Le
vite nascoste dei colori - Laura Imai Messina -
Einaudi - Pagg. 328 - ISBN 9788806248475
- Euro 18,50
I
colori rappresentano le diverse sfere della vita umana:
comunicazione, emozioni, identità, marketing, cultura, influenzando
il modo in cui le persone pensano, si sentono e si comportano.
"Le
vite nascoste dei colori" di Laura Imai Messina narra la storia di
Mio, una giovane donna dotata della straordinaria abilità nel
cogliere ogni sfumatura dei colori, anche quelle impercettibili, e di
assegnare loro un nome unico. Mio cresce nell´atelier della sua
famiglia, dove si creano kimono nuziali, dove impara fin da piccola
la potenza dei dettagli e la storia dei colori.
Aoi,
giovane uomo dal cuore gentile, gestisce con la sorella, l´agenzia
di cerimonie funebri della famiglia, Aoi possiede la rara capacità
di comprendere immediatamente le esigenze delle persone che si
trovano di fronte a lui, accompagnando con delicatezza sia i vivi che
i morti nel giorno più triste e buio della vita.
Mio
e Aoi, inesorabilmente, si incontreranno e si innamoreranno, ignari
del fatto che il loro incontro è stato scritto dall´universo e che
le loro vite, sono destinate a scontrarsi in un modo che cambierà
entrambi per sempre.
Il
romanzo rappresenta un viaggio nella cultura giapponese e nei suoi
antichi rituali, molti dei quali sono ancora vivi oggi; in Giappone,
il matrimonio è considerato uno dei momenti più significativi della
vita e molte coppie giapponesi continuano a seguire i rituali
tradizionali: la cerimonia prevede l´uso di kimono formali per la
coppia e per i membri della famiglia, e ogni dettaglio, dal colore ai
tessuti, è scelto con cura per esprimere il rispetto per la
tradizione e l´amore della coppia.
Anche
i funerali giapponesi sono altrettanto importanti e prevedono una
serie di rituali specifici, tra cui l´incenerimento del defunto e
la disposizione delle ceneri in una urna. Questi rituali riflettono
la profonda spiritualità e la forte connessione con la tradizione
che caratterizzano la cultura giapponese, in cui ogni aspetto della
vita è intriso di simbolismo e di significato profondo. "Le vite
nascoste dei colori" esplora con attenzione questa cultura
millenaria, mostrando come i rituali dei matrimoni e dei funerali
siano espressione della ricchezza della tradizione
giapponese.
L´autrice
con maestria e sensibilità riesce a trasmettere il potere magico
delle cose quotidiane attraverso una scrittura poetica e delicata.
Oltre all´amore tra due persone uniche e diverse, il romanzo
esplora il tema del dolore e della perdita, un concentrato di
emozioni che coinvolgono profondamente il lettore. La famiglia, con i
suoi segreti e le sue ombre, rappresenta un elemento essenziale
dell´identità personale dei protagonisti, e quando questi segreti
vengono alla luce, si scatenano sentimenti contrastanti che portano a
scelte difficili e dolorose.
Attraverso
la metafora dei colori, l´autrice ci invita a riflettere sulla
bellezza e sulla complessità della vita, mostrandoci come siano
proprio i piccoli dettagli a darle senso e significato, e rivelando
la magia che si cela dietro ogni cosa, anche la più semplice e
quotidiana.
Citazioni
tratte da: Le vite nascoste dei colori
Capita
spesso, verso le cose che amiamo maggiormente, di sviluppare un senso
di protezione. E insieme maturiamo anche una specie di resistenza nei
confronti del modo in cui le intendono tutti.
L´amore,
la rabbia - avrebbe pensato allora Mio - lasciano segni.
Con
l´inseparabile album da disegno, Aoi tracciava l´anagrafe
dell´orto. Talvolta, smuovendo le zolle, il padre gli parlava della
misura del lutto. Di come pareva servissero diciotto mesi per
consolarsi per la morte di un genitore e di come, per digerire la
fine di una storia d´amore, servisse un tempo piú o meno uguale.
«Gli
impedimenti esistono solo se li si va a cercare»
Ci
sono sempre ricordi sotto la pelle di altri ricordi.
Tutto
rimane nascosto finché quella pellicola da qualche parte non si
sfilaccia.
«Ciò
che non si chiama sparisce», aveva detto calmo. Chi moriva
veramente, moriva cosí. Per questo nelle cerimonie funebri si
pronunciava tante volte il nome del defunto.
«Siamo
cosí tanti, Aoi, - aveva replicato il padre con tenerezza, - che
ci manca il tempo per ricordare. Il tempo di vivere già non ci
basta».
