Ernesto Che Guevara
poeta
Ernesto Guevara de La
Serna detto Che è nato a Rosario in
Argentina il 14 giugno 1928 ed è morto vittima di un vile agguato a La Higuera in Bolivia l'8 ottobre 1967,
tradito da quello stesso popolo che voleva liberare da un governo
oppressore.
Siamo
abituati a considerare Che Guevara sotto l'aspetto
del guerrigliero e dell'uomo politico. In questo breve scritto invece
cercheremo di far conoscere un Guevara poeta, che tra
l'altro si può apprezzare acquistando un volumetto curato
da Elena Clementelli e Walter Mauro (Che Guevara “Poesie”, Newton & Compton
Roma, 2002 seconda edizione – euro 4,00 per pagine 170).
Che Guevara era un uomo che parlava come pensava e soprattutto
faceva quel che diceva. Per questo in vita ha avuto nemici un po' ovunque (pure
tra chi doveva essergli amico), ma è anche vero che
per lo stesso motivo i giovani lo hanno sempre amato e ne hanno fatto un mito.
Ecco perché non è contraddittorio veder sventolare l'immagine del Che tra le
bandiere della pace, pure se lui era un guerrigliero. Il Che aveva un grande
senso della giustizia e voleva applicare nella vita di tutti i giorni le sue
idee. Uomo concreto, politico sui generis, che sapeva quando
era il momento di sporcarsi le mani e di assumersi le proprie responsabilità. A
Cuba non c'è persona, vero o falso che sia, che non
dica di aver conosciuto Che Guevara. Una cosa simile
è accaduta in Italia per Garibaldi ed è un segnale preciso di trasformazione da
uomo in mito. Guevara era uno che
quando entrava in una fabbrica passava dal magazzino e non dagli uffici
della direzione, ricordano gli operai cubani. Pure chi è critico verso il
regime e le sue attuali contraddizioni quando il discorso cade sul Che afferma:
“Lui aveva capito tutto”. E infatti Guevara è stato il miglior allievo di tutti i suoi maestri,
sia per le indubbie doti intellettuali, sia per la grande forza di
volontà.
Non ci
dilunghiamo oltre sulla figura del Che politico, guerrigliero e statista e
rimandiamo gli interessati alle molte biografie pubblicate in Italia,
consigliando tra tutte quella di Roberto Massarri,
edita dalla Erre Emme. Vediamo invece il Che Guevara
scrittore, poeta e letterato. La sua opera prima è “Un diario per un viaggio in motocicletta”, redatto con il compagno
Alberto Granado, che descrive il suo primo viaggio panamericano alla scoperta della miseria del Cile, della
Bolivia e del Perù. Al tempo stesso nel “Diario” c'è anche un documentato
studio della lebbra e dei lazzaretti: non ci dimentichiamo che Guevara era medico e Granado
biologo, quindi avevano interessi specifici.
Guevara ha sofferto d'asma sin da bambino e questa
affezione lo ha costretto spesso in casa per curarsi, di conseguenza la lettura
è stata la sua migliore compagna di ragazzo e adolescente. A dodici anni pare
che avesse la cultura di un diciottenne e aveva letto
e riletto: Salgari, Stevenson,
Verne, Dumas e altri autori di romanzi avventurosi.
Invece era refrattario allo studio scolastico metodico che lasciava volentieri
per la lettura di un romanzo.
Un'altra
opera affascinate è “Il Diario del Che
in Bolivia” che però non era
destinata alla pubblicazione. Si tratta di un diario ricco di annotazioni sul
comportamento militare e umano dei partecipanti alla missione che lo condusse
alla morte. Nel “Diario” il Che parla della sua inquietudine e confessa la
solitudine, il senso di vuoto che sente intorno a sé. “Il Diario” è soprattutto
la cronaca di una sconfitta e dell'isolamento in cui il grande guerrigliero si era venuto a trovare. Lo potete leggere nell'edizione Feltrinelli corredato da una sentita prefazione di Fidel Castro.
Un'altra
opera del Che sono gli “Scritti, discorsi e diari di
guerriglia” (Einaudi, 1968), ma anche qui più che
di letteratura si può parlare di pensiero politico-sociale e di tecnica di
guerriglia. Feltrinelli ha pubblicato in quattro volumi tutte le opere di Guevara,
ma l'edizione è ormai esaurita e ci si deve accontentare degli “Scritti scelti” selezionati da Roberto Massarri per la Erre Emme nel 1994.
Parliamo
adesso del Che Guevara poeta che ha due maestri
indiscussi: il nicaraguense Rubén
Darío e il cileno Pablo Neruda. La “Marcha Triunfal” di Darío e il “Canto General” di Neruda sono i due
libri che il guerrigliero ha sempre nello zaino, ovunque si trovi li legge e li
sottolinea, appuntandosi le frasi che ritiene fondamentali. Rubén
Darío è il poeta panamericano
per eccellenza così come Guevara era il
rivoluzionario panamericano per antonomasia. Forse è
per questo che Guevara lo sente molto vicino per
sensibilità e idee, entrambi infatti hanno uno slancio
nomade fatto di inquietudine. Neruda e il suo “Canto General”, un'opera immensa composta di versi straordinari
che narrano la storia dell'intero popolo sudamericano, è invece il filo
conduttore della raccolta. Il Che leggeva Neruda a
voce alta a sua figlia Hildita quando era ancora una bambina e l'amore per questo grande
poeta cileno ha accompagnato tutta la sua esistenza.
