La
morte a Venezia – Thomas Mann – Einaudi –
ISBN 9788806183455
– Euro 8,50
Il
lusso della vita
All’apice
dell’esistenza, l’artista Gustav Aschenbach, tormentato
dall’inquietudine che agita e accompagna, animandola, la sua
produzione letteraria e da essa ormai logorato, in una sera di un non
ben definito 19.., fa un incontro casuale che lo solletica a
intraprendere un viaggio. Ragione e autodisciplina e una continua
lotta contro il tempo, che tiranno gli leva i giorni e lo assedia
nella paura di non avere il tempo necessario per poter esprimere
tutta la sua arte, lo hanno da tempo relegato nella bella città
in cui vive. Una tentazione che lo agita e che decide di assecondare
permetterà ai lacci che lo imbrigliano di allentarsi, minando
la sua stessa identità che ha tentato disperatamente, per
tutta la sua esistenza, di far coincidere con la sua essenza di
artista.
“La
morte a Venezia” ha come tema principale quindi la
rappresentazione della tensione che accompagna l’eletto, il
destinato a compiere grandi opere con la sua arte, l’ansia di
colui che investe su questo dono con solerte dedizione quotidiana,
fin da quando, giovanissimo, con le sue prime pubblicazioni, l’ha
tradita. Egli infatti l’ha messa in discussione perché
essa è animata da una tensione perpetua al sapere e si fa così
veicolo di atrofia, sgomento e profanazione della volontà
annullando passione e sentimento, ma poi lo stesso artista si piega
infine al sacrificio della sua anima. Un sacrificio che è però
animato dall’intuizione della perfetta coincidenza che deve
esserci fra ciò che scrive e il sentire prevalente nel suo
tempo, affinché alla creazione si accompagni la fama: si vota
perciò alla rappresentazione del più stringente
moralismo e ne diventa il simbolo, incatenandosi per sempre,
sacrificando ogni pulsione.
Il
viaggio verso l’Istria e il suo approdo nella meta finale e
definitiva di Venezia, meta senza ritorno o tappa di un viaggio in
un’altra dimensione, diventa dunque la metafora, come nella più
grande letteratura, di un percorso di redenzione. Venezia, laguna
immobile e mefistofelica, ammorbata dal colera, con una propaggine
gaudente nel Lido, diventa lo scenario ideale per far risaltare
l’aspetto dionisiaco che si risveglia lentamente in lui, dopo
lungo torpore, e che accompagna, sotterraneo, ogni manifestazione
vitale perché ne è una componente necessaria.
Il
suo calarsi nella vita, tra la gente, con fare altezzoso e distinto,
è accompagnato da una promiscuità umana che gli fa
ribrezzo: il vecchio finto-giovane che si accompagna, lascivo, ad un
gruppo di ragazzi, il gondoliere truffaldino e poi in quella sorta di
“non- luogo” che è l’ Hotel Excelsior
l’apparire netto di una famiglia, tra i suoi componenti un
ragazzo bellissimo: un adone. Lo spirito si eccita, la tensione
emotiva è tutta diretta verso il giovane che già il
giorno dopo è paragonato a un feace nel suo tardivo risveglio,
prima delle numerosissime attribuzioni mitologiche a cui lo
sottoporrà l’ormai delirante Aschenbach: sarà
infatti Giacinto nel gioco della palla, poi Narciso nel momento
topico del sorriso rivoltogli, e ancora Ermes in quello finale
dell’accompagnamento alla morte. Il tutto sfocerà in
un’immersione tra la gente con la consapevolezza del potere
venefico esercitato dal contatto umano in caso di malattia infettiva,
un modo effettivo di contaminarsi e annullarsi.
Leggere
Mann è sempre edificante, trionfo dello stile, maestria e
padronanza assoluta, spero sia stato più libero delle sue
creature letterarie.
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