Aoi
organizzava funerali, con la consapevolezza che l´inizio delle cose
fosse importante almeno quanto la loro fine. E la morte, secondo lui,
consisteva nel prendere per mano i Rimasti e aiutarli a trasformare
la presenza in assenza.
A
rinunciare definitivamente all´idea di sapere qualcosa in piú su
una persona.
La
morfologia di Kagurazaka, il quartiere in cui era nata, glielo
ribadiva: dopo una salita arriva sempre una pendenza vertiginosa.
Chi
scrive si identifica con la nostalgia delle cose perdute. Emil Cioran
- che Mio leggeva e rileggeva, immaginando che la sua scrittura
coprisse tutte le possibili gradazioni del marrone e del verde -
s´identificava con la nostalgia del tempo da cui si sentiva
estromesso.
Se
glielo avessero posto come un problema, Mio si sarebbe identificata
con la fame, con il senso di incompleto che le restituiva la vita.
Tutto per lei era parziale e impreciso, l´approssimazione
travolgeva il nome delle cose, e il nome era la linea di demarcazione
tra quanto esisteva e quanto invece non c´era.
Solo
il colore, per Mio, era precisione.
Ogni
persona ne aveva uno addosso, e quello era la soluzione.
Di
come il colore degli occhi del padre influenzi le scelte sentimentali
delle figlie. Di come sarebbe cambiato qualcosa (o forse nulla), se
Mio ne fosse stata a conoscenza
Mio
isolò gli occhi acquosi di Aoi.
Parevano
pozzanghere, luminosi globi di ocra, terra e giallo colza. Poi cosa?
C´era quel punto spostato lievemente a destra, una sorta di luce
nervosa che oscillava come sole tra i rami.
...non
appena il sangue smette di circolare e l´anima si sfila dal corpo,
questo perde volume in tanti, impercettibili punti.
«Quando
l´anima se ne va i lineamenti ne risentono sempre, solo che a
parole dove sia diverso nessuno lo riesce a spiegare».
Pensò
soprattutto alla madre, che fino all´ultimo dei suoi giorni non
aveva fatto altro che parlare della differenza tra le persone, della
necessità sbagliata di uniformare le cose.
Il
colore del mascara che si sciolse all´angolo dell´occhio sinistro
di Mio era ankokushoku . Spesso usato nei romanzi storici o di
fantascienza: un nero completo che esclude e assorbe la vista senza
lasciare neppure una parvenza di luce. È, in giapponese, il colore
della cecità.
Emil
Cioran scriveva che «la vita è uno stato assoluto di insicurezza,
che è provvisoria per definizione, che rappresenta un modo di
esistenza accidentale». Continuava sostenendo che «non esiste
guarigione, o piuttosto, tutte le malattie da cui siamo "guariti"
le portiamo in noi e non ci lasciano mai».
Yosuke
Yoshida si era convinto che, proprio come gli splendidi ricami di uno
shiromuku, che restano tali quando il kimono invecchia e si usura,
anche gli esseri umani possono nascondere un´anima infetta in un
corpo che si finge guarito.
Eppure
la guarigione, quella vera, non c´è. La salute pare ristabilita,
si esce dal letto, ma è una bugia: da certe cose non ci si risana.
Sapeva
che per ogni persona che entrava nella vita di un´altra si creavano
nella testa nuove sinapsi, e piú era grande il sentimento che
restava impiastricciato a quei raccordi, piú a lungo sarebbe rimasto
nella memoria.
Rivelare
cosí tanto di sé era pericoloso: non per la paura che i suoi
ricordi venissero dispersi nel mondo, ma per lo smisurato potere
emotivo che ognuno di noi consegna agli altri, quando racconta la
propria storia con le proprie parole.
«Ci
sono due emozioni cui dovrai sempre fare attenzione, Mio. A quando
sarai molto triste, e questo probabilmente è piú facile da capire,
ma soprattutto a quando sarai molto felice».
«Perché?
Che c´è di pericoloso nell´essere felice?»
«Ci
si sopravvaluta nella felicità, ci si sente piú forti. Ma la forza
ha dentro un mucchio di debolezza che la gente di solito ignora. Ti
senti fortissimo quando sei felice, pensi che potrai affrontare ogni
conseguenza».
«Non
è cosí?»
«No,
non è cosí».
Solo
perché hai l´antidoto, non diventare dipendente dal veleno.
...
la
leggenda del filo rosso del destino voleva che si nascesse con il
mignolo già fermamente legato a quello di chi ci era predestinato, e
lui si sentiva esattamente a quella maniera, allacciato a lei per
l´eternità.
Diventò
un´ape che si accuccia in un fiore, succhia il nettare e impollina
campi interi di viole.
E
dei fiori che ha esplorato, con intento e dedizione, non serba alcuna
memoria.
