Io,
Claudio – Robert Graves – Corbaccio –
Pagg. 400 – ISBN 9788863804249 – Euro 20,00
Un
imperatore storico e uno storico imperatore
L’imperatore
Claudio, penultimo della gens giulio claudia, quello giusto per
intenderci a cavallo fra le pazzie di Caligola e quelle di Nerone, è
passato alla storia come l’inetto, il deforme, il balbuziente
anche grazie alle ingenerose pagine scritte su di lui da Tacito e da
Svetonio, entrambi interessati a renderne evidenti i suoi tratti
caratteristici con puro gusto caricaturale. Oggi gli storici hanno
riabilitato l’imperatore e, fonti alla mano, sono in grado di
dimostrare un’altra verità, quella relativa al suo buon
governo. Eppure, questo lavoro di Graves pare, ma solo in superficie,
ricalcare il filo della damnatio memoriae e seguirlo dando,
paradossalmente, voce proprio a lui, a Claudio, al quale non resta
altro che presentarsi qual è.
Egli
è soprattutto uno storico che ha deciso di ripercorrere, con
vivo gusto per la verità, i primi anni dell’impero e di
farlo a favore della posterità più remota perché
lui “parlerà chiaro” e la sua opera sarà
conosciuta fra novecento anni e non prima, e supererà di gran
lunga quelle degli storici coevi i quali allora parranno proprio
balbettare. Lui invece sarà lo storico audace, quello che la
profezia collocò come il quinto peloso.
“Il
peloso quinto terrà schiavo lo Stato
-schiavo
lo Stato, ma contro il proprio volere-
sarà
quello scemo che ognuno spregiava.
Avrà
folta la chioma e darà a Roma
acqua
e pane, l’inverno.
Lo
ucciderà la moglie e non sua moglie
a
vantaggio del figlio non suo figlio.”
Tutta
la sua narrazione autobiografica sfuma pertanto a favore della
ricostruzione fedele delle trame sempre taciute che hanno visto
tramontare definitivamente l’ideale repubblicano a favore della
restaurazione della monarchia, malcelata però sotto le mentite
spoglie di un principato che diventerà impero, come sappiamo
noi posteri, solo con Vespasiano. Prima è un succedersi di
matrimoni combinati, adozioni, avvelenamenti e lui, il povero Claudio
è solo una tremula foglia nell’albero genealogico della
famiglia imperiale che nasce e si nutre per mano dei suoi stessi
assassini, risorgendo di volta in volta come l’araba fenice.
Vive all’ombra dei palazzi imperiali, Augusto è suo
prozio nonché marito della sua nonna paterna Livia. È
nato a Lione un anno prima della morte del padre Druso, fratello del
futuro imperatore Tiberio, ha un fratello, Germanico il cui figlio
Caligola lo precederà nella linea dinastica. Lui è
infatti un peso per la sua famiglia, suo padre non è nemmeno
il vero figlio di Augusto ma lo riabilita il ramo materno, sua mamma
Antonia è figlia di Ottavia, sorella di Augusto. Il problema è
lui: è deforme, zoppo e gracile, sempre malato, “uno
scherzo della natura “stando alla madre. Dalla sua posizione
defilata, inizialmente subìta, ha la fortuna di potersi
dedicare, gli è stata infatti garantita almeno un’ alta
educazione , ai suoi amati studi, in particolare alla storia degli
etruschi il cui influsso nella cultura romana ritiene essere
fondamentale. Ma questa è un’altra Roma, è ormai
lontana dall’influsso etrusco. È il tempo degli inganni,
delle trame sotterranee, della fondazione di un impero che nessuno
voleva in una repubblica che fece del fallimento il proprio specchio
infranto , capace di restituire solo un’immagine deforme e
mostruosa, a tratti. Claudio per cinquant’anni sopravvive a
tempi che di volta in volta fanno morire, le più volte
avvelenati, i suoi maggiori protagonisti, resiste e si salva dalla
prova più terribile, l’impero di Caligola che
ripetutamente ne fa un bersaglio privilegiato del suo macabro
divertimento da despota. Resiste e viene acclamato imperatore proprio
perché nulla conta. La sua narrazione si ferma qui, nel primo
gradino del soglio imperiale, dove, passato il primo timoroso e vile
sgomento, lo rapisce una consolante intuizione. Sarà un
imperatore storico e al contempo uno storico imperatore.
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