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  Letteratura  »  Luciano Bianciardi: vita agra di un anarchico, di Gian Paolo Serino 11/07/2007
 

“Luciano Bianciardi: vita agra di un anarchico”

di Gian Paolo Serino

 

Un anarchico toscano arriva a Milano con un progetto preciso: far saltare in aria un grattacielo, simbolo di una Milano che ha trasformato gli esseri umani in “larve”. Il profitto è lo strumento adottato da una nuova forma di fascismo. Di questo ha scritto Luciano Bianciardi nel suo romanzo forse più celebre: “La vita agra”. Un libro deflagrante ambientato e scritto negli anni del “boom”…economico. Pubblicato nel 1962 per Bompiani, portato sullo schermo da Carlo Lizzani nel 1964 (con protagonista un Ugo Tognazzi per la prima volta impegnato in un ruolo drammatico) “La vita agra” viene ora riproposto in un volume che raccoglie tutti i romanzi e i saggi di Bianciardi inaugurando una nuova collana, “gli “Antimeridiani”, della milanese ISBN. Un volume che è un tributo ad un autore che è stato tra i più profetici del secondo ‘900. Bianciardi, infatti, ben prima di Pasolini, ha anticipato le coordinate della nostra società capace di ridurci da consumatori a consumati, da acquirenti ad acquistati. E' stato tra i primi ad intuire, per dirla alla Hemingway, che il cemento avrebbe ucciso la rivoluzione. Una rivoluzione che Bianciardi ha profetizzato: il '68 era ancora lontano e il consumismo, tra le luci di mille illusioni, iniziava a divorare i cuori trasformandoli in anime al neon. E proprio Milano - dove lo scrittore, nato a Grosseto nel 1922, si trasferì nel '54 per collaborare alla nascita della casa editrice Feltrinelli- diventa per Bianciardi simbolo della spregiudicatezza e dell'ingiustizia del potere. La metropoli che condiziona, ingloba, appiattisce, distrugge tutto. Anche i sogni, la solidarietà, gli ideali. “Bastano pochi mesi”, scrive Bianciardi, “perchè chiunque si trasferisca qui si svuoti dentro, perda linfa e sangue, diventi guscio: tra 20 anni tutta Italia si ridurrà come Milano ".

Tutto nella Milano di Bianciardi diventa metafora. Anche la nebbia: "La chiamano nebbia, se la coccolano, te la mostrano, se ne gloriano come di un prodotto locale. E prodotto locale è. Solo, non è nebbia. E' semmai una fumigazione rabbiosa, una flautolenza di uomini, di motori, di camini, è sudore, polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, dei grafici, delle stenodattilo; è fiato di denti guasti, di stomaci ulcerati...". Anche i tram "traghetti" di un labirinto infernale: "Ogni mattina la gita in tram è un viaggio in compagnia di estranei che non si parlano, anzi di nemici che si odiano...". Una folla di automi che non ha nessuna voglia di aprire gli occhi: perché la vita è già triste. E così la  marcia frenetica sulla via del lavoro nei giorni feriali si converte soltanto in un'eguale marcia, altrettanto frenetica, sulla via degli acquisti nel tempo libero: “Gli automi vendono e comprano ogni cosa; i milanesi hanno la pupilla dilatata per via dei colori, della luce, della musica calcolata, non battono più le palpebre, non ti vedono (…) Io lo dico sempre, metteteci una catasta di libri, e accecati come sono comprerebbero anche quelli. Ho letto su un giornale che questo è l'agorà, il forum, la piazza dei nostri tempi, e forse è vero”. Impressionante, se solo si pensa che sono parole scritte nei primissimi anni '60: quando i centri iniziavano appena ad essere esclusivamente commerciali. Ma la Milano di Bianciardi è anche quella del quartiere di Brera: allora artisti, poeti, pittori abitavano tristi pensioni e affogavano le serate nelle osterie e nei bar oggi diventati autentiche icone cittadine come il Bar Jamaica. Ma per Bianciardi Brera era una “cittadella guercia”, incapace di comprendere la distanza tra arte e società. Il successo de “La vita agra”, 5 mila copie vendute in una sola settimana, non bastò a placare lo spirito libero dello scrittore. Era deluso: “Avevo scritto un libro incazzato e speravo si incazzassero anche gli altri. E invece è stato un coro di consensi, pubblici e privati”. Come scrisse Giovanni ArpinoBianciardi iniziò a frequentare i salotti intellettuali milanesi, ma lo faceva solo per ubriacarsi liberamente e poter rompere le palle a tutti”. Un vortice autodistruttivo che porterà lo scrittore a rimanere solo: esiliato per le proprie idee e per i propri comportamenti estremi. Morirà il 14 novembre 1971, dopo 19 giorni di agonia, a soli 49 anni per cirrosi epatica.

 

Luciano Bianciardi

Opere

ISBN, pagg. 1144, 69 euro 

 

 

 
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