«Diceva
che la morte è come una pianta dentro ognuno di noi. Che nasciamo
con quel seme all´interno e quello si sedimenta, spunta, cresce
mano a mano che cresciamo noi»
(...)
«Ripeteva
che la morte era una cosa preziosa, che c´è un limite naturale
all´esistenza e sapere che ogni giorno facciamo un piccolo passo
verso quel confine ci serve a vivere meglio».
«Dopo
un lutto si impara da capo la vita», stava proseguendo lui.
Per
alcuni era un ricominciare, per molti altri un disperato tentativo di
compensazione. Di giorno in giorno si imparava ad avere di nuovo
fame, ci si concedeva da capo la sete e pure il desiderio sessuale.
Ma ci voleva del tempo, come ci si poteva abituare a vivere bene
anche senza un piede, o un polmone. Non sarebbero ricresciuti, ma si
sarebbe imparata la lezione del fare a meno di, che in fondo era
tutto ciò che serviva sapere di un lutto. Imparare a fare a meno di.
Anche crescere significava andare avanti senza, e ogni anno, a ogni
svolta, bisognava lasciar andare qualcosa.
La
gente usciva dal tempo, lo faceva ogni giorno, nel modo irregolare ma
continuo delle cose che appartengono alla natura. E Aoi era convinto,
per il mestiere che faceva, di toccare la vita, non solo di
parteciparvi, ma di affondarci dentro le dita.
«Lo
vedi proprio nella capacità di sopravvivere alla scomparsa dei
genitori, quanto è forte la vita, - le disse. - Sono stati loro
a metterti al mondo, e cosí facendo ti hanno garantito di esistere
anche dopo la loro scomparsa».
Il
mondo poteva permettersi di dimenticarli, ma i figli avrebbero
conservato nella propria memoria l´ombra lunga degli antenati.
...
nella
morte c´è l´immortalità, disse, e l´immortalità è fondata
sulla morte.
Il
brano dei Veda che il professore recitò al funerale della moglie
La
Morte parlò agli Dèi: «Se cosí è, di certo tutti gli uomini
diverranno immortali. Quale sarà dunque il mio destino?» E gli Dèi
risposero: «Da adesso in poi nessuno diverrà immortale con il suo
proprio corpo. Dopo che avrai preso il corpo come tua parte, solo a
quel punto chiunque stia per diventare immortale, per opere o
saggezza, lo diventerà. Ovvero, dopo aver abbandonato il corpo».
SB
X,4,3,9
...
un
sí non viene mai solo, ne implica un altro, tutta una serie di sí,
finché la vita non si impone come un´affermazione definitiva».
«Una
piantina in un bicchiere, annaffiata ogni notte con amore, vale piú
di un bosco in fiamme»
Alle
rinunce che pesano su noi stessi e sugli altri. Perché quando accade
qualcosa di irreparabile si ha sempre bisogno di un responsabile per
addossargli tutte le colpe.
...
i
nostri unici remi sono gli errori che facciamo, e che per andare
avanti e migliorare serve usarli al meglio.
...
il
dolore è una cosa che aspetta, che concede piú di una tregua;
all´inizio non sconfina dal suo piccolo spazio, da bravo, ma
superato un certo livello di consapevolezza scoppia, esonda, e alla
fine si fa un´enorme fatica a delimitarlo. Il dolore è come un
bambino che non ascolta e tu dietro che arranchi, sempre piú
schiacciato dalla stanchezza. Se non vince per forza, vince per
debolezza. E tu, in qualunque caso, ne esci perdente.
Perché
la nostra storia è sempre tramandata: il racconto della vita di
ognuno di noi è talmente remoto ed eroso dal tempo che siamo in
balia del ricordo degli altri, di chi ci ha allevato o conosciuto
quando eravamo bambini. E ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di
conoscere per intero la propria storia, qualsiasi essa sia.
Sei
un labirinto dai mille ingressi, per me.
È
facile entrare dentro di te, mi tendi in continuazione la mano. Una
volta che sono dentro di te poi mi perdo. E allora resisto, chiudo
gli occhi, riprendo i miei passi e in qualche modo ne esco.
«Nell´equilibrio
delle nostre facoltà ci è impossibile percepire altri mondi»
Anche
se poi, a pensarci, siamo tutti ai margini della vita degli altri, le
avrebbe detto settimane piú tardi. Eppure basta pochissimo per
ritrovarci al centro. Basta pochissimo perché nel nostro centro
arrivi qualcuno che fino a un attimo prima era fuori dal nostro campo
visivo.
Nelle
citazioni riportate, non ci sono i riferimenti alle pagine, perché
ho ascoltato il libro su Audible.
Katia
Ciarrocchi
www.liberolibro.it