Qualcosa
di vero – Barbara Fiorio – Feltrinelli –
Pagg. 249 – ISBN 9788807889202
– Euro 9,50
Qualcosa
di vero di Barbara Fiorio è un libro che parla di favole
narrate attraverso una prospettiva diversa, sono favole “vere”,
quelle che i grandi ci tengono nascoste perché spesso sono
amorali e fanno paura.
Giulia
donna di successo, con una carriera avviata e nessuna voglia di una
relazione stabile, tanto
meno di avere pargoli intorno,
si traveste dalla “Signora buonanotte” grazie a Rebecca,
bambina di nove anni e vicina di casa, che di notte, per paura di
rimanere sola in casa, vaga per il pianerottolo del palazzo.
Un
connubio Giulia-Rebecca perfetto per le favole nere e la nascita di
un’amicizia; tutto ciò che avviene tra una favola vera e
l’altra è vita, che spesso è anche dolore e
amarezza, un peso enorme da portare sulle spalle per una
bambina.
Qualcosa
di vero mi ha incollata alle pagine, una trama semplice che fa
riflettere moltissimo, l’autrice riesce a fare incontrare due
mondi: quello dell’infanzia e quello adulto, le favole sono il
tramite per crescere in entrambi i casi.
Ho
apprezzato moltissimo Barbara Fiorio nel voler creare personaggi
imperfetti, il lettore riesce a immaginarli come i propri vicini di
casa, persone normali che puoi incontrare per strada.
Qualcosa
di vero è divertente, fa sorridere e allo stesso modo porta il
lettore a importanti riflessioni, la scrittura è scorrevole e
diretta, un libro che ho apprezzato veramente tanto e che ne
consiglio di leggere.
Citazioni
tratte da: Qualcosa
di vero
Gli
adulti non sono così precisi, vivono tra le sfumature. A volte
basta avere un fidanzato temporaneo, giusto qualche mese, per non
sentirsi soli, e poi di nuovo in pace con sé stessi senza
nessuno con cui litigare e a cui lavare le mutande.
“A
me sembra triste. Non è amore.”
No,
chiaro, non era amore, l’amore era una chimera che faceva quasi
tenerezza.
Quello
era realismo, ammise Giulia.
“E
a te va bene un fidanzato senza amore?”
Di
giorno, mentre la sua vita la indaffarava o quando mangiava da sola,
non le pareva un compromesso inaccettabile. Ma di notte, seduta sul
letto di una bambina che credeva nelle fiabe, quel compromesso
cambiava colore e diventava desolante.
“Credo
di sì, è complicato. Gli adulti non sono così
precisi, vivono tra le sfumature. A volte basta avere un fidanzato
temporaneo, giusto qualche mese, per non sentirsi soli, e poi di
nuovo in pace con sé stessi senza nessuno con cui litigare e a
cui lavare le mutande.”
Rebecca,
ormai completamente sveglia, aggrottò le sopracciglia. “A
me sembra triste. Non è amore.”
“Rebecca,
non siamo tutte delle principesse. A volte ci si deve accontentare
degli stallieri, per farsi compagnia.”
“Era
più facile, quando eravamo piccoli. Ora ce la raccontiamo.
Ce
la raccontiamo e ci accontentiamo di tristezze meno tristi delle
altre.”
Giulia
scosse la testa e posò l’e-reader sulla scrivania. “Ci
ho provato ieri sera e l’ho trovato brutto.”
“Il
libro o leggerlo sul Coso?”
“Il
libro. Ho elaborato una teoria di cui sono abbastanza convinta: i
libri che si leggono sul Coso sembrano brutti. Secondo me, se li
leggessi sulla carta, avrebbero più possibilità di
piacermi.”
Era
abituata a svegliarsi con molte idee che vorticavano rubandosi lo
spazio a vicenda. Era come aprire gli occhi in una nuvola di bolle di
sapone: alcune si dissolvevano nel tragitto dal letto al bagno, altre
scoppiavano con buffi rumori di pensieri inutili, altre ancora
resistevano e salivano verso l’alto. Quelle, di solito, le
ripescava e le portava con sé.
Capitava
di rado che si svegliasse con una sola idea. Ma quando capitava, non
poteva fare a meno di seguirla ovunque fosse diretta. L’unica
idea del mattino era monopolizzante come un neonato, un mal di denti
o un nuovo amore.
“Shakespeare
diceva che il mondo è un teatro e che gli uomini e le donne
non sono che attori. Può sembrarti finto, se lo guardi da una
parte, ma se cambi prospettiva, capisci che questa è la nostra
realtà.”
Anna
le piantò gli occhi in volto. Una donna che si presentava per
denunciare il marito, superata la sensazione di essere considerata
una puttana, veniva scoraggiata dal procedere, si ritrovava a dover
spiegare il motivo per cui lui si era arrabbiato così tanto e
scopriva di non poter essere protetta a causa di un numero troppo
ridotto del personale. In pratica, il modo migliore per far emergere
la propria storia di violenza, secondo la più costante e
unanime giurisprudenza, era farsi ammazzare.
Salì
su un taxi e si godette il viaggio guardando scorrere la città
oltre il vetro. Le macchine nella corsia accanto, le luci accese nei
palazzi, le persone che camminavano sui marciapiedi, chi aspettava un
autobus, chi attraversava la strada.
Gente.
Gente che viveva, gente che restava ferma o che correva chissà
dove, gente che arrivava, gente che andava, gente che dietro le
finestre cenava o litigava, gente che urlava, gente che picchiava,
gente che piangeva o si vergognava.
Erano
tutti numeri, dati, target e cluster, erano qualcosa da analizzare,
da raggiungere con slogan e prodotti, da far canticchiare negli
ascensori, da far sognare davanti a una vetrina, da ingozzare di cibo
industriale, da strigliare con saponi chimici, da ossessionare con
oggetti di tendenza, da rintronare con bevande alcoliche. Qualunque
cosa facessero, erano convinti che fosse una loro libera scelta.
Katia
Ciarrocchi
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