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  Letteratura  »  Nonostante (1999 – 2004), di Luciano Luisi, edito da Passigli e recensito da Patrizia Fazzi 30/11/2022
 
Nonostante (1999 – 2004) - Luciano Luisi – Passigli – Pagg. 89 – ISBN ‎ 978-8836808861 – Euro 19,99



Perché un titolo insolito, Nonostante, per la pluripremiata raccolta poetica di Luciano Luisi edita da Passigli nel 2004? La risposta è già nella poesia introduttiva “Anima”, che contiene questa congiunzione concessiva fin dal primo verso :

Anima che mi guardi, nonostante | io sia già sulla soglia, non andartene | verso i lidi nebbiosi che ogni istante | m’appaiono. Che importa? Le mie vene || frementi sanno che il passo è distante | se ogni speranza ad illudermi viene | e desidero ancora... || ... Anima non andartene, ma scaccia | pietosa ogni ombra che all’ombra conduce: | resta con me sulla terra, nel vento.”

Un forte attaccamento alla vita, tratto essenziale della personalità dell’autore, è dunque il nucleo tematico centrale della raccolta: settanta sonetti divisi in due parti, la prima di tono più introspettivo e intimistico, la seconda più aperta alla realtà e al sociale. Un libretto di novanta pagine che diviene un ‘vademecum dell’anima’, attingendo e ricongiungendosi alla ricerca filosofica, allo spirito religioso, alla grande poesia classica, rinascimentale e moderna, trattando con delicatezza e intensità uno di più grandi temi dell’esistenza umana: la sua inevitabile fine, quell’”appuntamento” con l’”ombra” di cui ignoriamo il ‘quando’ e il ‘dove’, ma non il “se”.

Non chiedere, non è lecito saperlo, quale fine a me e quale a te abbiano dato gli dei” scriveva Orazio nel I secolo a.C. (e dopo duemila anni l’uomo cibernetico non sa dare una risposta), mentre Shakespeare nel monologo dell’”Amleto” si interrogava sulla ‘underscovered land’, la terra sconosciuta da cui ‘no traveller returns’. Liberare l’umanità dalla paura della morte era stato l’obiettivo di Epicuro e Lucrezio, mentre Giuseppe Ungaretti chiuse la poesia “Veglia”, scritta in trincea nel 1916 accanto al compagno massacrato, con i versi “non sono mai stato | tanto attaccato alla vita”.

Questo attaccamento alla vita, nonostante tutto ciò che risulta difficile, doloroso, incerto, nonostante il determinismo della materia e lo scorrere degli anni, l’alternarsi di ricordi e rimpianti, nonostante le domande irrisolte sull’al di là, è il motore del libro di Luisi. La parola chiave, la più ricorrente nei componimenti, è proprio “vita”: la vita come dono, come luce che ogni giorno si riaccende con “tutti i doni della terra”, la vita che, come il poeta scrive in “Ad un amico depresso”, è un fiume “sempre in piena”:

La vita è fatta di giorni, ricordalo, | e ogni giorno è la vita. Ogni giorno | che ha un’alba e un tramonto, che accorda | l’ombra e la luce che nasce, che è adorno || di tutti i doni della terra, | è corda | che lega il passato e il futuro, e ha intorno | le speranze e i ricordi. Vivi, scordalo | ciò che fa nebbia al cuore, ogni giorno || la vita ricomincia...”

Luisi è un uomo, come lui stesso afferma, “ingordo della vita”, ha una “febbre di vita”, non si rassegna a quel varco inesplorato, al distacco dagli affetti e anche dagli oggetti, – come l’amata Olivetti, il cui ticchettio era per lui a quindici anni “quasi l’ala | d’una sublime musica” – dalle amate cose “conservate negli anni” e non riesce “senza pena imparare a lasciarle” (Le cose, p. 19)... Il ‘viaggio” da affrontare è non solo un strappo doloroso come un esilio, ma oscuro, incerto: “Saperlo? Ma a chi rivolgersi’, a chi | chiederlo? Poter guardare in faccia uno, | uno soltanto che è tornato qui | dal viaggio a raccontarlo...”(Il viaggio, p. 23) Così scrive Luisi, riecheggiando l’interrogativo amletico.

Eppure il poeta cerca di fare i conti con se stesso, di trovare una consolazione, un senso a questo ultimo volo, immaginandosi “in un’eterna danza”: “E non avrà il mio corpo il camposanto, | ma il vento, e sarà polvere cha spazia | nell’infinito, e che non chiede pianto | né fiori. Via dall’artiglio che strazia || la carne arresa che conobbe il canto | della vita... | Forse così ritroverò l’incanto | della luce, dell’aria, e quale grazia || sarà d’essere cielo, d’essere nuvola | eternamente... | Forse vedrò come l’anima vola..” (Essere cielo, p. 35).

Così alla parola poetica è affidato da Luisi il compito che le è proprio, quello di farsi specchio e voce del suo e nostro tormento, di una resistenza civile ed etica, laica e religiosa insieme, che vince sul tempo, perché il poeta – è questo il suo compito – mettendosi a nudo, rompe il silenzio, disvela anche i piccoli e grandi drammi che il pudore ci blocca di esprimere, facendo sì che ci riconosciamo nei suoi versi. Indagine impietosa e insieme ardente, secondo il detto di Giorgio Caproni: “Chi legge un vero poeta legge se stesso”.

