Aria
– Nazanine Hozar – Einaudi – Pagg. 472 – ISBN
9788806247805
– Euro 23,00
L’Iran
tra anni cinquanta e settanta
È
l’Iran tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, con
la sua storia da Mossadeq a Khomeini, a fare da sfondo alla vicenda
narrata in questa bella opera prima di Nazanine Hozar, autrice della
diaspora persiana che, nata a Teheran nel 1978, vive sin
dall’infanzia in Canada.
Quello compreso tra l’ultimo
scià e la Rivoluzione islamica, e tutto ciò che è
seguito da allora sino alla più stretta attualità, è
un periodo indagato da diversi autori iraniani, e non solo; il
pensiero corre a Marjane Satrapi e al suo indimenticabile fumetto
autobiografico “Persepolis”, ma anche all’americana
Betty Mahmoody e alla sua drammatica testimonianza riportata nel noto
best seller di fine anni Ottanta “Mai senza mia figlia”.
La Hozar s’inserisce ora in questo lungo filone letterario e la
sua Aria si rivela subito come un personaggio in cui sembra
rispecchiarsi un Paese, la Persia appunto, in bilico fra tradizione -
spesso culminante in arretratezza e degrado - e modernità,
miseria e opulenza, Islam e altre culture religiose. Un ritratto ben
riuscito che, attraverso una prosa corposa e coinvolgente, si presta
a una lettura molto interessante per chi abbia la curiosità di
approfondire la conoscenza di altri mondi.
La trama prende avvio
dalla nascita e dal successivo abbandono della protagonista
nell’inverno del 1953. Una piccola vita inerme buttata via tra
neve e spazzatura a cui il destino, tuttavia, non nega un’opportunità
di sopravvivenza e un nome insolito, anche se il percorso che la
bambina dovrà affrontare, soprattutto nei primissimi anni,
sarà irto di difficoltà. Fame e maltrattamenti,
inframmezzati dal commovente amore di chi l’ha raccolta dalla
strada e da un’amicizia sincera, scandiscono all’inizio
un’infanzia trascorsa tra un balcone e le vie polverose della
Teheran più popolare, per poi proseguire in altri scenari e
con altre compagnie. Molto ben caratterizzati i personaggi che
animano queste pagine, da quello della protagonista stessa a quelli
(“buoni” e meno buoni) che, seppur non principali,
giocano comunque un ruolo importante nello svolgimento della storia;
in particolare, tra i vari, spiccano le figure rassicuranti di Behruz
e di Massumeh che, a mio parere, risultano tra le più
significative e degne di nota, così come, in un certo qual
modo, lo è pure quella di Zahra.
L’esistenza di
Aria e del suo microcosmo procede, anche con un inatteso colpo di
scena all’inizio della terza parte, mentre tutt’intorno
la situazione politica e sociale diviene a poco poco intollerabile
scivolando sempre più verso una rivolta che sarà infine
inevitabile e tragica come non mai. Questo romanzo, non a caso,
mostra per bene come la sacrosanta reazione al dispotismo
intollerabile (sostenuto dall’immancabile ipocrisia
statunitense, non lo si dimentichi) della dinastia Pahlavi abbia
finito per prendere una piega diversa da quella che ci si aspettava e
come le aspettative di una larga parte degli oppositori siano state
deluse quando hanno avuto la meglio le forze più retrograde e
oscurantiste tra quelle scese in campo. E così la violenza
dello scià e della sua temuta Savak viene sostituita, dopo il
ritorno di Khomeini in patria, da quella teocratica degli ayatollah e
dei loro pasdaran indottrinati sulla base di un Islam (di matrice
sciita) rivisto e corretto che mette al bando la cravatta e impone il
nero del chador. Una rivoluzione tradita, dunque, che anche per i
personaggi di questo romanzo avrà esiti diversi e, a seconda
dei casi, a dir poco drammatici.
“[…] Come
possono arrestare noi quando sono loro che stanno in una prigione?
Eh? […]”
Laura
Vargiu
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