Vita
– Vittorio Alfieri – BUR – Pagg. 368 – ISBN
978-8817165938
– Euro 8,00
La
vita...che avventura!
"Allo
studio dunque dell'uomo in genere è principalmente diretto lo
scopo di quest'opera. E di qual uomo si può egli meglio e più
dottamente parlare, che di sé stesso? "
Un'autobiografia
animata dall'amor proprio che ha lo scopo pratico di restituire
un'immagine vera dell'autore, evitando mercificazione posteriore da
parte di altri del suo dato biografico - cosa che lo stesso si
attende che accada - e che permette di perseguire il suo fine ultimo:
indagare l'uomo in generale. L'opera è divisa in epoche, la
prima è naturalmente dedicata alla puerizia e oltre a situare
lo scrittore nel contesto nobiliare della nascita, restituisce una
serie di gustosi aneddoti che riflettono un carattere vivace, incline
alla fantasia e qualche volta alla marachella, la quale viene
immediatamente punita, rimanendo il suo un carattere deciso e a volte
ostinato. Un bambino educato con metodi rigorosi, orfano di padre,
morto già sessantenne quando egli aveva pochi mesi, un
patrigno, fratelli e sorelle acquisiti da unioni precedenti e
successive a quelle che lo hanno generato ma anche naturali, i quali
curiosamente non coincidono mai nel numero con la fonte biografica
del Dossena, più volte citata in nota. Prossimo
all'adolescenza, per volere dello zio paterno, suo tutore, viene
inserito nell'Accademia di Torino: l'infanzia finora tratteggiata,
per Alfieri sarà, secondo un adagio pedagogico sotteso al suo
pensiero, il nucleo primitivo e originario del suo essere uomo. E
contro l'ineducazione patita negli anni dell'adolescenza trascorsi in
Accademia si scaglia la sua critica: non ha imparato nulla se non che
"la vicendevole paura" governa il mondo. Con la morte dello
zio paterno acquisisce la libertà che gli deriva dall'eredità
del patrimonio del padre e rinnova la sua vita dandosi a divertimenti
e alla frequentazioni di suoi pari. Sperpera e gareggia con i giovani
nobili, si vergogna della sua ricchezza con i compagni meno abbienti,
evidenziando la sua naturale inclinazione "alla giustizia ,
all'eguaglianza ed alla generosità d'animo". Sul finire
della seconda parte liquida gli otto anni della sua adolescenza come
" infermità ed ozio, e ignoranza". La giovinezza è
un susseguirsi di viaggi e si sorride nel leggere che visita i luoghi
senza consapevolezza alcuna, rimpiangendo a posteriori ad esempio di
non aver colto occasione di rendere omaggio a Petrarca quando si
trovava a Padova e quindi poco distante da Arquà, ma
d'altronde all'epoca "che m'importava egli di lui, io che mai
non l'avea né letto, né inteso, né sentito…
".Una certa sua indolenza spinge poi un conoscente di famiglia,
incontrato a Genova, a spronarlo alla partenza per la Francia dove
viene attratto dal teatro, pur non pensando minimamente che anche lui
avrebbe potuto scrivere composizioni teatrali. Predilige comunque la
commedia. Lasciata la Provenza giunge finalmente a Parigi e la
paragona a una cloaca, anche qui entra in contatto con gli ambienti
regali, è presentato a Luigi XV e riflette a posteriori sulla
Rivoluzione francese nutrendo dubbi su un migliore governo di "questi
re plebei". Predilige di gran lunga Londra e in Olanda vive il
suo primo amore con una giovine già sposata, la forzata
separazione da lei culmina in un tentato suicidio e nel ritorno in
Italia: ha diciannove anni, inizia a leggere Machiavelli e rientra
con un baule carico di scritti dei più noti illuministi, ma è
Plutarco a interessarlo maggiormente. Durante il secondo viaggio,
ormai nel pieno possesso del suo patrimonio, si reca in Austria, i a
Buda, ancora nei paesi nordici, leggendo ora Montaigne, evitando
l'adulazione di corte che vede in Metastasio e che aborre, per
giungere finalmente a riscoprire la lingua italiana, nell’
impratichirsi con il toscano, e con la stessa letteratura nazionale
mai compresa. Ogni spostamento lo allontana sempre più dalle
forme di governo assoluto che ancora imperano, la massima distanza in
Russia. Tornato a Londra amoreggia con una bellissima donna sposata e
diventa, suo malgrado, protagonista di uno scandalo pubblico; sono
pagine serrate, dal ritmo veloce e degne di un vero e proprio
