Non
solo gialli
di
Renzo Montagnoli
Credo
che un autore prolifico come Georges Simenon sia difficile da
trovare, con una produzione di romanzi e racconti di vario genere che
supera le 500 unità, ma con una qualità media piuttosto
elevata. Considerato che era nato a Liegi il 13 febbraio 1903 ed è
morto a Losanna il 4 settembre 1989, vivendo quindi poco più
di 86 anni, farebbe una media di più di cinque opere ogni
anno; se si tiene poi conto del fatto che nell’età
scolare molto probabilmente non scrisse nulla e che cominciò a
pubblicare libri a partire dal 1931, riducendo così il periodo
di riferimento a 58 anni, viene fuori una media notevolissima, cioè
all’incirca ben quasi nove lavori ogni anno.
In
genere a tanta quantità corrisponde una scarsa qualità,
ma questo non vale per Simenon, perché, a parte qualche
inevitabile scivolone, la sua produzione si è sempre mantenuta
di eccellenza, un risultato sorprendente qualora si consideri che nei
periodi di miglior forma scodellava un’ottantina di pagine al
giorno. Certo qualcuno potrà obiettare che i polizieschi con
protagonista il commissario Maigret, pur di ottimo livello, non
presentano particolari difficoltà di scrittura, nel senso che
non vengono enunciati concetti approfonditi, ma cosa dire allora a
fronte di opere del calibro di I fantasmi del cappellaio,
un noir veramente notevole, oppure come I clienti di Avrenos,
una storia di vitelloni in Turchia? Il fatto è che Simenon è
capace di scrivere lavori di notevole interesse in diversi generi
letterari, una rarità in tutti i sensi.
Io,
come altri, mi sono accostato al narratore belga leggendo romanzi con
protagonista il commissario Maigret e al di là della trama ben
congegnata non ho potuto che apprezzare l’analisi psicologica
dei personaggi, la descrizione dei luoghi, le atmosfere, tutte
qualità che si ritrovano, sovente con miglior risultato, nelle
opere di altri generi.
C’è
un’altra caratteristica sempre presente nelle sue opere:
Simenon dimostra pressoché sempre la sua antipatia per la
borghesia, per questa classe media, fatta o di poveracci che hanno
fatto il salto di qualità, oppure di aristocratici decaduti, a
maggior ragione se vivono in provincia, dove, accanto anche a qualche
raro pregio, vige una permanente rancorosa invidia. Non è
tenero l’autore belga con i personaggi negativi, li
stigmatizza, li fa diventare poco a poco odiosi anche per noi, mentre
ha invece una naturale simpatia per i semplici, per gli umili, per
chiunque cerchi di vivere senza pestare i piedi ad altri e con
dignità, nonostante sovente le non floride condizioni
economiche.
Un’altra
caratteristica positiva di Simenon è di riuscire a mantenere a
lungo un ritmo teso, come nel già citato I fantasmi del
cappellaio in cui la figura del serial killer è
centrale al punto da meritare una delle migliori analisi psicologiche
realizzate dal narratore belga. In contrapposizione al cappellaio
Labbé, l’assassino seriale, c’è il piccolo
sarto Kachoudas,
che sa, ma pavido tace, venendo così a instaurare una
complicità che toglie dalla solitudine esistenziale l’omicida
e gli permette di realizzarsi al meglio. La critica feroce alla
borghesia si ripresenta anche con l’impiegato Popinga nel
romanzo L’uomo
che guardava passare i treni,
un fallito che per elevarsi compie una serie di follie culminanti
nell’omicidio.
Si
potrà obiettare che fra poliziesco e noir, per quanto ci siano
differenze, siamo sempre nel campo del crimine e posso concordare sul
fatto che la maggior produzione di Simenon sia così, sebbene,
come si è visto, abbia scritto una storia di vitelloni come
appunto I
clienti di Avrenos,
che potrebbe apparire un unicum nella narrativa convenzionale, e
invece ci sono altre opere come Le
signorine di Concarneau,
un dramma di affetto dispotico, oppure Il
piccolo libraio di Archangelsk,
un’opera di analisi psicologica di grandissimo livello, o anche
come Il
destino dei Malou,
in cui l’unico morto è deceduto per suicidio,
circostanza che induce il figlio a voler conoscere chi fosse
effettivamente suo padre. Nel caso poi del Borgomastro
di Furnes c’è
l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, oppure
pensiamo al mondo chiuso, immobile della
Vedova
Couderc,
un
tempo fermo che viene violato dall’arrivo nella fattoria della
donna di un evaso, un uomo con cui instaura una violenta passione
amorosa. Ci sono inoltre altri casi analoghi, romanzi non gialli o
noir, che non indico anche per brevità; intendo invece
concludere con un’ultima opera, talmente bella da emozionarmi
ancora mentre ne scrivo, anche perché mai mi sarei aspettato
una specie di favola dalla penna di Simenon. Mi riferisco a
L’angioletto,
la storia di Louis Cuchas, nato povero, ma che si sazia ogni momento
di quanto può dare la vita; mai scontento, anzi beato,
lui si accontenta del poco che ha a disposizione e, soprattutto, come
lo sarà sempre, è in pace con se stesso; Louis è
un artista, un amante della pittura, vista più che come fonte
di guadagno (al denaro non dà importanza) come realizzazione
del mondo interiore in cui vive. Passeranno gli anni, diventerà
uno dei più grandi pittori del secolo, ma lui non cambierà.
Non ci saranno lutti o guerre che possano scalfire quella corazza che
si è costruito e che racchiude ogni suo stupore e a chi, ormai
vecchio, gli porrà la domanda: “ Maestro, posso
chiederle qual è l'immagine che ha di se stesso?”,
risponderà, senza che sia necessario che rifletta a
lungo:“Quella di un ragazzino.”. Ecco, in questa risposta
sta tutto lo spirito di quest'uomo, a metà fra un santo e un
genio; la vita è talmente bella e può dare
tanto, basta saperlo cogliere. E’ tuttavia forse il
romanzo che ha meno incontrato i favori dei lettori, perché
così lontano dal Simenon che ci è noto, un’ulteriore
dimostrazione della ecletticità di questo grandissimo
narratore.
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