Particolarmente intensa la breve sezione “La porta”, in cui la voce poetante si fa più sommessa e insieme ardita, in un immaginario dialogo con Dio, sulla soglia di quella “porta che è sorgente || di salvezza” e al cui “richiamo” l’autore è ancora riluttante :

Perdonami, vorrei, se mi chiamassi | poterTi dire “Sono pronto, vedi | come senza esitare muovo i passi | più duri per seguirTi”, ma Tu mi chiedi || che non mi volti, come se lasciassi | non la vita, la vita che concedi come dono, vorresti che scordassi | le impennate del sangue... | io posso solo offrirTi | la fidente speranza d’un ingordo || della vita. Lo so che vorrei dirTi | che al Tuo richiamo non sarò mai sordo, | ma ho ancora tanta voglia di tradirTi.” (Il richiamo, p. 40)

La successiva sezione “Gli amori” riporta in primo piano gli “spasimi del cuore” e in queste liriche pulsa, come in tante altre di Luisi, quell’eros mediterraneo che gli viene dal sangue pugliese del padre e gli fa sentire il sentimento amoroso – a cui ha dedicato un libro intero (“Poesie d’amore”, 2004) – come un frutto goloso, anche se fuori stagione, e lo porta a ripercorrere con andamento quasi narrativo momenti e incontri passati e recenti, vissuti con impeto ed emozione.

Come la pioggia che batte sui vetri | e ad uno schiaffo del vento s’arresta | e poi scroscia, è il mio cuore alla festa | del tuo sguardo. Faccio un passo e arretri | appena un po’: il desiderio si desta| imperioso. Il tuo fascino è in questa | naturale malizia..”(L’attesa, p. 60)

La raccolta si chiude con la sezione “Fatti del giorno”, che attesta l’avvilito stupore, lo sdegno attonito della coscienza di fronte a delitti o fatti inquietanti: furti, rapimenti, stupri, morti violente, “i tanti lutti | dove l’amore tace”, sintomi di uno smarrimento della mente e del bene assoluto che il poeta constata e cerca di indagare in versi densi di pathos, come quelli rivolti al ragazzo matricida:

O lontana incantata adolescenza | che bussavi alla porta del futuro | per spiare, per cogliere l’essenza | della vita, in quale tunnel oscuro || ti sei perduta?... Guardo l’albero verde e spauro || immaginando il suo fiorire ucciso | dalla folgore. E vedo i tanti lutti | dove l’amore tace: che malessere ti ha attraversata e ha spento il tuo sorriso | e il dialogo che dovevamo tessere | noi? Noi che siamo colpevoli, tutti. (Il matricida, 2, p. 83).

Nonostante è nel suo complesso un’opera poetica scritta davvero in punta d’anima e con grande sapienza compositiva, frutto della lunga e variegata esperienza di scrittura dell’autore, che dosa con maestria ogni sfumatura lessicale e metrica. Due brevi annotazioni stilistiche: la prima è la chiarezza comunicativa, la fruibilità di queste liriche, come delle precedenti opere poetiche di Luciano Luisi. Sono poesie a cui tutti possono accostarsi senza sentirsi a disagio nella comprensione (come accade spesso per tanta osannata pseudopoesia). Luisi, pur senza rinunciare ad un tono alto, va verso il lettore e diventa tutt’uno con lui, non si chiude nella torre d’avorio del letterato armato di preziosismi linguistici o di sofismi. E in questo ci trova perfettamente concordi.

L’altra annotazione riguarda la scelta del sonetto, un ritorno alla grande tradizione compositiva italiana: nel realizzarlo Luisi rivela, come già detto, sapienza tecnica ma al tempo stesso libertà strutturale (basti pensare all’uso ricorrente dell’’enjambement’). Una scelta in realtà non solo formale o estetica, ma eticamente controcorrente: tornare al sonetto significa oggi porre argine allo sperimentalismo, alla poesia quasi prosa, senza ritmo o musicalità. Una ricerca di “armonia” che vinca, secondo uno dei versi più belli dei foscoliani “Sepolcri”, “di mille secoli il silenzio.”

La poesia di Luisi, per questa simbiosi armonica di contenuto e forma, resterà – “nonostante” tutto – nel cuore e nella mente di chi la legge e di questo gli siamo grati, in una consonanza di ideali e di tematiche, di amore per la vita e per la poesia. Chiudiamo questo breve excursus critico con il sonetto “Ad una ragazza che scrive”, vero inno al miracolo creativo della parola poetica:

Mi chiedi, con stupore, cosa sia | che fa nascere i versi, in quale terra | più docile attecchisca la poesia | e se per coltivarla c’è una serra. || Non puoi sapere che perduta guerra | se non s’annunzia per sua cortesia | – con quel profumo raro che rinserra | nel suo mistero – a indicare la via... Ma qualche volta, se l’anima vola | alta, il silenzio diventa parola | e tutto nasce che non era nato.



Patrizia Fazzi






 
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