feuilleton, vi si scopre un giovane temerario e romantico al tempo
stesso. Il terzo amore infine in Italia per una donna più
grande di lui è vissuto come un laccio che gli fa però
maturare la sua predisposizione congenita alla indipendenza e solo
attraverso numerosi tormenti dell'animo riesce progressivamente a
disfarsi di tali lacci: lascia la donna e anche il servizio militare,
prova infatti viva e decisa avversione verso uno sbocco lavorativo
adatto al suo lignaggio: ora che conosce le misere regalità
europee mai potrebbe fare egli l'ambasciatore e torna, più
consapevole agli studi, decidendo lui ora i lacci, era solito infatti
farsi legare alla sedia per mantenersi costante nell'attività
atta a colmare la sua ignoranza della lingua italiana e dei suoi
maggiori poeti. Inizia intanto a poetare componendo insulsi sonetti e
le prime tragedie, ha ormai ventisei anni. L'ingresso nell'epoca
quarta, quella della "virilità" avvicina finalmente
al letterato, il giovane si piega allo studio, con fatica e
disdegnando ancora il canone imposto dal suo percorso scolastico, del
"Galateo" di Della Casa non vuole sentir parlare, è
però risoluto nel dedicarsi allo studio dell'italiano e il
timore è ora quello di vedere contaminato il suo naturale
sentire tragico dalla lettura delle tragedie dei grandi, è
infatti ormai pienamente consapevole delle sue potenzialità.
Rinuncia completamente ai suoi possedimenti cedendoli alla sorella
per liberarsi della servitù feudale alla corona, soprattutto
perché essa lo limita negli spostamenti e nella pubblicazione
delle opere, entrambe le azioni necessitano infatti sempre
dell'accordo reale. La dimora a Pisa e poi a Firenze per migliorare
lo studio della lingua lo porta alla conoscenza e alla frequentazione
di una donna sposata ma strettamente sorvegliata dal marito, si
tratta della donna della sua vita, Luisa di Stolberg-Gedern, contessa
di Albany. Alfieri cede all'amore anche perché ella è
donna di cultura e lui sa che non lo potrebbe mai sottrarre alla sua
arte. In questa sezione è contenuta anche l'interessante
digressione sul suo metodo di composizione delle tragedie: "ideare,
stendere e verseggiare". Continua inoltre imperterrito la
cronologia che ora scandisce sempre più il numero delle
tragedie composte, legate con duplice filo alla storia d'amore
travagliato che vive; la ritrovata serenità dopo lo
scioglimento del matrimonio dell'amata coincide infatti con una ricca
stagione creativa, "Merope" e "Saul" fra le tante
del 1782. Segue poi un forzato allontanamento dalla donna amata che
continuava a frequentare in casa del cognato di lei e un successivo
peregrinare tra i luoghi dei nostri maggiori poeti e poi di nuovo in
Inghilterra a comprare cavalli; si distende in questa passione ma
perde ancora una volta la pratica dello studio sentendo al pari
compromessa la vena creativa che infatti tace. La terza parte si
chiude con l'amarezza per la Rivoluzione trasformata in barbarie e un
congedo al lettore con la speranza che, se lui dovesse nel frattempo
morire, queste memorie vengano rispettate nella loro integrità
e nel loro stile, a compendio dei suoi quarantuno anni di vita ivi
narrati. In realtà sarà lo stesso Alfieri a rimetterci
mano dopo tredici anni proseguendo la narrazione da dove l'aveva
interrotta e apportando i dovuti cambiamenti nello stile. Narra
dunque di altri soggiorni, dell' incontro fortuito con la donna amata
in Inghilterra, e della fuga rocambolesca dalla " Cloaca
massima", una Parigi trasformata in barbarie che nella plebe
inferocita vede un giustiziere fallito quando tenta di fermare lui e
la sua donna e il loro seguito di carrozze e cavalli. Il rifugio sarà
Firenze. Riprende gli studi e da autodidatta impara il greco, con
tanta caparbietà, si premura di proteggere i suoi scritti da
edizioni da lui non riconosciute. Scorrono infine gli ultimi anni
della sua vita senza che lui sappia che saranno tali, interrompe la
scrittura il 14 maggio 1803, morirà nell’ottobre dello
stesso anno, a cinquantuno anni; lo scritto si chiude con il racconto
della sua morte da parte della contessa d’Albany in una lettera
indirizzata al Signor abate di Caluso, Tommaso Valperga.
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