Non ci
meravigliamo che il Che durante la guerriglia trovasse
il tempo per comporre poesie e che scrivesse note di letteratura a margine di
libri letti o commenti sull'arte. Si tratta di appunti e poesie di un
viaggiatore libertario che si inseriscono senza soluzione di continuità in
tutto il suo sentire politico e rivoluzionario. Il lettore non troverà pause di
nostalgia o fughe dalla realtà nella produzione poetica di Guevara,
che è pura poesia sociale. Le poesie presentate nella raccolta edita da Newton
& Compton sono state scritte in
Guatemala e in Messico prima del 1956, al tempo dello sbarco sulle coste
cubane con un manipolo di uomini. Le liriche riflettono proprio la sua grande
voglia di combattere per la libertà e per una giusta causa che doveva portare
alla rivolta tutta l'America del Sud. Vediamo qualche verso tratto dalla
raccolta che si caratterizza pure per un'accurata selezione di saggi sulla
letteratura e sull'arte selezionati tra le carte di Guevara.
Mi chiama il mare con sua amica mano.
Il prato – un continente –
si srotola dolce e indelebile
come un rintocco nel crepuscolo.
Dove il
mare non è certo il mare del poeta crepuscolare o decadente in preda ai
ricordi, ma è il mare che chiama all'azione, alla ribellione, alla rivolta…
Così lontano andrò che morirà il
ricordo,
infranto fra le pietre del sentiero,
sarò sempre lo stesso pellegrino,
con pena dentro e con sorriso fuori.
Versi che
mostrano la forza d'animo del guerrigliero indomito destinato a vagare per il
mondo, ma che deve avere sempre un sorriso pronto per infondere coraggio ai
suoi uomini pure se dentro cova una pena o un dolore.
Stupendo
è pure l'“Autoritratto oscuro” dove Guevara parla di sé in questi termini:
Da una giovane nazione con radici
d'erba
(radici che negano la rabbia d'America)
io vengo a voi, fratelli del Nord.
Gravato di grida di scoramento e fede,
io vengo a voi, fratelli del Nord,
vengo dove vennero gli “homo sapiens”,
divorando chilometri in riti transumanti;
con la mia materia asmatica che porto come
una croce
e nelle viscere aliene da metafore
sconnesse.
Ritratto
di se stesso che completa nella successiva “E
qui” dove si dichiara meticcio e quindi cittadino dell'America ispanica,
senza una patria fissa e sicura perché la sua patria è là dove si combatte per
una causa giusta.
Io pure sono meticcio per un altro
aspetto:
nella lotta in cui si uniscono e si respingono
le due forze che agitano il mio
intelletto,
le forze che mi chiamano sentendo delle
mie viscere
lo strano sapore di frutto racchiuso
prima di raggiungere la sua maturità
dell'albero.
Tra tutte
le poesie della raccolta quella che preferisco è “Vecchia Maria”, troppo lunga per essere riportata per intero su
queste pagine. Si tratta di un dialogo tra il Che e questa compagna che lui
chiama affettuosamente Vecchia Maria, una donna del popolo coraggiosa che va a
morire dopo una missione eroica.
Ascolta nonna proletaria:
credi nell'uomo che arriva,
credi nel futuro che non vedrai mai.
Pure dalla morte si leva la speranza di
un mondo migliore tutto da inventare.
Riposa in pace, vecchia Maria,
riposa in pace, vecchia combattente,
i tuoi nipoti tutti vivranno l'aurora,
LO GIURO.
E quel LO
GIURO scritto a lettere maiuscole sta come impegno forte e deciso per il Guevara combattente che crede in quella rivoluzione e
nell'uomo nuovo teorizzato da Fidel. Il futuro sarà
migliore del passato e pure morire perché ci sia questo futuro è una cosa
importante. C'è anche un
po' di retorica, se si vuole, però è retorica da combattente, da uomo che lotta
per realizzare i suoi ideali, non certo retorica fine a se stessa.
L'opera
si conclude con il “Canto a Fidel”.
Riportiamo
la nota quartina iniziale.
Andiamo,
ardente profeta dell'aurora,
per reconditi sentieri senza fili
a liberare il verde caimano che tanto
ami.
Il verde
caimano è Cuba (che ha la forma di un caimano rovesciato) e la poesia segna
l'inizio di una rivoluzione vittoriosa che vede i guerriglieri uniti accanto al
loro capo.
E se nel nostro cammino si frappone la
spada,
chiediamo un sudario di lacrime cubane
a coprire le ossa guerrigliere
nel transito della storia americana.
Nient'altro.
Poesia
civile con chiari accenti retorici, ma le cose che Che
Guevara scrive poi le porta
a compimento, come suo stile, rischiando la vita in prima persona.
In
conclusione il Che Guevara poeta e il Che Guevara combattente sono due aspetti di una stessa
personalità. La poesia del Che è poesia ribelle,
rivoluzionaria, civile. I suoi versi ricordano grandi imprese e le celebrano,
sono intrisi di parole che infondono coraggio negli uomini e nelle donne che
partecipano uniti a una rivoluzione fatta dal popolo. Quel che il Che canta e
quel che il Che fa sono la stessa identica cosa, tanto per non smentire il
carattere concreto e pragmatico di un grande condottiero che aveva il pregio di
fare e dire soltanto le cose in cui credeva.
In questo
periodo storico così povero di idee e di miti in cui credere è importante che
un giovane possa accostarsi alla lettura di queste poesie scritte dal più
grande tra i combattenti libertari.
Gordiano Lupi