788896824009 – Prezzo € 16,00