QUANDO LO SCRITTORE VA IN GALERA
di Carlo Bordoni
In un
vecchio giallo di Agatha Christie
(Dalle nove alle dieci) si scopre che l'assassino è il narratore, ma non
era ancora successo che uno scrittore fosse arrestato per un caso attorno al
quale sta scrivendo un romanzo.
Vero è
che il romanzo in questione (Dolci colline di sangue, Sonzogno, 2006) non è basato su fatti immaginari, anzi si
avvicina a quei romanzi-verità che si confondono piuttosto con la cronaca
giudiziaria. Né si potrebbe apporgli la classica nota editoriale che prende le
distanze, “qualsiasi riferimento a fatti, località o persone realmente
esistenti o esistite è puramente casuale”, perché qui di nomi e cognomi se ne
fanno tanti, e tutti rigorosamente intenzionali.
E
soprattutto è vero che il caso in questione, quello del Mostro di Firenze,
tanto noto da essersi depositato nell'immaginario popolare, non si può dire
chiuso. Le indagini sono ancora aperte e molti, troppi dubbi, tormentano
ancora inquirenti e giudici sulla vera identità di uno dei più efferati
assassini del nostro tempo, più crudele e sanguinoso persino del prototipo di
tutti i serial killer, Jack lo Squartatore, che seminò il terrore nella
Londra vittoriana alla fine del xix
secolo.
Mario Spezi, giornalista della Nazione, scrittore e
accreditato “mostrologo”, è finito davvero dentro,
accusato di depistaggio e indiziato di aver qualcosa
a che fare con la morte del medico Francesco Narducci,
trovato annegato nel Trasimeno. E' stata la Procura di Perugia
a mettergli le manette e a trasformarlo, da testimone acuto e privilegiato, in
uno degli attori, coinvolti in prima persona, per uno di quei chiasmi
incredibili che avrebbero fatto la gioia di Borges.
Adesso Spezi è stato rilasciato grazie al Tribunale della Libertà,
dopo ventitré giorni di prigione, durante i quali il suo romanzo è arrivato in
libreria, circondato da un alone scandalistico di cui il giornalista avrebbe
fatto volentieri a meno.
Per
scriverlo, Spezi ha goduto della collaborazione di
uno dei più attuali scrittori di horror e di suspense, Douglas
J. Preston che, assieme a Lincoln Child,
sta riscuotendo notevole successo col personaggio dell'investigatore Pendergast. Storie ben strutturate che mescolano abilmente
scienza e mistero, archeologia e paura. Assieme, Preston
& Child, hanno firmato romanzi come Relic (divenuto un film di Peter
Hyams), fino al più recente La danza della morte.
Preston è
americano (del Maine, come il suo collega Stephen King, altro maestro di orrori letterari), ma spesso a
Firenze, dove trascorre lunghi periodi. Ma è più giusto dire “trascorreva”,
perché adesso è indagato di reticenza, calunnia e “altri reati orribili”, e lo
State Department lo ha consigliato di non tornare in
Italia.
Il tema
del Mostro di Firenze deve aver appassionato Preston
fin dal suo arrivo nella città toscana, al punto da spingerlo a scrivere un
breve racconto, La prodigiosa guarigione di Frederick
F. (pubblicato poi nell'antologia mondadoriana In fondo al nero), che s'ispira a quei
fatti di sangue. Così Mario Spezi non deve aver
faticato molto a convincerlo a scrivere a quattro mani questa dettagliata
rivisitazione della storia del Mostro di Firenze in chiave romanzesca.
Va subito
detto che Dolci colline di sangue è un romanzo a tesi, nel senso che
cerca di dimostrare, attraverso una narrazione incalzante e una ricca
documentazione, le convinzioni a cui è giunto il
giornalista, quelle stesse “tesi” su cui insiste da tempo e che gli hanno
guadagnato la speciale attenzione della Procura di Perugia: che la “pista
sarda” sia stata ingiustamente abbandonata e che si sia preferito puntare su Pacciani e sui suoi “compagni di merende”.
Dal libro
di Spezi-Preston emerge prepotente una diversa
lettura dei fatti, che ha la forza di ogni giallo che si rispetti e a cui manca solo l'ultima pagina, quella in cui è rivelata
l'identità dell'assassino. Che, tuttavia, gli autori preannunciano e lasciano
intuire, secondo il classico e stringente processo logico-deduttivo che ha reso
celebre Sherlock Holmes,
“Elementare, Watson!” Con quegli elementi, con quegli
indizi, con quelle prove, non si può sbagliare. Innocente Pacciani,
assieme a tutti gli altri indiziati che sono stati presentati – di volta in
volta – come il vero Mostro di Firenze, finalmente svelato, Spezi-Preston
puntano su una soluzione assai semplice, rispondente all'immagine di un serial
killer solitario, giovane, alto, afflitto da impotentia coeundi
e marchiato da un terribile shock infantile, l'uccisione della madre.
La chiave del mistero sta nell'arma del delitto, una Beretta calibro 22 che fa la sua prima apparizione nel
1968, sulla scena del delitto Barbara Locci-Antonio Lo Bianco: un omicidio di gruppo, maturato all'interno della
“pista sarda”, che si presta a fare da “scena primaria” a una lunga serie di
delitti simili (uccisione di una coppia appartata in auto), a cui si aggiunge
la componente sessuofobica (lo scempio della vittima
femminile), dal momento in cui la pistola passa di mano (in seguito a furto) e
diventa così lo strumento di morte di un killer solitario che preferisce
colpire nelle notti senza luna.
Dolci colline di sangue ha il pregio della grande narrativa di tensione: ricostruisce
l'atmosfera, l'ambiente e la cultura di una trentina d'anni fa, fa rivivere al
lettore l'emozione di un tempo che sembrava cancellato: solo così è possibile
recuperare la sequenzialità e la logica degli eventi, la loro immanenza e inequivocabilità. Fino al punto di
spingersi alla cronaca vicina all'oggi: il romanzo descrive con allarmato presentimento
la perquisizione subita dallo Spezi nel 2004, ma non
può andare oltre. Non supera i limiti impliciti nel romanzo, al quale manca –
oltre all'ultima pagina risolutoria – anche il nuovo
capitolo sull'arresto e sul suo coinvolgimento.
Tristi e terribilmente serie le pagine in cui Spezi
racconta come ha salvato il dischetto col suo lavoro “in progress”,
nascondendolo nelle mutande. Come quella perquisizione inattesa avrebbe potuto
impedire la pubblicazione del romanzo. Come avrebbe potuto spazzare via i dati
raccolti, gli appunti, i documenti, le sequenze di un mosaico minutissimo,
difficilmente ricomponibile. Come avrebbe fiaccato per sempre la sua voglia di
parlare, di scrivere, di raccontare un pezzo di storia e spiegarne i perché.
Aiutare a capire. Accusano Spezi di depistare gli
inquirenti, di seminare indizi, di rimuovere certezze. Ma la sua “disseminazione”
sta tutta dentro questo libro. Nella sua verità. E, come tale, non si può cancellare.
M. Spezi, D. Preston,
Dolci colline di Sangue, Milano, Sonzogno, 2006,
pp. 347, € 17,00.